IL MODELLO WU MING: LA REPLICA (DI WU MING MEDESIMO)

Depero2_1    Wu Ming 1 posta un lungo commento alla discussione innescata più sotto dai conti di Trespolo. Lo ripropongo qui (giornata complicata da queste parti, proverò più tardi a fornire le risposte che devo, specie nei commenti di ieri)

Mi sembra che il discorso continui stancamente, tra fraintendimenti-valanga e interventi che, anziché chiarire, confondono le acque.
L’impostazione di Trespolo (che è in buona fede e anzi credeva di fare qualcosa di utile) è solo in apparenza *concreta* e *logica*, in realtà di concreto (cioè di attinente ai processi reali di cui in teoria staremmo parlando) e di logico ha pochino. Infatti, tutto il suo discorso ha perso pezzi per strada man mano che si discuteva, benché pochi se ne siano resi conto.

TESI DI FONDO: il modello Wu Ming non è riproducibile.
OBIEZIONE 1: Non esiste alcun modello Wu Ming, i Wu Ming non hanno mai detto che il loro esempio fosse da riprodurre.
RIBATTUTA: Ma se ogni volta che si parla della rete vengono citati i Wu Ming!
CONTRORIBATTUTA: Certo, ma perché loro hanno un’esperienza di utilizzo della rete che forse vale la pena esaminare, non per questo esiste un "modello". Un conto è fare patrimonio delle esperienze fatte da altri, un conto è imitare.
MODIFICA DELLA FORMULAZIONE DELLA TESI: Va bene, allora limitiamoci a dire che è una strategia non tesaurizzabile da altri, perché l’investimento fatto dai Wu Ming non può permetterselo un piccolo editore.
OBIEZIONE 2: La strategia dei Wu Ming è autogestita, l’editore investe quello che investirebbe comunque, il lavoro in rete dei Wu Ming è un "di più" che all’editore non costa niente.
RIBATTUTA: Va bene, allora diciamo che nessun altro scrittore può permettersi un simile investimento.
DOMANDA: Quale investimento, di grazia?
[Esatto, quale sarebbe questo investimento, tolti dal ragionamento gli errori marchiani come quello sulle trasferte e dando comunque per buoni i criteri discutibili segnalati da Biondillo, Lucis, Melloni, Mongiò e Spettatrice?]
SPIEGAZIONE: un monte-ore di lavoro paragonabile a un investimento di un milione di euro e rotti. Chi cazzo ce li ha quei soldi?
OBIEZIONE 3: Ma perché, tu credi che i Wu Ming li avessero? Cos’è che intendi dire?
[INTERMEZZO 1: chiarimento necessario. La strategia dei Wu Ming in realtà costa poco perché la rete costa poco. Quanto alle trasferte, sono rimborsate da chi organizza le presentazioni. Fine intermezzo.]
RIBATTUTA: Va bene, allora non parliamo di vile denaro se vi da fastidio, parliamo di "sforzo". Duecentocinquanta presentazioni in tre mesi chi mai riesce a farle?
OBIEZIONE 4: Ma de che? Sono 250 presentazioni in sei anni!
RIBATTUTA: Vabbe’, vedo che ne sai più di me… Ipotizziamo comunque quattro ore di lavoro giornaliero per quindici anni.Passeismo7
PREMESSA SOTTACIUTA, DETTA NELL’ORECCHIO CON LA MANO A CONCA A COPRIRE LE LABBRA: I Wu Ming devono essere dei figli di papà, nessuno può investire così tanto tempo a fondo perduto per tutti quegli anni in una strategia che non si sa nemmeno se funziona. Ergo, il modello non è riproducibile perché funziona solo per i figli di papà.
[INTERMEZZO 2: chiarimento necessario. Mentre, di progetto culturale in progetto culturale, il gruppo di lavoro che poi si è coagulato nei Wu Ming allargava reti e costruiva comunità, i suoi membri hanno svolto i seguenti lavori: magazziniere notturno e scaricatore di camion all’SDA; lettore dei contatori dell’acqua nelle case IACP; ausiliario sanitario all’Ospedale maggiore di Bologna; postino a Baricella (BO); buttafuori al circolo ARCI Candilejas di Bologna; istruttore di arti marziali nelle palestre Regis e Sempre Avanti di Bologna; educatore in un gruppo-appartamento per tossici che hanno appena smesso a Sasso Marconi (BO). Il Sottoscritto è figlio di una bracciante e di un metalmeccanico. Chiuso intermezzo.]
OBIEZIONE 5: Ma secondo te esistono progetti culturali che non richiedano investimenti a lungo termine e a fondo perduto? Cos’è la sindrome della pappa pronta? Credi forse che i Wu Ming siano gli unici in grado di farsi il culo in questo paese?
OBIEZIONE 6: Fatto salvo che non esiste un modello Wu Ming da riprodurre, se il loro "sforzo" è stato compiuto mentre facevano tutti quei lavori, non si capisce perché simili "sforzi" debbano essere fuori dalla portata di altri scrittori. Certo, loro sono un gruppo e hanno potuto dividersi compiti e fatica, ma anche un quinto del tempo che loro hanno speso a costruire la rete e un quinto delle presentazioni che hanno fatto loro, è comunque molto più di quanto facciano certi segaioli. Inoltre, formare un gruppo non è una scorciatoia, fa parte del lavoro, ma qui ci fermiamo altrimenti parte tutt’altra discussione.

[APPENDICE: *Questa* discussione non solo è priva della benché minima utilità, ma è anche dannosa perché alimenta disfattismo intorno alle potenzialità reali della rete. Non basta aprire un sito o un blog o spedire qualche mail informando che è uscito il proprio libro. Questo è un uso che non tiene in alcun conto la peculiarità della rete come "mezzo che si fa mondo" e crea comunità. Non ha senso lamentarsi che "la rete non smuove copie" se non si capisce che l’attenzione del lettore/visitatore va *meritata*. Mai nessuno che si interroghi sull’effettiva qualità della proposta web che fa. Può darsi che certi libri non vengano smossi dalla rete perché sono noiosi. Può darsi che certi utilizzi della rete non inneschino passaparola perché sono piatti. Può darsi che lo scrittore che dice tutti i santi giorni "Me tapino, non mi pubblicano!" scriva stronzate. E’ ora di finirla con la sindrome nazionale del dare sempre la colpa ad accadimenti esterni e a malvagi complotti ai danni della Cultura. Questo discorso neo-disfattista sulla rete agisce in modo perverso: ogni esempio di utilizzo fantasioso e positivo trova l’immancabile risposta: "Ma quello non fa testo! E’ atipico! etc.". In questo modo si impedisce all’esperienza di germogliare. Questa perversione del discorso si ammanta comunque di intenzioni positive: "Ma dai, cerchiamo di capire tutti insieme cosa va e cosa non va!" e in realtà si sta facendo l’esatto contrario, si sta pregiudicando la diffusione degli esempi contagiosi: De Michele non fa testo. Evangelisti non fa testo. I Quindici non fanno testo. Niente fa testo, la rete è una delusione, i libri vendono poco, c’è la Restaurazione, piove governo ladro, ah se al governo ci fossi io etc. etc. etc. Scusate, lo dico papale papale: mi sono rotto la minchia! Questi sono discorsi REAZIONARI e deresponsabilizzanti (altroché nickname!). E adesso l’ipotetico editore X che sta anche in rete: X non è uno che lavora poco. X è sempre in giro per rassegne, festival e presentazioni. X è in rete da dieci anni. X ha un’esperienza di blogger/editore che data ormai da un lustro. Allora perché le strategie di X – a suo stesso dire – non funzionano e i suoi libri non vendono? Questo dovrebbe essere il quesito su cui ragionare, non l’inutile quesito: "Perché nessuno imita i Wu Ming?", che è una non-questione perché "imitare i Wu Ming" non avrebbe alcun senso.

