LA RESPONSABILITA’ DEI GIORNALI NELLE CRONACHE DEL 22 SETTEMBRE (GRAZIE A ECO E BORGES, MICA E’ TUTTA FARINA DEL MIO SACCO)

Per carità, non voglio fare lezioni. E a che titolo, poi? Quindi, comincio subito con una lezione contenuta in un articolo del 2001. Lo firma Umberto Eco.

“Invece di praticare giornalismo, e cioè andare a vedere quello che accade nelle zone in cui il giornale appare, un gran numero di giornalisti attendono sui gradini del parlamento aspettando che appaia un uomo politico e faccia la dichiarazione del giorno. Le «storie» principali quindi consistono in un ping pong tra i leader politici.

Questa insistenza sull’arena politica risale forse al periodo in cui l’Italia era uno dei maggiore campi di battaglia della guerra fredda, quando la minima variazione di idee di un leader politico poteva avere conseguenze internazionali. Ma ora la posta in gioco sembra essere solo il potere personale. Così l’abilità giornalistica si è atrofizzata e i giornali spendono gran parte del loro tempo a riciclare acqua calda. La simbiosi tra stampa e potere politico deriva dallo stretto rapporto tra i proprietari dei maggiori giornali e la classe politica. Il mondo degli affari dipende dalle decisioni governative e recentemente il proprietario di un importante giornale ha detto che per essere protagonista in campo economico bisogna possedere un giornale”.

Ora, dal paradiso dei buoni maestri, se esiste, Eco forse scuoterà bonariamente la testa dopo aver letto i giornali di oggi e visto i telegiornali di ieri sera.
Perché con pochissime eccezioni (le solite, Il Fatto e il Manifesto) i giornali aprono le cronache delle gigantesche, meravigliose piazze di ieri con la notizia degli scontri milanesi. Gli stessi che hanno dato adito alla premier e alle destre tutte di dire che chi si batte per la Palestina è violento, chi è antifascista è violento, chi scende in piazza è violento. Pare che Piantedosi abbia dichiarato che il governo non vieterà mai manifestazioni e cortei. E ci mancherebbe altro: ma è gravissimo che abbia potuto soltanto dirlo.

Date un’occhiata ai giornali, vi prego, e poi date un’occhiata ai social, alle centinaia di fotografie gioiose, sotto il sole o la pioggia, nelle città grandi e in quelle piccole, nei porti e nelle piazze, e tirate le somme.
E a chi scrive oggi su un giornale vorrei ricordare che è esattamente questo il problema: raccontare a partire dall’eccezione e non da tutto il resto. La notizia è che mezza Italia è scesa in piazza. La notizia non sono coloro che protestano e dicono andate a lavorare e delinquenti: quelli ci saranno sempre e, ma guarda, ci sono sempre stati. Sono quelli che hanno girato la testa dall’altra parte per non vedere, mille e mille volte. Sono quelli che hanno votato Trump perché le uova costavano troppo. Sono quelli che la politica è una cosa brutta, che credono alle promesse, che so, di una casa ricostruita al volo dopo il terremoto (ogni riferimento è puramente casuale), che purché a casa stiano tutti bene chisseneimporta, e se qualcuno le case e i figli e la vita non ce l’ha più non è un problema loro.
La notizia sono gli automobilisti romani (e chi è di Roma può capire) che, bloccati nel traffico dal corteo scendono dalle macchine e applaudono e cantano. La notizia sono insegnanti, medici, portuali, studenti, vecchi, giovani e bambini che tutti insieme gridano il loro no alle strade e alle piazze.
Dare la priorità al sampietrino e al cassonetto è una responsabilità dei giornali.
Fornire alibi a chi ci governa è una responsabilità dei giornali.
Questa lezioncina, che tale è divenuta, è inutile, ma tanto dovevo. E dunque la chiudo con un’altra lezione, stavolta di Borges:

“Un libro è un oggetto fisico in un mondo di oggetti fisici. È un insieme di simboli morti. Poi arriva il lettore giusto e le parole – o meglio la poesia che sta dietro le parole, perché le parole in sé sono semplici simboli – tornano in vita. Ed ecco la resurrezione della parola”.

Fatele tornare in vita, queste parole. Per favore.

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