Mi è capitato sott’occhio un vecchio editoriale di Vittorio Giacopini: è di tredici anni fa, infatti, per il numero di agosto-settembre della rivista Lo Straniero. Si parla di un’altra rivista, Linea d’ombra, che all’epoca era già chiusa, e lo stesso Straniero chiuderà nel 2016. In sostanza, in quell’editoriale si diceva che dopo i lunghi anni dei movimenti, negli anni Ottanta, le riviste non potevano più pensarsi come “voci” di qualcosa, e non potevano più parlare a nome di qualcuno:
“C’era di che restare raggelati e “Linea d’ombra” scelse la battaglia culturale, il lavoro di scavo, di scoperta, come frontiera mobile per sfuggire dalle more del “riflusso” nel privato, del successo a buon mercato, dell’edonismo. Rivista milanese, era il contrario della “Milano da bere”. Non parlando a nome di (quasi) nessuno e di (quasi) niente, poteva anche permettersi di non assomigliare a niente e nessuno (neanche a un anno dall’esordio, una finta lettera al direttore registra la differenza, ironicamente: “non è sgargiante, non è corporativa, non è ‘adelphiana’… non somiglia ad ‘Alfabeta’ o alle pagine culturali della ‘Repubblica’, di ‘Rinascita’, del ‘manifesto’”). Ma già dall’inizio, Fofi e i suoi collaboratori sapevano che serviva osare di più, alzare il tiro”.
Eccome. Ci furono firme bellissime e scoperte di autori e autrici italiani e non che oggi ci sono più che familiari. Ma c’era altro, ovvero l’attenzione a quello che Giacopini chiama “il contesto”.
“Dieci anni, dieci autunni dopo, siamo già alla Seconda Repubblica, alla Bolognina di Occhetto, a Mani Pulite. Come vedrete, chi faceva la rivista questo cambio di fase l’aveva intuito benissimo, stavolta. Si aprivano altre stagioni (…dieci inverni?). L’ultimo editoriale che presentiamo parla di “bonaccia e tempesta”, lucidamente. Siamo ancora dalla parti di Conrad e forse c’è una morale o qualcosa che ci assomiglia, quantomeno. C’è sempre una linea d’ombra da attraversare. Non è un gioco di parole: vale anche oggi”.
Eccome. Ma mi chiedo: chi darà voce a quella linea, oggi?
Perché quella voce dovrebbe raccontare moltissimo del nostro presente.
Come tutte, come tutti, seguo quello che avviene a Gaza e mi interrogo sul senso e la durata degli accordi.
Come molte e molti, almeno, penso a quello che avviene in Italia, al solito binomio piazze piene-urne vuote e mi interrogo, mi chiedo se non avrebbe oggi senso una nuova Bolognina. Ma diversa. Non “socialdemocratica”, non “riformista”. Una “cosa” che riunisca davvero le anime della sinistra, e che magari torni a dare senso a questa parola, “sinistra”, e ponga fine ai mille contorcimenti interni del Pd, che, nonostante la buona volontà (e tanta pigrizia nella scelta dei candidati, però), non riesce ad appassionare, a far sentire viva e nobile la politica.
Sono soltanto piccole riflessioni di chi ha sempre amato la politica da quando aveva vent’anni, e continua a farlo nonostante l’irrisione di qualche intellettuale da salotto e da tastiera verso i boomer che guardano con speranza alle giovani persone (loro che giovani, nonostante l’anagrafe, non sono stati mai, ma pazienza).
Quanto il Pd perse le ultime elezioni politiche, scrissi del suo programma elettorale. Dove non c’era solo il famoso elefante di George Lakoff, ma l’intero corteo degli elefanti rosa di Dumbo (quelli che hanno terrorizzato varie generazioni di bambini con la canzoncina “Son qua… son qua… i rosa elefanti siam”). Nella lunga premessa, infatti, si evocava continuamente la destra, rimarcando l’importanza di “offrire agli Italiani e alle Italiane un progetto limpidamente alternativo a quello di una destra che ha riconfermato tutta la sua inaffidabilità “. E ancora: “un governo di queste destre rappresenterebbe un pericolo per l’Italia”, “la destra italiana rappresenta una concreta minaccia per l’economia, la coesione sociale, l’ambiente. La destra italiana propone una visione oscurantista e isolazionista del Paese. La destra italiana diffonde paura, avversione, odio”.
D’accordo, non hanno letto Lakoff. Se ne era avuta un’avvisaglia in una delle immagini diffuse all’inizio della campagna elettorale, raffigurante un pensoso Salvini e alcune delle sue, diciamo, promesse: “faremo centomila espulsioni all’anno” “mi dia due settimane al ministero dell’Interno e ne espello cento al giorno.”. Ecco, se pensate che gli sia stata contestata l’idea dell’espulsione sbagliate di grosso: la scritta (del Pd) era “Un anno con Salvini ministro: 7289 rimpatri, 19,96 al giorno”. E subito sotto” Destra italiana: solo propaganda, zero soluzioni”. In pratica, gli è stato rimproverato di aver espulso troppo poco.
Già che ci siamo, andiamo a vedere cosa si diceva nel programma sui migranti: come forse immaginate, non appare il nome di Minniti. Sì, c’è l’Agenzia di Coordinamento delle politiche migratorie, l’abolizione della Bossi-Fini, l’allargamento dei corridoi umanitari. Ma non si parla del Memorandum Italia-Libia, degli accordi con la Guardia Costiera di Tripoli, e ci si dimentica anche qualcosa: quando nel programma si scrive: “Siamo stati, siamo e saremo sempre contro politiche di respingimenti, apparenti “chiusure dei nostri porti” o, addirittura, non meglio precisati “blocchi navali”: vale il sacrosanto principio per cui chi è in pericolo in mare va soccorso e salvato sempre”, forse sfugge dalla memoria che quel sempre andrebbe preceduto da un quasi: per esempio, Anna Ascani, vicesegretaria Pd e poi viceministro all’istruzione, il 20 gennaio 2019 dichiarava: “Non mi vergogno di quanto ha fatto Minniti perché c’era un problema di accessi non regolati nel Mediterraneo mentre ci preoccupavamo solo dei superstiti “. Vale la pena di ricordare che il 14 novembre 2017 l’Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad Al Hussein aveva definito disumano e vergognoso il memorandum (per il resto, continuare a chiedere a Papa Francesco dall’aldilà).
E dunque? E dunque l’astensione non è l’unica via: la via è essere consapevoli che la società che sogniamo dobbiamo costruircela tutti e tutte, e non solo trovarla scritta in un programma. Come diceva Eliot ne Il canto d’amore di Alfred Prufrock, questo l’invito, questo il primo gesto:
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Uno può anche crederci alla politica, alla sua valenza, al fatto che sia di tutti noi cittadini. Sono i politici che ce la rendono repulsa. Possibile che siano tutti così pavidi, mollicci…?