115 pensieri su “IL MODELLO WU MING: LA REPLICA (DI WU MING MEDESIMO)

  1. ah, avevo risposto altrove, a questo intervento.
    sono d’accordo sui fraintendimenti. per il resto, trovo che nessuno (certo non io) abbia negato le cose che qui WuMing1 ribadisce. Quindi perché le ribadisce? Evidentemente non ci si capisce. Forse basta scorgere una critica per rendere nebuloso tutto il resto. Boh.
    Ora, stare a smontare ognuna delle obiezioni (non perché false, ma perché fuori posto come obiezioni) richiede troppe righe – e soprattutto riguardano un intervento non mio, per cui ci penserà il diretto interessato. Però è davvero stupefacente (si fa per dire) come uno parli di fichi e si senta rispondere sdegnatamente sulle albicocche.
    Si è parlato, in due thread, di come fare a sfruttare la rete per far vendere un libro che di per sé ha un pubblico ma fa fatica a farsi trovare da quello. Ci si chiedeva cioè quali possano essere i *metodi*; le strategie, se si preferisce; i criteri di massima, cheddevodi’.
    Le risposte sono state, mi pare, alcuni esempi di risultati già ottenuti. A partire dai WuMing e da ciò che loro hanno fatto. Allora, poiché si sta cercando un *metodo*, uno obbietta che alcune cose in ciò che hanno fatto i WM non sono ripetibili; oppure non riguardano la rete.
    Risposta: l’esperienza WM non è ripetibile.
    Tante grazie! Allora chi l’ha citata *come esempio di metodo* ha toppato. O meglio, avrebbe dovuto dire quali elementi di quella esperienza sono esemplificativi di ciò che bisognerebbe fare per sfruttare la rete.
    Non che ciò non sia stato detto (alla fine! forse solo da Lucis e Spettatrice), ma sembra che ai propugnatori del valore promozionale della rete siano rimasti in mente solo le critiche che loro hanno percepito.
    Cioè, ma leggere meglio pare brutto?

  2. Wu Ming, francamente: non riesco a capire perché tutta questa coda di paglia.
    Ora devo preparare un incontro, a volte mi tocca pure lavorare, poi rileggerò con calma e imposterò una controreplica.
    Comunque la mia impressione, al momento, è che sappiate scrivere bene oltre ad altri pregi che non conosco; però, viste le considerazioni alle quali arrivi, potrebbe tornarti utile un corso di lettura analitica e magari anche un briciolo di modestia.
    Non volermene. 🙂
    Buona giornata. Trespolo.

  3. WuMing1, vi avevo citato nel mio post su Poe (“Lettera a Edgar Allan Poe”) per dire: “Non voglio far incazzare Wu Ming, che non crede all’esisenza dei genii, ma Edgar Allan Poe, secondo me, appartiene proprio a quella razza lì.”
    Vedo che adesso, a mo’ di nemesi, viene ritirata fuori per voi la figura dell’Inimitabile, o meglio, degli Inimitabli…
    A quando il lancio delle bandierine su Trieste dall’aereo?:-)

  4. Trespolo, una curiosità: perché se WM1 replica è “coda di paglia” e se lo fai tu è “controreplica”?
    😉 G.B.

  5. Ma, a me pare che ci sia stato un po’ di fraintendimento anche da parte di Wu Ming 1.
    Trespolo ha detto, più o meno: “Stimo, sulla base delle informazioni che ho, che il *valore in soldi* di quanto fatto da Wu Ming in un certo numero di anni sia tot”.
    Nel fare i suoi calcoli, Trespolo ha fatte delle ipotesi, alcune delle quali sbagliate; e i calcoli potranno essere rifatti mettendo i numeri giusti al posto dei numeri sbagliati; eccetera.
    Tuttavia è fuori luogo un ragionamento del tipo: “Se una cosa del genere costa tot, quale sarà mai l’editore che avrà voglia di replicarla?”; perché Trespolo ha fatti i conti in tasca non a un editore, bensì a un autore (collettivo); e per di più a un autore che ha impostato in un certo modo la relazione con gli editori.
    Prendo la faccenda da un altro capo.
    I Wu Ming hanno lavorato sodo. Hanno fatto delle cose che hanno un valore economico. Ogni loro ora dedicata al progetto, e non retribuita da nessuno, ha un valore economico.
    Allora direi: signore e signori, con i suoi (imperfetti) conti Vincenzo Trespolo ha mostrato che, in tutti questi anni, i Wu Ming hanno investito nel loro lavoro una quantità di giornate e di energie che, in termini di soldi, all’incirca, corrispondono a: *una grande quantità di soldi*. Questa grande quantità di soldi, assolutamente imparagonabile ai soldi effettivamente generati a vantaggio dei Wu Ming dalla pubblicazione dei libri eccetera, sono stati *donati* dai Wu Ming ai loro lettori (e al mondo in generale).
    Se esiste un “modello Wu Ming”, è semmai questo: un autore può scegliere se “investire” del proprio progetto o se “cercare un investitore” per il proprio progetto. Il “modello Wu Ming” è: investire nel proprio progetto. Il fatto che questo investimento sia molto più di lavoro che di soldi non comporta che non possa essere misurato, per farsene un’idea, con il metro dei soldi (né comporta che uno si immagini i Wu Ming come dei “figli di papà”).
    Il fatto che i Wu Ming abbiano deciso di avere con gli editori un rapporto non di sudditanza (come per lo più avviene) è ovviamente l’altra faccia della loro disponibilità a investire moltissimo nel loro progetto.

