STAGIONI NON DIVERSE: L’EDITORIA NON E’ FINITA

«Detto in breve, sarei condotto a credere che la ripresa del romanzesco da parte dei narratori italiani giovani negli anni che vanno dai primi ottanta alla fine del decennio successivo abbia rappresentato una sorta di chant du cygne. Non già l’inizio di una stagione nuova, quanto piuttosto il concludersi di un’epoca di autori ed editori che erano stati protagonisti dagli anni controversi e fecondi del Gruppo 63 al giro di boa del nuovo millennio. Dalla stagione, per intenderci, in cui volgendosi indietro il giovane Arbasino sapeva di poter guardare con fiducia ai grandi vecchi Gadda, Longhi, Palazzeschi, Contini… e poi “addirittura Moravia, che era di una generazione successiva… Basta vedere quali erano i livelli qualitativi di allora,” dice, “e quelli di degrado in cui ci si dibatte adesso. Vi è del disagio. Poiché nel degrado si prova disagio, c’è poco da fare.”
Esattamente per questo, mi dico, non è che converrà manovrare con un certo senso di responsabilità e coraggio, volendo evitare un gran brutto cozzo finale col temibile iceberg che in piena notte si staglia come montagna avanti a noi?»

Parte della bellissima intervista di Angelo Ricci a Massimo Canalini, realizzata nel 2018 su Medium (la trovate qui). La morte di Canalini, grande editor di Transeuropa, e poco prima di Ernesto Franco, direttore editoriale di Einaudi, hanno fatto pensare e scrivere a molti che un’epoca dell’editoria è finita. Forse sì, come sempre avviene del resto: l’editoria di oggi ha pochissimo a che vedere, in realtà e già da tempo, con quella degli anni Ottanta e Novanta. Ma se giustamente piangiamo e salutiamo le persone, sono convinta che non dobbiamo piangere l’editoria. Mi permetto di riportare qui le parole di un altro protagonista della cultura che mi era caro, Paolo Mauri, che nel suo L’arte di leggere, nel 2007, scriveva:

“La nostra epoca ha già nostalgia dei libri. Non li ha ancora eliminati, non è ancora riuscita a sostituirli con lo schermo dei computer. Ma diamo tempo al tempo: per i computer questa è la protostoria. Intanto si moltiplicano i romanzi e i film in cui si racconta di piccole librerie che resistono impavide di fronte al proliferare dei colossi che vendono solo bestseller. Zafon, all’inizio del suo romanzo, immagina una sorta di biblioteca segreta. Borges ha dichiarato la biblioteca di Babele infinita.
Don Chisciotte e madame Bovary si sono rovinati leggendo romanzi. La piccola Alice, sentendo leggere, si è addormentata e si è messa a sognare: adesso siamo noi che possiamo leggere Alice. E sognare insieme a lei.

La televisione fa una grande concorrenza al libro: ruba tutto il tempo disponibile. Ne lascia un briciolo ai grandi, quasi niente ai bambini. La battaglia per la lettura è impari.

Secondo un recente libro bianco sull’editoria i dirigenti italiani spendono quanto gli operai per acquistare libri. I libri non compaiono in molte case e c’è chi pensa che averne uno sia già abbastanza. E se l’umanità che legge smettesse di leggere? Interromperemmo una catena virtuosa, che ci consente di collegarci, anche senza internet, con il mondo del passato e del presente lontano da noi. La lettura è esplorazione, esposizione di sé all’esperienza altrui. Poi, si sa, c’è anche l’arte, l’emozione di incontrare l’opera d’arte sotto forma di poesia, di romanzo o di racconto. In breve diventeremmo molto piú poveri. Vivere senza leggere non è impossibile, molti lo fanno e lo hanno sempre fatto.

Waugh, nel suo magnifico romanzo Una manciata di polvere, immagina che un colono analfabeta che vive nella foresta amazzonica ospiti un esploratore colto per farsi leggere, la sera, le opere di Dickens. Ho detto «ospiti», ma ben presto il malcapitato scopre che si tratta di una vera e propria schiavitú. L’uomo ha un fucile e lui, che si è perso, non ha piú nulla. Si salva con la lettura come Sheherazade.

Chi legge ha sempre una sorta di fucile puntato contro: se smette qualcosa finisce per sempre. Non muore solo il lettore, muore tutto un mondo. Impossibile? E già accaduto un’infinità di volte”.

 

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