82. STORIE DAI BORGHI. LA CAMERINO RUBATA DI BARBARA

Ben ritrovato, commentarium. E naturalmente si prosegue. Questa volta addirittura con un racconto su Camerino. Lo ha scritto Barbara Re. Eccolo.
Ladri di città

Nonostante gli abitanti di Camerino già mi conoscano o forse è meglio dire “riconoscano”, non solo per correttezza, ma anche per la buona educazione dei miei proprietari è necessario per prima cosa presentarsi. Così, il mio nome è Panda. Mi raccomando non fatevi distrarre dal nome. Sono una macchina. Appartengo alla famiglia delle “Fiat”, immatricolata nella regione Marche, e con un libretto di circolazione che risiede nel comune di Camerino. Rispetto alle mie colleghe, anche di cilindrata più grande, credo di essere stata una privilegiata grazie al mestiere dei miei proprietari, che per più di 40 anni sono stati indiscussi artigiani della pizza. Eh sì, perché protagonista principale della mia vita e del mio lavoro è stata proprio lei, la storica quanto famosa Pizzeria Re. In questa storia non posso non parlarne. Infatti non è stata solo una semplice pizzeria, ma la mia pizzeria. Senza di lei ora non potrei stare qui a raccontare le mie numerose avventure che insieme alla fatica e agli impegni mi hanno soprannominato mitica. Quindi il mio nome completo è Mitica Panda.
Quella mattina le campane delle chiese non suonarono. Il gallo non fece chicchirichì, né il cane bau bau e neanche il gatto miau miau. Che cosa strana pensai. Ricordo che anch’io quel giorno mi svegliai a dir poco mezza rotta. Mi sentivo confusa e disorientata come se tutti i miei punti di riferimento fossero svaniti. Iniziai a guardarmi intorno. C’era un silenzio troppo fastidioso misto ad una sensazione di agitazione ed irrequietezza.
Nell’orto, nascosto fra le piante d’insalata, vidi il galletto che beccava nel terreno.
– “Ehi chicchirichì” -, come ero solita chiamarlo, – “perché questa mattina non mi hai cantato la tua sveglia?” Il gallo con sorpresa alzò il becco, si sistemò la cresta e guardandomi disse:-“ma non hai saputo?” –“Saputo cosa?” risposi incuriosita. Senza aspettare che finissi di terminare la domanda si era di nuovo imboscato, stavolta in mezzo alle piante di pomodori.
“Boh”! Pensai. Ero così sorpresa dalla singolarità della circostanza che solo allora notai che all’orizzonte c’era qualcosa di tremendamente diverso.
Dal giardino della casa, vidi arrivare di corsa Luciano, il mio proprietario, mentre in lontananza sentivo un vociare indistinto di persone. Montò in macchina trafelato ed agitato. Ansimando disse-“corri, non c’è tempo da perdere. È successa una cosa gravissima. –“Cosa?” chiesi preoccupata mentre iniziavo a far girare i pistoni e accendere le candele. –“Questa notte qualcuno ha rubato Camerino”. –“Come?”, pronunciai incredula. –“Si hai capito bene. Hanno rubato Camerino! Non si trovano più le vie, le piazze, le chiese, le scuole, le case. Non c’è più niente. È scomparso tutto”. E poi con un tono di voce triste e visibilmente turbato aggiunse:- “è scomparsa anche la nostra pizzeria”. Decisa, ingranai la marcia e partii.
Chiaramente preoccupata, percorsi a tutta velocità la ripida salita della Madonna delle Carceri, una strada che univa la periferia al centro storico del paese.
All’altezza del monumento dedicato a Vitalini, in prossimità dell’antica cinta muraria, vicino all’imponente palazzo Battibocca, trovai la strada sbarrata da una barriera costruita ad arte con tavole di legno e presidiata dai vigili urbani. Parte dei cittadini camerti che vidi assembrati in quel piccolo spazio erano tutti spettinati ed infreddoliti. Pieni di domande e visibilmente scossi erano in attesa. Se non fosse perché la situazione era tragicamente surreale sarebbe potuta essere una scena degna di un film comico. In molti infatti quella mattina si svegliarono senza avere più un letto, chi addirittura senza neppure più un tetto. Gli armadi pieni di vestiti erano scomparsi e c’era chi era rimasto,o solo con il pigiama, o chi addirittura in mutande.
Incitata da Luciano provai a passare oltre il muro, era dovere assoluto verificare le condizioni della nostra attività, ma la polizia prontamente ci fermò.