  6. PENSIERI IN DISORDINE
    A fine agosto ho presentato il mio librettino a Gallipoli, era presente anche un giornalista in vacanza/lavoro: realizzerà un reportage sul salento e parlerà dei talenti salentini. Quella sera, in libreria, tra il pubblico, c’erano molti sbranaparole, molti che come me hanno ricevuto l’invito a fornire notizie su di sé per un’eventuale intervista. Ingenuamente ero convinta che il povero giornalista sarebbe stato affogato da racconti, foto, quadri, poesie, insomma tutta quella robetta che ogni giorno strapazziamo. Meraviglia delle meraviglie, unica e sola, io meschina, partì da Lecce andai a Gallipoli e lasciai la mia cartelletta. Vero, non ne ho saputo più nulla, magari il programma è saltato o le mie ‘nguacchiature non gli son piaciute… chissà! magari tra qualche mese mi chiamerà per dirmi che gli interessa la mia scrittura. Chissà! poco importa! quel che è sorprendente, a parer mio, è l’indolenza, l’apatia, che spesso induce a ignorare possibilità, occasioni. Eppure, gli sbranaparole salentini son prontissimi a lagnarsi del loro/nostro isolamento, della assenza di occasioni, ecc. Certo gli editori non son da meno, ma questo non giustifica la passività di una schiera di artigiani che in teoria dovrebbero esser creativi. D’altra parte nella mia assoluta convinzione che l’attività creativa sia necessariamente connessa allo scambio, al confronto, mi son resa disponibile ad ospitare nel mio sito scrittori e tutti i dintorni annessi in una sorta di salotto virtuale. Un’occasione per tutti, anche per chi piange miseria e povertà, per chi non ha tempo o non può spendere qualche centinaio di euro per star dietro alla rete. Ancora aspetto! mi han risposto con baci virtuali, ringraziamenti vari, ma di righe scritte da pubblicare neppure l’ombra. Certo, magari mi hanno ignorata perché il sito non gli piace, possibile, ma è gente che conosco abbastanza bene l’avrei capito, in realtà la prigrizia ammazza!
    Potrei raccontarvene tante altre, ma inutile annoiarvi, credo valga la pena di non lamentarsi ma di rimboccarsi le maniche.

  7. Giulio, prima che su un progetto, WM ha investito – ben prima di essere WM – sulla propria internità a processi dichiaratamente politici (e del resto, oltre che autore collettivo è autore politico, se mi si passa la terminolgia demodé).
    WM, mi pare, è un po’ la sedimentazione – una delle – di un gruppo che da 15 anni fa politica in modo attivo in una ben specifica area, anche se con altri nomi e geometrie, ma guadagnando progressivamente riconoscibilità e attenzione per la vivacità e dinamicità delle proprie inziative (e per “fa politica” intendo che fa politica militante: partecipa ai gruppi ai collettivi, ai movimenti, alle discussioni, si fa promotore di posizioni e iniziative, prende posizione: è una voce conosciuta e ascoltata. Impossibile comprendere il “bacino d’utenza” di WM senza considerare che la forma che in qualch emodo lo precede, Blisset, è un processo di iniziative politiche variegato che dura anni e coinvolge migliaia di persone). A ciò si aggiunga la capacità di far giocare la stessa dinamica espansiva e non proprietaria in termini di “politica culturale” in senso stretto – vedi l’investimento immediato sul copyleft e la gemmazione de I Quindici.
    Che questa riconoscibilità e attenzione in un’area politica pur minoritaria ma non irrilevante, costituendo un precipitato in gruppi concreti di persone attive, si riversi anche in termini di “vendita di prodotti” bypassando questioni di promozione che si propongono per l’autore isolato, è un effetto secondario, non una causa, né, si noti, un esito di una strategia mirata a questo scopo.
    In questo senso non sono tanto d’accordo con Roberto quando sottovaluta “l’atipicità” del loro percorso (a meno che tu non lo intenda come l’esser divenuto desueto del modello dell’autore isolato, per cui ciò che altri chiamano atipico tu intendi come tipico). Questo al di là della questione un po’ astratta se si tratti di un esempio riproducibile o meno.
    (N.B.
    tutto ciò, ovviamente, non intende in alcun modo riguardare in modo immediato questioni estetiche: la discussione su come si costituisca il giudizio estetico nell’epoca dell’industria culturale e/o dell’intellettuale collettivo, non mi pare nemmeno iniziata)

  8. Credo semplicentente che chiunque voglia stare in rete- visto che costa tempo ed energie- debba farlo per esigenze e progetti che vadano oltre all’autopromzione.

  9. Helena, il tuo ragionamento fa più di una grinza. Se il costo in tempo ed energie è compensato da un aumento di vendite (era questo il tema iniziale), anche l’auto-promozione ha una sua ragion d’essere. Certo, darsi da fare per la collettività anziché solo per se stessi è più nobile:-/

  10. rubo ancora un po’ di spazio per aggiungere un altro passaggio logico, secondo me: nessun risultato senza intelligenza (di nuovo, questo non è un giudizio estetico sull’opera). WM è tra i primi qui da noi a ritentare la strada dell’epica (ciò che qualche anno fa definivano orribilmente “mitopoiesi”) come possibile via di uscita all’estenuato postmoderno italiano, nelle sue varianti variamente romantiche o giovalinistiche o auliche. Il loro tentativo mi pare quello di utilizzare gli strumenti dell’Eco narratore – il corto circuito tra colto e popolare, l’approccio decostruttivo agli stili – e farli cozzare con la classica distinzione (che mi perdonate se rimando direttamente a Brecht) tra arte drammatica e arte epica.
    Al di là della riuscita o della giustezza o meno del tentativo (personalmente credo di no, ma è un’opinione), esso testimonia la sua particolare adeguatezza al momento, il suo essere perfettamente “sul pezzo”. E ne esprime anche la specificità: è improbabile produrre un’epica di questo tipo che sia anche funzionante se non da una posizione di internità ai processi che si intende epicizzare.
    Questo ovviamente non “giustifica”, né lo vuole, il suo successo, ma lo narra.

  11. Scorretto. Prendere una discussione, che tutti possono leggere, e inserirla forzatamente in una griglia interpretativa propria, farne un bel polpettone e poi discrezionalmente tagliarne le fette a me sembra scorretto. Siamo in grado di farci un’idea autonoma dello scambio avvenuto due post fa. Grazie. Altra cosa, da una parte c’è l’accorata fiducia nell’uso della rete e in strategie comunicative militanti, dall’altra parte c’è una dichiarazione: non siamo imitabili. Grazie ancora. Un saluto daldivano

  12. che la rete sia constitutivamente inadeguata, se non nel brevissimo periodo e con scarsi risultati, alla pubblicità (quindi anche all’autopromozione) che non passi attraverso dinamiche non pubblicitarie o autopromozionali, è ovvio per chiunque conosca internet.
    do you remember new economy?

