IL MANTELLO DI DON MILANI: UN INTERVENTO SULL’ATTACCO ALL’EDUCAZIONE SESSUALE DI SETTE ANNI FA

Sette anni fa, in una delle ricorrenti aggressioni contro la possibilità di introdurre l’educazione sessuo-affettiva a scuola, si discusse e si discusse. Certo, le destre e il ministro hanno oggi buon gioco a dire che non proibiscono nulla, che vogliono solo il consenso informato e il blocco delle associazioni ideologiche (ahah: e quali sono? chi sono quelle non ideologiche? non è dato sapere). Si discusse e si discusse e poco accadde, perché ci ritroviamo sempre qui, con un gruppo di deputati e movimenti in parte animati dal sacro fuoco del “difendiamo la patria e la cultura”, come mi ha urlato una tizia su X. In parte con un altro sacro fuoco nelle vene, quello della visibilità da ottenere a tutti i costi, perché, ahinoi, certa politica insegue più quella che quello che un tempo si chiamava bene comune.
Sette anni fa, dunque, intervenne Girolamo De Michele nella discussione medesima. Ed è bene riportare qui parte del suo intervento.

 

“Nessun genitore può interferire nella mia attività curricolare, nella metodologia, nei contenuti che insegno. Se spiego Platone, è mio diritto insegnare che per Platone il genere sessuale non è costitutivo dell’identità, mentre lo è il possesso dell’anima (ragione per cui le donne non sono discriminate rispetto agli uomini), anche se qualche sentinella all’in piedi potrebbe intendere questa affermazione come teoria gender; se ritengo di dover segnalare che l’amore di cui parla Socrate in apertura del Protagora è omosessuale, così come omosessuale è il rapporto fra Zenone e Parmenide, lo faccio, checché ne pensi il Moige; se ritengo di dover usare gli strumenti forniti da Foucault con la sua Storia della sessualità, lo faccio, perché è una mia libera scelta giudicare quale è lo strumento didattico migliore per la formazione di una testa ben fatta. Se ritengo di dover spiegare che è una favola che “senza la vittoria di Poitiers saremmo tutti islamici” (idem per Lepanto), e di dover invece spiegare che l’espansione dell’Islam arabo prima, e dell’Impero Ottomano poi, si arrestarono quando le rispettive economie-mondo raggiunsero un limite non oltrepassabile, lo faccio: e pace se c’è qualche genitore che considera Adinolfi un punto di riferimento, io mi tengo ben stretti Braudel e Wallerstein.
Le associazioni di cui sopra, insomma, con la loro scomposta esultanza confermano quell’ignoranza nelle cose scolastiche che ha fatto credere loro che (a) esista una qualche teoria gender, che (b) viene insegnata in modo subdolo, (c) all’interno di un complotto diseducativo, magari (d) finanziato da qualche occulto giudeo-pluto-massone palindromo. Per la cronaca, a me il bonifico di Soros non è mai arrivato.
Tutto bene, dunque?
No, per niente.
Intanto, perché la scuola non è una torre d’avorio, e sarebbe bene ricordare che fra genitori, studenti e insegnanti non c’è una linea che distingue buoni e cattivi per categorie. Esiste una società incivile, nella quale viene legittimato il ricorso all’odio, alla discriminazione, alla violenza verso il diverso. Di questa comunità del rancore fanno parte anche degli insegnanti (potrei fornire esempi di odiatori della mia città che sono, o sono stati, persone di scuola), così come ad opporvisi sono anche delle famiglie. E di questa doppia constatazione bisogna tener conto.
E poi, perché ci sono altre forme di condizionamento dell’insegnamento, molto più subdole.
Ad esempio, attraverso l’imposizione di metodologie didattiche proposte con casuale simultaneità da commissioni ministeriali e manuali scolastici, che impoveriscono la qualità e la sostanza della didattica. Lo abbiamo visto noi insegnanti di filosofia lo scorso anno con i cosiddetti “Orientamenti per l’apprendimento della filosofia nell’età della conoscenza”, che prefigurava l’insegnamento di una filosofia che, cedendo davanti al proprio desiderio, si adattava al misero ruolo di counseling filosofico.
Ad esempio, con la riduzione dei quadri orari e dei curricoli, attuata dalla riforma Gelmini e confermata dalla riforma Renzi-Giannini-Lodoli (la cosiddetta “Buona scuola”). Per fare un esempio, il problema non è se io ho o meno la libertà di proporre un progetto sui migranti, o di inserire le migrazioni nel curricolo di storia. Il problema è che con le ore ridotte di cui dispongo, il più delle volte non riesco a trattare temi come le cosiddette invasioni barbariche, o la nascita dell’Islam (nel biennio), o la globalizzazione (nel triennio). E se non riesco a farlo, fuori dal cancello scolastico c’è una società incivile, nella quale studentesse e studenti apprenderanno una versione razzistica, ma prima ancora falsa, di questi contenuti. E io, come insegnante, avrò avallato per omissione questa disinformazione. O, per cambiare disciplina, se io come insegnante di scienze ho i curricoli ridotti (e in quasi tutti gli indirizzi il combinato Gelmini-Renzi li ha ridotti), io non riuscirò a dare a studentesse e studenti la necessaria capacità critica per discernere scienza e chiacchiera, informazione e bufala, e li consegnerò alla canea scomposta che si è scatenata da due anni sulla questione dei vaccini, non essendo riuscito a formare – non per mia volontà – cittadini in possesso degli adeguati strumenti critici.
Ad esempio, con una campagna che sta montando sottotraccia nei confronti dei manuali scolastici da parte di chi sa bene che i conti dell’economia a un certo punto smettono di essere scritti sull’acqua, e devono essere messi nero su bianco, e ha bisogno di cercare nuovi argomenti di propaganda. In questo momento sono additati come untori (probabilmente al soldo del solito miliardario palindromo) gli autori di testi nei quali (mi limito a un solo esempio) si parla dei regni romano-barbarici come di una stabilizzazione del rapporto fra Goti e Latini (notizia che sarebbe una falsità propagandistica al soldo della sostituzione etnica e dell’ideologia invasionistica – prego di credere che non invento alcunché).
Soprattutto: ciò che deve preoccupare, è la inadeguata consapevolezza delle e degli insegnanti verso il clima di rancore e di odio che sta pervadendo il paese. Rinchiudersi nel proprio particolare, sottovalutare il contesto, non saper esercitare uno sguardo di lunga durata sul mondo significa venir meno ai presupposti del mestiere di insegnante, fingendo di non sapere che, prima o poi, ogni scuola diventerà una piccola rancorosa Gorino. Assoggettarsi, o assumere una postura etica: dentro e fuori la scuola, e non da ieri, per la comunità scolastica – insegnanti e non, genitori, studenti – non esiste una terza via.
Se è consentito parafrasare un grande poeta (che è stato anche uno straordinario insegnante), Claudio Lolli: certo che il mantello di don Milani «è sempre in prima fila lì sull’attaccapanni» della sala insegnanti, e il suo fucile «è lì nascosto in quel libro di racconti: però che non diventino ricordi o fantasie, che non sia caricato solamente a sogni». Che lo si armi con una didattica che si rivolge non a singoli individui, ma al comune che apprende (e, why not, contesta e confligge), all’interno di uno stile di vita che al grigiore impiegatizio, alla frustrazione e alla sottomissione, sostituisca la cooperazione sociale: una scuola militante”.

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