In gioventù, quando ero più spavalda e spiritosa ero solita infrangere le regole. Parcheggiavo in divieto di sosta o circolavo in strade dove non era consentito passare. A volte andava bene, altre volte no. Correvo i miei rischi. Immediatamente riconobbi il fischio. Un vigile mi stava intimando l’alt . Mi fermai. Quella mattina non era il caso di fare gli spiritosi.
Era divieto assoluto accedere all’interno del paese se non previa autorizzazione ed accompagnati da un pubblico ufficiale. Cercai allora di spiare attraverso una piccola fessura sulla parete. Non era facile guardare, ma quel poco che vidi fu sufficiente a farmi preoccupare e rattristare ancora di più. Della piazza accogliente ed elegante con i suoi palazzi di rappresentanza e negozi non restava più niente. Quel che il giorno prima era stato un luogo di festa e spensieratezza animato in gran parte dai giovani studenti universitari che affollavano i tavoli del bar, sbirciati dallo sguardo solenne di Papa Sisto V, rimaneva solo un ricordo. Un gran polverone bianco si alzò al passaggio di un mezzo di soccorso lungo quel che restava del corso, corso Vittorio Emanuele, strada vocata al passeggio e allo shopping.
Quella mattina, solo il silenzio riempì un grande spazio vuoto.
Un impercettibile brivido, tanto fulmineo quanto profondo, percorse tutto il mio abitacolo. Fu veloce, ma provai una penetrante sensazione di paura. Iniziai ad agitarmi e a dare segni di irrequietezza.
Demolita delle mie certezze, parlava la mia anima. Solo allora mi resi conto che non avevo più un’appartenenza. Camerino, la mia casa, non esisteva più. Era crollata la dimora in cui le mura difendevano il mio privato, erano deturpate le piazze accoglienti nella loro vocazione di luoghi di riunione e di mercato, erano definitivamente chiusi i locali quali spazi di amicizia ed intrattenimento ed erano fallite le resistenze di antiche chiese quali luogo di tutela di un intimo patrimonio spirituale. Pensai che essere un cittadino senza più che le mura della propria casa o del proprio paese possano proteggere, riparare ed accolgliere è essere come un fantasma scomparso nei ricordi. Sei, ma non sei. Ognuno, della propria identità può continuare a scrivere un nome, un cognome, la data di nascita ma restano vuoti gli spazi che sulla carta denotano una residenza, un indirizzo ed una identità collettiva.
Quei pensieri mi stavano affaticando troppo. Iniziai a perdermi, e con me tutte le mie convinzioni. Che importanza aveva sapere di chi fosse la responsabilità di quell’orrendo oltraggio.
Da lontano arrivarono squadre scelte per effettuare sopralluoghi e rilievi. C’era un fermento di macchine, mezzi e gru. Il personale qualificato, riconoscibile dal fatto che tutti indossavano tute grigie su cui erano cucite strisce catarinfrangenti gialle e con in testa caschi di colore rosso, si muoveva con cautela e prudenza. L’attenzione si concentrò su alcuni indizi che sarebbero stati utili per la ricerca del colpevole.
Fuori le mura, la popolazione già iniziava a formulare supposizioni. L’ipotesi più comune parlava di una organizzazione ben strutturata e radicata che già venti anni prima aveva provato a violare alcune città, fra queste anche la stessa Camerino e parte del territorio circostante. Quella volta ci fu il danno ma la refurtiva fu subito trovata e prontamente risistemata nei luoghi di provenienza. Questa volta no, era tutto tragicamente più grave. Questi balordi erano riusciti nel giro di una notte a portarsi via tutto. I furti poi avevano coinvolto un’area molto più vasta. Sicuramente i tempi per recuperare il maltolto e consegnare i colpevoli alla giustizia sarebbero stati decisamente più lunghi e rallentati da maggiori complicazioni.
Triste, rimasi parcheggiata in disparte . Più ascoltavo quel vociare angosciante di persone e più cresceva dentro di me tanta rabbia. –“Perchè ci hanno rubato?” Mi chiedevo con insistenza.-“ E come questo si sarebbe potuto evitare?” Continuavo a domandarmi. Alternavo momenti di ponderato autocontrollo a stati di profonda angoscia durante i quali perseguivo nelle mie vorticose quanto dolorose riflessioni. Che strazio! No, non potevo immaginare la mia vita senza quei semplici appuntamenti quotidiani che abbellivano le mie giornate. Non osavo pensare a non poter più gustare della passione e della dedizione che i miei proprietari, Luciano e Giovanna avevano dedicato al loro lavoro e che in breve li aveva proclamati a pieni voti, a lui dottore in pizza e a lei maestra di cucina.