  13. Leggo che Wu Ming1 ha scritto: “E adesso l’ipotetico editore X che sta anche in rete: X non è uno che lavora poco. X è sempre in giro per rassegne, festival e presentazioni. X è in rete da dieci anni. X ha un’esperienza di blogger/editore che data ormai da un lustro. Allora perché le strategie di X – a suo stesso dire – non funzionano e i suoi libri non vendono?”
    Io non leggo risposte, fatemi capire…ma la domanda è indiscutibilmente interessante, perché pone il problema in maniera corretta “generalizzandolo” (prescindendo da un autore o da un gruppo di autori: può essere estesa potenzialmente a chiunque). Né la possibilità grammaticale della domanda, né quella logica mi sembrano sufficienti a dimostrare la “necessità” di una domanda. La domanda intorno a un problema inesistente è abbastanza inutile: serve la “pertinenza” (e anche altro).
    La domanda di Trespolo non pone un problema “di carattere generale”, ma mette in questione solo Wu Ming e le sue scelte: non mi piace, e non è un giudizio estetico. Mi pare del tutto inutile (“Come hai fatto? Lo posso fare anch’io?”. Sono perplesso.).

  14. Daldivano: io ho letto che non è imitabile il modello perché il modello non esiste. Se il modello esista o meno non lo stabilisce il primo venuto, ma l’eventuale autore del modello (ovvero: nessun modello si fabbrica con la sola descrizione del modello).

  15. Ivan: non ho parlato di modello, esiste anche la mera emulazione; non sempre chi mette in opera un “sistema”, inteso come insieme dei modi di, (scusami il termine massimalista), sa individuarne le caratteristiche riproducibili, o meglio, le teorizzazioni intorno al “sistema” sono anche ad opera di “primi venuti” in grado di osservarne le caratteristiche(l’operazione funziona? vediamo come e perché). Il “fenomeno” è dato, l’autore ne certifica la provenienza e l’intenzione, ma ciò non impedisce di studiarne gli elementi, il senso, eccetera, come per ogni altra opera umana.

  16. Il lavoro “sulla comunità” fatto dai wuming (specifico:in rete) è presente anche in altri settori. In particolare nel settore dei videogames per PC. Ci sono softwarehouse di 1 o 2 programmatori che hanno solo questo tipo di promozione. Ovvio ci sono anche progetti gratuiti. Ma anche colossi quali NCsoft e blizzard lavorano molto bene sulla comunità e sul passaparola.(sono presenti, in parte, solo sulle riviste specializzate, poi basta: pochissima tradizionale)
    Quindi un certo modello è presente e funziona: sia nel rispetto di logiche commerciali che di logiche “ideali”.
    Domanda: qual’è lo specifico di questo modello? E’ potenzialmente estendibile alla letteratura in generale e agli scrittori in particolare?

  17. Mi sono letto con calma – relativa perché oggi han deciso di farmi lavorare – la risposta di Wu Ming 1 e sono giunto alla conclusione che è inutile scrivere la contro-contro-risposta. Devo semplicemente copiarla da un post scritto il 13 ottobre (antecedente alla discussione e potete verificare). L’appiccico racchiudendola fra parentesi quadre:
    [Discutere. A chi è capitato di discutere? A tutti e penso di non sbagliare.
    Pare facile, semplicissimo: ci si siede, si propone un argomento, si dice la propria, si ascolta, si riflette, si controbatte e si impara.
    Ma non va mai così. Se proviamo a fermarci un attimo scopriremo che, nella maggior parte dei casi, le nostre discussioni si trasformano in una partita a ping-pong: l’argomento come pallina, le nostre opinioni a fare da racchette, la rete a demarcare il torto dalla ragione; che è quello ciò che conta: avere ragione. E noi, i discussori, ai lati estremi del campo da gioco a menare dritti e rovesci aspettando un passo falso dell’interlocutore per arrivare trionfanti all’agognata vittoria e alla soppressione dell’avversario!
    Non concordate? Rifermiamoci e proviamo a navigare attraverso le discussioni che si scatenano, a volte, con i commenti ai nostri post.
    Mi lascia sempre basito questo atteggiamento, tipicamente italico e bizantino, del cercare sempre e comunque la vittoria morale e del rifiutare sempre e comunque, per partito preso, le tesi e le idee degli altri. E’ uno dei limiti peggiori che ci portiamo addosso e che ci impedisce di crescere. Non viaggia mai da solo questo limite, spesso fa il paio con la “sudditanza” al grande nome, al nome famoso: quello che ha sempre ragione, se è presente alla discussione, quello a cui non possono essere mosse rimostranze dirette “perché è di un altro mondo e sicuramente è preparato”.]
    Non ritengo di aver altro da aggiungere alla risposta di Wu Ming 1. Dovessi farlo mi toccherebbe uscire dalla discussione e finire nella rissa, nella provocazione personale, nell’argomentare per aver ragione.
    Forse è questo che non si è capito: io NON VOGLIO aver ragione, ho solo ipotizzato un modello (ipotizzato non venduto come oro colato) per cercare di capire come mai i Wu Ming riescono a utilizzare la rete meglio degli altri e se, partendo da una *misurazione* della loro esperienza, fosse possibile estrarre elementi utili e riutilizzabili da altri. Pare di no e giocare a “chi ce l’ha più duro” fra Wu Ming 1 e me non è fra le mie massime aspirazioni.
    Come sempre Buona serata. Trespolo.

  18. Daldivano, va bene.
    1) Ma resta il problema: che il fenomeno sia dato non implica un modello riproducibile (che è quanto gli altri affermano). La parola modello non era un dettaglio: il modello può essere “seguito”, bastano descrizione e regole (per semplificare)
    2) Che esista un fenomeno (anche se mi pare termine inadatto, ma forse ho capito) significa che qualcosa esiste o c’è, ma non c’è nessun automatismo per cui il fenomeno sia esattamente replicabile mediante accorgimenti, modello o meno.
    3) emulazione e imitazione sono concetti piuttosto complessi e vaghi, e si adattano meglio a situazioni umane, secondo me. Ma dall’idea che ci sia almeno qualcosa da imitare al fatto che “questo qualcosa” possa valere per tutte le situazioni ce ne passa. L’imitazione può prevedere, ad esempio, la serietà intellettuale. Come si emula la serietà intellettuale? Con singoli atti, diversi a seconda delle situazioni.
    4) Tu dici: “Il “fenomeno” è dato, l’autore ne certifica la provenienza e l’intenzione, ma ciò non impedisce di studiarne gli elementi, il senso, eccetera, come per ogni altra opera umana.”
    Ad esempio, io concluderei dalle parole di Wu Ming che sarebbe cosa saggia “spaccarsi il culo”.
    Se evitiamo di trattare un autore, chiunque sia, come un problema di matematica, probabilmente eviteremo di chiedere una precisione nelle risposte che non è possibile avere (secondo me, ma è implicito).
    Lucis, no. La tua si chiama “petizione di principio”. Scusa, non voglio invadere i commenti, magari cerco di spiegarmi in privato.
    A più tardi (molto)

  19. @Ivan: che tu sappia giostrare meglio di me con le parole lo do per assodato, ma che partendo da questo presupposto tu mi faccia dire ciò che non ho mai detto mi pare eccessivo. Mi pare anche eccessivo che tu, non possedendo alcuna base in materia di modelli economici (non mi serve la tua conferma basta leggere le tue affermazioni circa la genesi dei *modelli*), perché di un modello economico si sta parlando anche se pare che i termini economico, denaro e marketing siano da abiura, ti metta a distribuire assiomi e sentenziare giudizi.
    Vorrei quindi invitarti – mi aspetto da te lo stesso reciproco invito quando mi troverai a stracciare giudizi senza basi su temi prettamente letterari o filosofici – a essere più cauto e, se vorrai chiarimenti in materia, a scrivermi, che la mia mail ce l’hai.
    E non farmi giocare al “chi ce l’ha più duro” in materia di modelli perché sarebbe, oltre che poco elegante, anche improduttivo.
    Buona giornata. Trespolo.

