Leggevo ieri sera sulla newsletter del Corriere della Sera che molte donne statunitensi stanno lasciando il lavoro. Scrive la sempre brava Elena Tebano: “Almeno 455 mila hanno smesso di lavorare fuori casa solo tra gennaio e agosto di quest’anno, secondo i dati dell’Ufficio di statistica del lavoro americano (che attualmente non vengono più aggiornati, a causa della chiusura del governo americano). Il dato è ancora più alto nel confronto con l’anno scorso: 600 mila donne in meno che lavorano. La Cnn la chiama «She-cession», un gioco di parole tra recessione e «lei» («She», in inglese). Un rapporto della società di consulenza Kpmg parla di «Grande Uscita». Si tratta di una svolta significativa, che inverte una tendenza quasi secolare”.
I motivi? Mancanza di assistenza per l’infanzia, raddoppio dei costi degli asili nido (per dazi e inflazione), ma anche l’ideologia MAGA che vuole che le donne tornino a fare le donne. A casa.
Riguarda gli Stati Uniti e basta? Macché. In questi giorni mi inviano video di tizi italianissimi che dicono la stessa cosa: le donne tornassero a fare le donne, il femminismo è tossico (seguono varie declinazioni, alcune a opera di garbati, si fa per dire, comici televisivi che si fingono giornalisti), in soldoni è ora di dire basta.
Ce ne stiamo rendendo conto, spero, e spero anche nella consapevolezza che la faccenda sarà lunga, e che magari invece di legnarsi a vicenda bisognerebbe lavorare su questo.
Tanto per rinfrescarci la memoria. Nelle prime pagine de “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood , Difred sbircia nello specchio del corridoio, si vede riflessa e si avvia “verso un momento di noncuranza identica al pericolo”. Esattamente come sta avvenendo a noi.