Famose erano ormai le loro specialità culinarie. Una popolarità così grande da superare molti confini fino a raggiungere le accademiche aule universitarie. Una lezione magistrale o un esperimento di importanza scientifica internazionale infatti, si sarebbe prontamente interrotto se dalle finestre arrivava l’odore di pizza con cipolla e pancetta o ancor più quello di un tipico piatto della tradizione contadina del territorio di Camerino: “i fagioli con le cotiche”, di cui Giovanna era una indiscussa cuoca.
Era stupefacente la velocità nel cambio d’abito di questi affermati quanto affamati cattedratici che, in un batter d’occhio si trasformavano in impazienti avventori alla conquista del piatto. Addirittura erano in molti che, pur di garantirsi la porzione, sapendo dell’eccezzionalità di questa gustosa quanto inconsueta pietanza, non solo si prenotavano con largo anticipo, ma si presentavano all’appuntamento portando ciascuno il proprio pentolino da casa. Una pentolata di fagioli e di cotiche di maiale, ripulite ad una ad una, bolliva, bolliva, bolliva, come fosse una pozione dai poteri magici. In effetti qualcosa di speciale avveniva: alla fine erano tutti felici e contenti.
Detestavo l’idea che tutto era cambiato e che nulla sarebbe stato più come prima. Mi pentii di non aver provveduto a proteggere e custodire gelosamente come un tesoro ciò che della mia città era abitudinario e spesso noioso.
Quel giorno restammo tutti nudi, spogliati ed indifesi. Dentro e fuori di me c’era solo deserto e tutt’intorno era arido. Solo una grande tristezza dava l’illusione di placare la mia sete.
Sarei voluta fuggire e scappare da quella surreale situazione, ma per andare dove? A questa come alle altre domande non potei dare una risposta e sconfitta iniziai a piangere.
Un rombo mi svegliò. Era il mio motore. Finalmente dopo diversi tentativi si era messo in moto. Ero tutta sudata. Luciano impazientemente premeva con i piedi sui pedali alternando quello della frizione a quello dell’accelleratore. Percepivo il suo nervosismo attraverso le mani che appoggiate sul volante mi imploravano di partire.
In lontananza sentii il gallo fare chicchirichì, il cane bau bau e il gatto miau miau.
Che sollievo! Avevo fatto solo un brutto, bruttissimo sogno. Si, fu così, ero rimasta ingolfata! Per una distrazione del benzinaio, il giorno prima le mie candele si erano bagnate e un accumulo di miscela nel cilindro non aveva permesso la detonazione del carburante. Malconcia e stanca sussurrai un buongiorno a mezza bocca.
Sfolgorante come sempre, la mia Camerino, mi sorrideva con una luce smagliante. -“Eccola là” dissi confortata. Mai ero stata così felice come quel giorno. Quella mattina pensai alla bellezza. Sarà perchè capii che la storia del mio paese la potevo comprendere solo attraverso la sua espressione architettonica, o forse perchè aveva risvegliato in me l’emozione di godere di atmosfere uniche ed irripetibili, ma il fatto è che, in quel momento, mi sentii una privilegiata a vivere in luogo bello come quello.
Ora che finalmente ero sveglia e con ogni cosa al suo posto riflettei con orrore a cosa sarebbe potuto succedere se una città come la mia, con la sua voce e sguardo, fosse veramente scomparsa.
Pensai che il mondo sarebbe stato molto più povero.
Barbara Re

3 pensieri su “82. STORIE DAI BORGHI. LA CAMERINO RUBATA DI BARBARA

  1. Bellissimo racconto sulla mitica Panda,sui mitici Luciano e Giovanna e sulla città di Camerino che sicuramente ritornerà più bella di prima

  2. Questo racconto l’ho letto in un soffio di vento ma mi ha lasciato nel cuore molte emozioni…le stesse che la scrittrice Barbara ha saputo trasmettere con elegante simpatia , semplicità e amore…bravissima e generosa donna!

  3. La panda ,la Pizzeria Re mi hanno riportato indietro di qualche anno fa,quando decisi di vivere a Camerino…vorrei chiudere gli occhi e riaprirli senza questa realtà..triste.

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