  20. la sfiga peggiore dei wu ming è di essere bravi , capaci , sgobbano come muli , vendono parecchio e in + sono pure Commmunisti !
    Chiaramente sono insopportabili x tutta la sfilza di pseudo intellettuali fancazzisti .
    Il ragionamento di Trespolo è fazioso alla base perché stima arbitrariamente la retribuzione x un ora di lavoro al pc 20 euri , il che vuol dire una retribuzione mensile x lo scrittore di 1600 euri , lavorando 20 ore a settimana .
    chi prende così tanto al mese oggi lavorando così poco ?

  21. Impossibile…completamente OT
    Trespolo, scherzi o cosa? Innanzitutto dimmi cosa ne sai di teoria dei modelli (e io mi riferisco alla teoria matematica, logica e filosofica: e non decidi tu quale sia l’esatta applicazione di una parola nel discorso, ma lo decide la comunità, ma se vuoi puoi obiettare qualcosa anche a De Saussure, a Wittgenstein, a chi vuoi, accomodati; in ogni caso tu non sei “la comunità”). Poi, spiegami per quale motivo il tuo sarebbe un modello (di che?). Ho una mail, utilizzala. Ti garantisco una spiegazione completa (di come la penso), e poi la rendo pubblica. Va bene?
    Cos’ la smettiamo di inventare favole.
    Io non ho fatto nessuna affermazione circa la genesi dei modelli, ovviamente. Sto dicendo che bisogna ricondurre il dibattito su un piano meno sofistico, perché state diventando un po’ ossessivi. Conosco, di te, esattamente quanto conosco di Wu Ming, non è colpa mia se non riesci ad essere persuasivo, ma è mio dovere fartelo presente, visto che sono giorni che insisti (invano). Come lettore.
    Ciao

  22. (Ovviamente: che il “successo”, ossia la ricetta per “fare come Wu Ming” sia un argomento di pertinenza dei modelli economici è davvero una bella fantasia: io posso anche affermare che godzilla è qui nella mia stanza, ma non per questo Godzilla “si metterà ad esistere”)
    Trespolo, secondo me perdi tempo, ma fai come vuoi.

  23. Cerco di rispondere ad alcune delle questioni sollevate: la dimostrazione lampante di quanto tutti noi (io per prima) dobbiamo ancora comprendere e rendere fruttuoso l’utilizzo della rete sta esattamente in questa discussione e in quella precedente. Io ho la sensazione che i fraintendimenti continuino a non essere pochi.
    Mi riferisco a quanto scritto da Paolo -anche sul suo blog – che temo abbia riferito l’accusa di disfattismo reazionario fatta da Wu Ming 1 a chi stava discutendo qui, e non a chi, in sedi che includono anche la rete, sostiene non da oggi che la medesima poco possa contro il dies irae editoriale che ci si starebbe avventando contro. Mi sembrava che quanto scritto da Wu Ming 1 fosse piuttosto chiaro. Così come non mi pare che il succo dell’intervento fosse “non siamo imitabili”, come suggerisce daldivano: ribadisco che si stava discutendo di un modo di agire e di rapportarsi che non è, e non può essere, un “modello”, ma semmai può dar luogo, come è stato giustamente detto, a delle gemmazioni che ne prendano spunto.
    Provo ad essere più esplicita. La capacità dei Wu Ming di lavorare in gruppo, e di rapportarsi agli altri (e, sinceramente Trespolo, non mi sembra che rivendichino o aspirino a rivendicare l’ultima parola, per quel che è il mio sentire) è una cosa rara, importante e che sicuramente richiede sforzo e fatica, non quantificabile in numeri. Io non so quanti di voi abbiano esperienza di scrittura collettiva: a me sta capitando da qualche tempo a questa parte, peraltro in ambiti diversi da quello letterario e sicuramente più semplici (scrivere un copione in tre è sicuramente più facile che scrivere un romanzo in cinque), ed è cosa faticosissima, che richiede una limatura dell’ego non indifferente e una disponibilità di comprensione delle altrui intenzioni e visioni assai notevole. Tutto questo diventa impossibile se il gruppo non è coeso, se le intenzioni non sono comuni, eccetera. Dirò cose banali, probabilmente, e non sto comunque dicendo che lavorare in gruppo è la soluzione (anche se…): dico che lavorare in gruppo, che il “fare squadra” al di là degli slogan e, appunto, delle scorciatoie, è cosa che quanto meno allena mentalmente a rapportarsi con una comunità vastissima quale quella del web. E se si è capaci di fare questo, probabilmente è anche possibile far sì che quello che Vincenzo chiama modello e che io chiamo atteggiamento risulti vincente anche dal punto di vista del buon esito di un libro. Perchè quel libro, fin dal momento della sua concezione, a quella comunità sta parlando. Perdonate confusione e concitazione, ma la giornata, appunto, è stata dura.

  24. @Ivan: “io ho letto che non è imitabile il modello perché il modello non esiste. Se il modello esista o meno non lo stabilisce il primo venuto, ma l’eventuale autore del modello”.
    Non l’ho scritto io, l’hai scritto tu.
    Buona giornata. Trespolo.

  25. Trespolo, ma perché tutta questa coda di paglia? WM1 ti ha risposto, ha controargomentato, punto. Per quel che posso vedere, ha smontato il tuo ragionamento, ma lo ha fatto a sua volta con un ragionamento. Anch’io, fin da subito, ho percepito il potenziale uso “disfattista” di quel che hai scritto: la rete non serve poi a molto e i WM non fanno testo.

  26. Daldivano: quello di WM1 non è un “rimontaggio”, è un riassunto. La discussione si è svolta proprio così, lì ci sono pure alcune obiezioni mie e le relative risposte di Trespolo.

  27. Bgeorg, WM1 dice che il loro non è un modello ma allo stesso tempo contesta chi usa l’espressione “atipico” per impedire che le esperienze insegnigno qualcosa.

  28. quarto breve intervento consecutivo ma sono un po’ colpito dal gran numero di commenti fuori luogo. Secondo me si continua a fraintendere, o a distorcere. Giuliomozzi, è stato Trespolo per primo a “confezionare su misura” quei calcoli per un ipotetico “piccolo editore”. Giustamente gli si è risposto (da parte di diverse persone) che non aveva molto senso.

