UN’ECOLOGIA EDITORIALE E’ POSSIBILE: IL CASO RIDEAU ROUGE

E’ un lunedì diverso dal solito, perché arriva dopo giornate a loro volta molto diverse dal solito. Da cui, qui, traggo una considerazione che è nei fatti una domanda: come reagisce il mondo della cultura e soprattutto della letteratura a quanto sta avvenendo?
Intendiamoci, le adesioni individuali a quello che è un inizio di (movimento? ecologia?), ci sono eccome. Ci sono da parte di scrittrici e scrittori, e anche di librerie. Ma come altro si interviene? Con i libri? Con i discorsi pubblici? Con quali azioni?
Lascio nell’aria le domande e vi invito a leggere l’articolo di Maria Teresa Carbone sul Manifesto. Articolo importante, uscito lo scorso 2 ottobre,  dal titolo “Librerie e centri di militanza quotidiana”, che mostra come sia possibile percorrere altre strade.
Si parla di una libreria francese, Le rideau rouge, nel quartiere Marx Dormoy – La Chapelle, nel 18° arrondissement di Parigi. E’ una libreria di quartiere attiva da 21 anni ed è qualcosa di più, scrive Carbone: “un centro di militanza quotidiana contro un sistema editoriale fondato su meccanismi perversi (e autolesionisti) di crescita costante”. Al suo interno esiste anche una Biblioteca militante, che oltre al prestito e acquisto di libri si apre a incontri e proposte e workshop.
C’è di più. Carbone riporta stralci di un’intervista rilasciata da una libraia, Mathilde Charrier, nella sua veste di coordinatrice dell’Association pour l’écologie du livre a Sébastien Ornont sulla rivista online En attendant Nadeau.
Vi consiglio di leggerla tutta: perché rende giustizia a tutte e tutti coloro che sostengono da anni che la sovrapproduzione di titoli è dannosa per ogni frammento del sistema editoriale, che, come dice Charrier, è “basato fin dagli anni ’80 su una crescita irragionevole della produzione”:

“Oggi, in Francia, durante l’anno, vengono pubblicati in media trecento nuovi libri al giorno, in tutti i settori editoriali. Dal punto di vista ecologico, questa produzione non ha senso, poiché tutti i libri invenduti finiranno, nella migliore delle ipotesi, in magazzino, ma più spesso al macero L’attenzione rivolta alle uscite letterarie di settembre e gennaio corrisponde, a nostro avviso, a un tentativo di svendere una produzione eccessivamente ampia”.

Nell’Association sono presenti librai, editori, giornalisti, traduttori. L’idea è “rimettere  in discussione l’impostazione capitalista e produttivista dell’editoria” e sostiene che riflettere sul libro significa pensare anche a una società diversa.
Si parla di calo dei lettori (già sentito?) che non giustifica la ridondanza dell’offerta e di predominio dei grandi gruppi editoriali (sentito pure questo?) e delle loro strategie di monopolio (commenti a voi):

“A parte la rentrée letteraria, questo comporta innanzitutto l’acquisizione di piccole case editrici con autori che poi aggiungono al loro catalogo. Questo contributo dà loro la potenza di fuoco per occupare spazi mediatici e scaffali delle librerie. Un gruppo come Hachette, di proprietà di Vincent Bolloré, controlla Grasset, Stock, Fayard, Lattès, Calmann-Lévy, pubblica Sorj Chalandon o Gaël Faye , garantendo una visibilità molto significativa a ogni rentrée letteraria. Questo tipo di gruppo beneficia di notevoli mezzi di diffusione e distribuzione e può inviare comunicati stampa a tutte le redazioni, lanciare campagne di affissione, ecc. I lettori raramente sanno che, se un comunicato stampa non viene ricevuto da una redazione, ci sono poche possibilità che il libro venga recensito. Tuttavia, le piccole case editrici indipendenti non hanno i mezzi per inviare centinaia di comunicati stampa. Nei principali media, gli articoli si concentrano spesso su libri pubblicati da grandi aziende. Questo porta a una rappresentazione unilaterale della letteratura, con lo stesso tipo di testi in ogni momento, il che è dannoso per la bibliodiversità. Per noi questo termine si riferisce alla diversità del mondo dei libri e alle rappresentazioni che esso trasmette”.

E cosa si fa? Una cosa che sarebbe bello vedere anche in Italia:

“Lo scorso anno abbiamo lanciato un appello per una tregua sulle nuove uscite , rinnovato nel 2025 e sottoscritto da oltre cinquanta librai. Anche i bibliotecari hanno fatto questo passo. L’idea è quella di rifiutare collettivamente, come spazio di vendita o di lettura, per un certo periodo, almeno alcune nuove uscite. E al contrario, di prendersi il tempo di riflettere su come gestire il magazzino o il catalogo delle piccole case editrici. Il feedback sulla tregua sulle nuove uscite mostra che il fatturato delle librerie partecipanti non è diminuito e che potrebbero vendere altrettanto, o addirittura di più, acquistando meno. Le librerie dipendono meno di quanto si possa pensare dal flusso di nuove uscite degli editori”.

Quel che possiamo dedurre è che un altro mondo editoriale è possibile, che fare rete non è un’utopia e che non dobbiamo in alcun modo ritenere che il predominio dei filoni, delle ripetizioni e dell’imperativo dei grandi numeri sia inamovibile. Ovviamente, con tutto il rispetto e anche il piacere nel leggere libri più lievi: ma senza uccidere in culla tutto il resto, che si chiama bibliodiversità.
Pensiamoci su.

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