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Sono passati quasi ventiquattro anni da Genova 2001, e ieri arriva la notizia che il nuovo questore di Monza, dal 1 giugno, sarà Filippo Ferri “attualmente dirigente della Polizia ferroviaria di Milano”.
Ferri è stato condannato in  Cassazione nel 2012 per il processo Diaz: tre anni e otto mesi di carcere per falso e calunnia e interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. All’epoca, la Cassazione parlò di “massacro ingiustificabile che ha screditato l’Italia” e di “pura esplosione di violenza”.
Del resto, non è il solo. Altri due condannati, Pasquale Troiani e Salvatore Gava , sono rientrati in polizia, passando alla polizia stradale per poi diventare entrambi vicequestore nel 2020.
Si dirà che ognuno ha diritto a una seconda possibilità. Il problema è che di seconde e terze possibilità ce ne sono state tante: pensiamo a Gianni De Gennaro, allora capo della polizia, che è stato non solo assolto ma sia stato nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri sotto il governo Monti e poi presidente di Leonardo, ex Finmeccanica.
Ma sono passati ventiquattro anni, quasi un quarto di secolo.
In ventiquattro anni la storia, come avviene fatalmente, si è avvolta in spire ed è balzata in avanti ed è tornata a riavvolgersi. E questo è banale, oltre che fatidico.
In ventiquattro anni abbiamo scoperto, di nuovo, le parole “paura” e “guerra”. Che c’erano anche prima, ma erano coperte da altre. Forse potremmo scoprirle di nuovo, se avessimo la voglia, e la forza. Abbiamo scoperto la fragilità, ma non mi sembra che ci stia servendo, almeno ora. Abbiamo scoperto il massacro premeditato, come sta avvenendo a Gaza.
Dopo ventiquattro anni, avrei voglia di chiedere al nuovo questore di Monza cosa pensa, cosa ricorda, come si sente.
Sarebbe, temo, inutile come cercare  i cinquantanove cigni di Yeats, le creature di luce cantate in “The wild swans at Coole”. Anche se i cigni ci sono, in realtà.  Sono quelli che ci fanno leggere storie di vicinanza, di affetto, di pietà.  Che domani saranno nelle piazze d’Italia con le lenzuola bianche per protestare contro i cinquantamila sudari di Gaza. Non è affatto una questione di bontà e tanto meno di buonismo. E’ preservare noi stessi. La parte viva di noi stessi. “I loro cuori non sono invecchiati”, dice Yeats dei suoi cigni. Questo bisogna pensare, dopo ventiquattro anni. Credo.

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