  29. “Mi lascia sempre basito questo atteggiamento, tipicamente italico e bizantino, del cercare sempre e comunque la vittoria morale e del rifiutare sempre e comunque, per partito preso, le tesi e le idee degli altri.”
    Non le ha rifiutate per partito preso e non c’è niente di bizantino nella sua replica: ha dimostrato che erano infondate e lo ha fatto in modo diretto e senza giri di parole. Comprendo bene che ti possa dare fastidio, ma è andata così.

  30. Ultima da parte mia perché continuo a leggere e a vedere malintesi. Bui non dice “non siamo imitabili” (però io credo davvero che non lo siano perché non si possono “rifare” esattamente le stesse esperienze che hanno selezionato e definito il gruppo Wu Ming), dice qualcosa di diverso: “imitare Wu Ming non avrebbe senso” e dice l’ovvio, perché qui tocca dire l’ovvio, e ripete quello che ha detto fin dall’inizio, inascoltato: ognuno deve metterci fantasia e immaginazione, per trovare la propria strada. Tutti gli esempi citati sono infatti diversi l’uno dall’altro: Girolamo De Michele, Evangelisti ecc.

  31. giusto rilievo, Franco. Per me, più che l’atipicità va sottolineata forse la specificità, come ho cercato di dire circa la scelta per l’epica (“è improbabile produrre un’epica di questo tipo che sia anche funzionante se non da una posizione di internità ai processi che si intende epicizzare” – neologismo orripilante, sorry).
    Riguardo alla rete, se posso dare una mia versione un po’ roboante, credo che l’esperienza insegni che non si può pensare di usarla, ad esempio architettando strategie promozionali a tavolino, ma occorre accettare di farsi usare, così come per altri versi ci si fa usare dalla propria ossessione (che altri chiamano scrittura).

  32. D’accordo con Melloni, la frase-chiave di WU Ming (ignorata in tutti i commenti) è questa:
    “Fatto salvo che non esiste un modello Wu Ming da riprodurre, se il loro ‘sforzo’ è stato compiuto mentre facevano tutti quei lavori, non si capisce perché simili ‘sforzi’ debbano essere fuori dalla portata di altri scrittori.”
    Sì, perché la conclusione che traeva Trespolo era quella: si tratterebbe di uno sforzo fuori portata per chiunque altro.
    Certo, è “fuori portata” per gli intellettuali che credono le cose siano loro dovute. Ma se si lavora si lavora, non si fa finta. Poi non capisco su quali basi si appoggi Giulio Mozzi per affermare che i proventi dei WM siano inferiori al valore monetario del tempo che hanno investito. Voglio dire, è possibile (ma anche no), però il Mozzi come fa a saperlo e ad affermarlo con tanta certezza?

  33. a me sembra una discussione surrealista (fatta con il metodo dei famosi cadaveri eccellenti).
    Il lavoro fatto da trespolo è divertente e anche intelligente ma …insomma voi calcolereste il valore dei quadri di van gogh al metro e in base alle ore di lavoro? e magari vi meravigliereste se un piccolissimo disegno di van gogh valga di più di una enorme crosta che ha richiesto un sacco di lavoro, un sacco di colori costosi, una tela raffinata ecc? E un libro scritto in deci anni è migliore di uno scritto in una settimana come la metamorfosi di kafka? si si sono sicura che voi contabilizzereste anche questo, tremonti insegna;-) e l’intelligenza che valore ha nello schema di trespolo, e che valore ha, in soldoni, la capacità di adattamento ai tempi, la cultura assimilata, le esperienze fatte, ecc?
    Non è monetabilizzabile quindi secondo me inutile fare i conti.
    Vedere queste cose solo in soldoni secondo me è il vero ostacolo a poter imitare i wu ming. Non si possono imitare. però si può lavorare nel sentiero tracciato e qualcuno uscendo dal seminato potrebbe fare anche di meglio.
    geo

  34. Giulio Mozzi says:
    Tuttavia è fuori luogo un ragionamento del tipo: “Se una cosa del genere costa tot, quale sarà mai l’editore che avrà voglia di replicarla?”
    Che è esattamente il ragionamento che ha fatto Trespolo, pari pari. Se – come dice Mozzi – è “fuori luogo” quello, allora – come conclude il wumingo – è “fuori luogo” tutto il suo intervento e poteva anche fare a meno.

  35. Be’, Georgia, ad onor del vero, non credo che a Trespolo interessasse “il valore intrinseco” dell’opera. Non era di questo che parlava, nel suo ragionamento.
    D’altronde, qualunque strategia si utilizzi, il “valore intrinseco dell’opera” fa la differenza, chiaro.
    Se i libri dei WM fossero delle cagate pazzesche neppure ci metteremmo a parlare del “metodo WM” anche perché i WM neppure esisterebbero più, probabilmente. Altro che 15 anni di attività.
    Su quanto costi, fattivamente, pubblicare, per un piccolo editore, Mozzi lo sta spiegando bene su Vibrisse.
    ciao, scappo…

  36. Trespolo in realtà è un Wu Ming. Tutta questa inutile polemica si è risolta in ulteriore pubblicità per i cinque bolognesi, che al solito sanno benissimo utilizzare la rete e volgere tutto a proprio vantaggio. Poi dice che i blog non muovono copie…

  37. Il wumingo says:
    E adesso l’ipotetico editore X che sta anche in rete: X non è uno che lavora poco. X è sempre in giro per rassegne, festival e presentazioni. X è in rete da dieci anni. X ha un’esperienza di blogger/editore che data ormai da un lustro. Allora perché le strategie di X – a suo stesso dire – non funzionano e i suoi libri non vendono? Questo dovrebbe essere il quesito su cui ragionare.
    E infatti ci si è ben guardati dal ragionarci sopra. Comunque la risposta è semplice: c’è una cospirazione restaurativa!

  38. Ivan, ti rispondo, messe da parte alcune incombenze.
    1) Siamo d’accordo: il fenomeno è dato (ogni disciplina lo appellerà con il vocabolario che le è consono). A questo punto bisogna capire se possa rappresentare un modello riproducibile o meno. Come restava da capire se i modelli di Guerriglia Marketing fossero riproducibili o meno. I Wu Ming ci hanno fornito, con il loro operato, un’interpretazione esclusiva di questi modelli, dimostrando che sì, quei modelli sono riproducibili. Ora, l’interpretazione del modello è a sua volta replicabile? Personalmente, con le competenze che abbiamo, possiamo affermare che lo è o che non lo è, ma chi si occupa del settore nello specifico riuscirà a portarci anche altre interessanti argomentazioni. Il fatto che siano argomentazioni a noi lontane non implica che siano errate. Dall’alto o dal basso della mia professionalità (dipende da dove uno si colloca), nutro per principio rispetto per le “altre” professionalità.
    2) Per prima ho bollato come inadeguati i termini da me utilizzati, il fatto che tu ribadisca la cosa è poco elegante e denota la volontà di sminuire l’interlocutore in una discussione pubblica. I motivi di un tale gesto sono tutti, in varie misure, intelligibili. Scusa se ti ho mostrato il collo, ma se tu non ti fossi affrettato ad azzannarmelo, non avrei dovuto sottolinearlo. Per quanto riguarda gli automatismi, ripeto, noi possiamo dire che ce ne sono o no, qualcun altro può individuarli in modo più specifico.
    3) Emulazione e imitazione sono sicuramente concetti vaghi, almeno quanto la serietà intellettuale; ad esempio io non concepisco il concetto di “serietà intellettuale” quanto quello di “onestà intellettuale”, che presuppone una consapevolezza dei propri strumenti e la dichiarazione degli stessi. Nel caso di una “serietà intellettuale”, non rappresentandomela, non vedo come la si possa emulare; nel caso di “onestà intellettuale” direi che l’onestà è difficilmente emulabile, a meno che uno non sia onesto di per sé o un baro professionista, se poi per emulare bastano i singoli atti o un disegno complessivo, a ciascuno la scelta.
    4) Concordo con la tua ultima affermazione, ma sono anche maliziosa e nello “spaccarsi il culo” ci vedo non una volontà sentitamente pedagogica (nel senso di una volontà trasmissiva a chi verrà dopo di loro), quanto un invito a non procedere, ma posso aver male interpretato, capita anche questo.
    Per continuare con le disquisizioni, visto che sta diventando una cosa a due, potremmo anche spostarci sul piano delle missive, onde non oberare la già pur ricca “botta e risposta” di ulteriori “botte e risposte”. Un saluto daldivano.
    Melloni, grazie per lo sforzo, ma davvero so leggere e farmi un’idea autonoma, può non corrispondere all’idea che ti sei fatto tu, ma non ci trovo nulla di male in questo, tu sì?
    Nel caso non fosse chiaro io apprezzo molto il lavoro svolto da questi cinque signori, ciò non toglie che non si possano fare alcune critiche in merito alle cose dette nel post. Se non si può ditelo subito.

  39. Daldivano, per il punto 2 sono pronto a scusarmi, in pubblico e in privato (ma non ricordo di aver scritto che hai usato termini inadeguati, rileggo subito).
    “potremmo anche spostarci sul piano delle missive”
    Ok, in privato.

  40. Si, nel mio piccolo e per quel che serve, credo che daldivano non abbia tutti i torti, e mi riferisco soprattutto all’ultimo paragrafo del suo post. Ricomprendo nelle mie perplessità in merito alla discussione che si è venuta a creare, anche gli “attacchi” (vi esorto a porre attenzione alle virgolette) a Trespolo.

  41. Daldivano: ‘sono anche maliziosa e nello “spaccarsi il culo” ci vedo non una volontà sentitamente pedagogica (nel senso di una volontà trasmissiva a chi verrà dopo di loro), quanto un invito a non procedere…’
    Si vede che non ti sei documentata granché, per scrivere una cosa del genere, che è totalmente in contrasto con le pratiche dei Wu Ming.
    Dal loro impegno, per dire, nascono molti altri progetti di promozione e organizzazione letteraria e culturale, i più conosciuti sono iQuindici a Kai Zen, e mi viene in mente poca gente che si spenda per gli altri quanto fanno loro.
    Consiglio di visitare, nell’ordine:
    – sezione “Communal Project” del loro sito (organizzano continuamente laboratori letterari)
    – sezione “Omnia sunt communia” del loro sito (teorizzano e mettono in pratica la condivisione di tutto quello che fanno)
    – sezione “Nandropausa” del loro sito (segnalano e commentano tutti i libri altrui che trovano interessanti, nell’ultimo numero molto interessante la recensione dell’ultimo Biondillo)
    – sezione “Calendario” del loro sito (incontrano continuamente la comunità dei loro lettori)
    – sito “fratello” iQuindici.org (grazie anche a loro, altri scrittori vengono scoperti e pubblicati)
    Forse ti farebbe bene alzarti dal divano, fosse pure per qualche ora, e andare a conoscere le cose di cui intendi parlare.

  42. Io non ho visto “attacchi” a Trespolo, né con né senza virgolette. WM1 ha smontato il ragionamento di Trespolo intervento per intervento, rivelandone una certa incoerenza interna. Se è la logica stringente a dare fastidio, perché non “politicamente corretta”, allora si ponga un problema di “toni”, in effetti un po’ troppo secchi, ma non si scambi a bella posta questo problema con uno di tutt’altro genere, lagnandosi che “non si può criticare” etc. Certo, si può e SI DEVE criticare, ma ciascuno lo fa sapendo che la critica verrà a sua volta criticata, non si capisce perché se A dice una cosa su B si tratta di “critica” mentre se B risponde diventa un’aggressione. Che adesso si voglia fare di Trespolo una specie di “vittima” di una persecuzione solo perché WM1 gli ha risposto in nome della stessa concretezza di che lui sbandierava a ogni frase (come dire: io sì che ne so di economia, io ne so di marketing, voi siete tutti ingenue anime belle che non vogliono parlare di soldi) mi sembra, sinceramente, un po’ ridicolo.

  43. Anch’io, come Melloni e altri, ho colto un atteggiamento assai disfattista nel “documento di analisi” prodotto da Trespolo. Mi stupisce lo stupore di Trespolo “the day after”: ma come, si tira in ballo un autore/gruppo di autori, gli si fanno i conti in tasca come dal pizzicagnolo (per altro, sballandoli parecchio; non ho voglia di cercare nei commenti chi ha menzionato 250 presentazioni in 3 mesi; equivarrebbero a 2.7 presentazioni giornaliere, più che all’ipotesi siamo al surreale:) e ci si aspetta che l’autore non replichi? WuMing1 replica – ne ha tutto il diritto, anzi, a mio modo di vedere ha il dovere intellettuale di replica – assai chiaramente, riassumendo e obiettando, portando argomentazioni concretissime, e lo si accusa di “coda di paglia” e/o di “bizantinismo”? Sono perplessa. A me quella di WM1 sembra invece grande capacità di sintesi, volontà di fare chiarezza, e quanto ha scritto è così lineare che l’ho definito, altrove, un abbozzo di manifesto (non di manifesto “Wu Ming”, ma di manifesto letteratura/rete). Non credo proprio che il tema del dibattito fosse “come sfruttare la rete per vendere meglio un libro”, credo che il discorso fosse (e dovesse essere) molto più ampio: “investire nel proprio progetto”, ha detto giustamente qualcuno, “un processo di iniziative politiche variegato che dura anni e coinvolge migliaia di persone”, ha detto qualcun altro: non mi sembrano tematiche da liquidare con leggerezza. Loredana ha aggiunto riflessioni sul lavoro di gruppo “che richiede una limatura dell’ego non indifferente”, e anche questo è un tema interessante, per la cultura in rete: forse forse si ricollega alla questione “nicknames”? 😀 Conto di scrivere qualcosa che riporti un po’ il discorso nel concreto: ad esempio, chiedendomi come mai Wu Ming è praticamente l’unica realtà letteraria in Italia ad avere un sito tradotto in più lingue*, costantemente aggiornato, che coivolge i visitatori in esperimenti collettivi, con una newsletter attivissima e non “di facciata” promozionale come invece sono il 99% delle sedicenti newsletter, per non parlare della questione copyleft e dell’area download che già di per sé meriterebbero parecchie pagine di analisi. Valga quanto elencato prima di me da Giovanni. Ci ritorno sul mio weblog in un contesto più ampio; una cosa, però, continua a lasciarmi perplessa: c’è ancora qualcuno che non riesce a cogliere la differenza fra “emulazione, riproduzione, imitazione” e “studio e tesaurizzazione dell’esperienza, gemmazione”? Bah.
    *Sembrerà banale, ma il 75% delle persone con cui sono in contatto all’estero conosce Wu Ming e ha letto Wu Ming grazie alla presenza in rete e alla mole di materiale tradotto che si trova online. Con quelli che non ne hanno mai sentito parlare, basta passare il link e il gioco è fatto: se interessati, avranno molto materiale per documentarsi. Chiediamoci come buona parte degli scrittori italiani “usano” la rete (poco, male, niente, zero: facciamo i nomi, gli esempi) prima di fare inutili conti in tasca a Wu Ming e di dire che “la rete non funziona”…

  44. Giovanni, sei gentile ad esortarmi e non mancherò di considerare il tuo consiglio (io purtroppo non ho consigli da darti). Quello che mi premeva dire è che professare la propria unicità, in modo assolutamente lecito, può generare in altri la sindrome dell’ “io non ci riuscirò mai”, questo intendevo (probabilmente mi sono espressa in modo sommario). Che poi loro abbiano ampliato l’esperienza, l’abbiano trasformata e condivisa, nel senso di darle ulteriore collegialità non ci sono dubbi ed è apprezzabile, una ricchezza per tutti. Il problema nasce quando qualcun altro, vedendo la bontà dell’operazione, cerchi di riprodurla, è qui che la cosa diventa difficile, non un ampliare l’esperienza, ma crearne una ex novo, in questo senso a me è parso che ci fosse una forma dissuasiva, ma, come già detto, posso sbagliarmi. Un saluto daldivano

  45. Bah.
    Il dibattito si sta divorando ad anello, tipo ouroboros.
    Si è fatta – intenzionalmente? – confusione tra “esperienza da cui trarre insegnamento” e “modello da replicare in toto”.
    Io ho tentato fin dall’inizio di tenere distinti questi due piani, pena il precipitare del dibattito nell’insensatezza, per di più insensatezza livorosa.
    Non vi è alcun modello da replicare o riprodurre, non vi è alcun metodo universalmente valido.
    La sfida della rete è proprio quella del proliferare di microstrategie e piccoli reticoli di esperienze, che possono “confederarsi” e imparare l’uno dall’altro, ma senza “standardizzazioni”.
    La standardizzazione delle strategie è tipica del vecchio marketing dinosaurico, legato all’idea di una omogeneità sociale che non c’è più ( = grandi segmenti di mercato da bombardare di pubblicità, la cui reazione al messaggio è prevedibile almeno all’80%.
    Al contrario, oggi la pubblicità e il marketing tradizionale possono produrre concatenamenti di effetti-boomerang, maggiori investimenti nell'”immagine” di un marchio possono renderlo odioso anziché appetibile etc.
    Cito WM3, da un’intervista dell’anno scorso:
    “informatori e informati, produttori e consumatori, vertice e base, alto e basso, emittenti e riceventi, tutte queste dicotomie stanno saltando per aria, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi comportamenti collettivi, nuovi strumenti e coordinate spazio-temporali, i blog, le reti peer-to-peer, gli sms usati per organizzare manifestazioni spontanee… Accade sempre più spesso che un flusso d’informazione emanato da un potere costituito si perda nelle reti, si interrompa o si contorca per tornare al mittente senza aver ottenuto il suo scopo o avendo ottenuto quello opposto”
    Occorre sì tenere gli occhi aperti e valutare le esperienze al fine di imparare come muoversi, ma senza la speranza di trovare *il* metodo o il modello (magari insegnato da qualche tecnocrate/guru in qualche corso-pacco di “buzz marketing”).
    La buona fede di Trespolo l’ho data per assunta in ogni fase della discussione. *Dobbiamo* darla per assunta, quando discutiamo. Se dovessimo dichiararla o invocarla in ogni intervento, indeboliremmo qualunque argomentazione. Se dovessimo ridurci a rinfacciare la mala fede dell’interlocutore, ci condanneremmo a non essere convincenti, perché a scontrarsi e migliorarsi a vicenda non sarebbero ragionamenti e argomenti, bensì sospetti e paranoie, cose che possono sì esercitare una *persuasione*, ma non sono *convincenti*. (Invito tutti quanti a cogliere la sfumatura di significato tra “persuasione” e “convincimento”).
    [E’ notorio, inoltre, che la “buona fede” è il soggetto di quasi tutte le excusationes non petitae a cui si ricorre quando l’argomentazione è debole, quindi lasciamola fuori.]
    Ragion per cui, io non ho attaccato nessuno, non ho fatto illazioni sulle intenzioni di Trespolo, mentre è accaduto che diverse persone (tra cui lo stesso Trespolo) introducessero nella discussione, dopo la mia replica, valutazioni di carattere personale come “coda di paglia” et similia.
    La coda di paglia, di solito, la tira in ballo la coda di paglia, ma nemmeno questo è un argomento, per cui lo lascio cadere.
    Nell’appendice alla mia replica, ho cercato di segnalare un rischio grave, rischio che vedo nei ragionamenti come quello di Trespolo: col pretesto di analizzare “modelli” (che in realtà non ci sono) si può arrivare ad allontanare l’esperienza, guardarla sempre col binocolo a rovescio, quindi congelarne la pregnanza.
    In parole povere: Wu Ming è “peculiare”, quindi non fa testo. Ma la rete esorta proprio a rovesciare questo modo di pensare: fa testo *perché* è peculiare, insegna qualcosa *perché* non è/non c’è un “modello”.
    Non vedendo questo, si fa un favore ai neo-disfattisti culturali, coloro che poco tempo fa abbiamo chiamato “nientisti” e “quasinientisti”, coloro che rifiutano di riconoscere valore a esperienze che rompono i loro schemi.
    Il pericolo che intravedo è quello di assecondare chi parla della letteratura e della rete con la stessa superficialità e non-conoscenza con cui Adorno parlava di jazz (senza averlo mai ascoltato veramente, senza avere mai visto una performance dal vivo, senza sapere esattamente dove fosse Harlem, senza capire il rapporto fra tradizione e innovazione che attraversava quel genere musicale, senza capire il rapporto fra standard e improvvisazione etc.)
    Adesso mi fermo davvero. Saluti a tutti.

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