97. STORIE DAI BORGHI: NASCE "LO STATO DELLE COSE"

Si chiama “Lo stato delle cose”. E’ un progetto di memoria e militanza. Raccoglie, dicono gli ideatori (Antonio Di Giacomo, in realtà: è lui che ha avuto la costanza e la pazienza di realizzare il sito), “oltre 200 fotogallery e oltre 10.000 immagini per raccontare L’Aquila oggi e l’Italia del doposisma, dai paesi in abbandono dopo il terremoto del 1980 in Irpinia fino al sisma di Amatrice e del Centro Italia nel 2016”. E’ il più grande  osservatorio fotografico online sugli effetti dei terremoti in Italia: 60 i fotografi italiani che hanno aderito, per non dimenticare e non far dimenticare. Ci sono anche alcuni scrittori: Angelo Ferracuti, Franco Arminio e, sì, la vostra narratrice. Con questo piccolissimo intervento (che poco conta, visitate invece il sito e diffondetelo).
Il tempo qui non è stato
che un pezzo di cartone,
un sobbalzo. La porta
si chiude per l’ultima volta.
Il fascio di forze domestiche
il genio del luogo
saluto ora con ringraziamento.
A tutto ciò che tace perfettamente
e che sempre qui dentro ha taciuto
a ciò che non appare
in questa casa vuota
e resta come in larga attesa.
A questo punto del mondo, alto sulla città vecchia
a questa cuccia di luce e conforto
in cui abbiamo amato meglio che potevamo
e dormito bene nella sua pace
e fatto tutte le cose umane
delle vite, al mio cuore
senza tristezza che tutto saluta
contento, come esercizio
di distaccamento, come grande
scuola del trasloco e del suo lasciare la presa.
Vi lascio, cose.
Il vostro mancarmi sia la melodia
che ora mi guida:
La schiena liberata dal peso
stia dritta in attesa
della più alta impresa.
Il bastarmi del poco e del niente che serve.
E il resto sia vuoto. Sia intesa
con tutto ciò che non pesa.
Ricordate questa poesia? E’ di Mariangela Gualtieri, si chiama Esercizio del trasloco. La postavo sul blog a fine dicembre 2014, straziata dall’abbandono della mia vecchia casa, quella dove avevo vissuto vent’anni, dove i figli bambini avevano gattonato e poi corso nel corridoio e poi si erano chiusi in camera a sentire musica, quella dove avevo scritto, amato, dove avevo bevuto spremuta d’arancia per un’influenza, dove avevo pianto, riso, sognato.
Separarsi dalla propria casa significa lasciare un pezzo della propria vita dietro di sé, dire addio, e ricominciare. Credo che accada, se non a tutti, a parecchi: almeno a quelli un po’ (tanto) sentimentali e fragili come io sono.
Ora, immaginate.
Lo chiedo a chi, con parole gentili o, altrove, più brusche, dice che non se ne può più di sentir raccontare queste storie, e che sarà mai, e non sei più trendy, e noi si vuole la bella sanguigna polemicona letteraria o femminista, il postarello vispo o graffiante. E basta, sono vivi questi terremotati, che sarà mai.
Che sarà mai, giusto. Pensa, tu che sbuffi, al non poter neanche dire addio alla tua casa. Non poter abbracciare piangendo il tuo compagno o compagna mentre chiudi per l’ultima volta la porta. Perché la porta non c’è più e la casa non c’è più e tu non hai avuto neanche il tempo di dirle addio, e quindi di chiudere un percorso, e se i percorsi non si chiudono il lutto rimane bruciante.
Pensa, anche, ai tuoi gatti, o cani. Quelli che quando torni la sera si strusciano sulle tue gambe sottintendendo “sei mia, cara, sei tornata, e, sì, fuori i croccantini”. Pensa ai gatti e cani dispersi nel terremoto: a loro Silvia Ballestra ha dedicato un gran bel libro che è appena uscito, Vicini alla terra. Pensa insomma a quel che fa parte della tua vita. O del tuo lavoro. Agli allevamenti di animali. Alle aziende. Pensa a quel che vuoi.
Immagina che tu non solo non abbia più nulla, ma che dai primi giorni di novembre tu sia altrove, al mare, in albergo, e che caspita fai in albergo al mare, la vacanza? E che vacanza, se non hai scelto e non volevi, e vorresti invece essere dove hai scelto di essere? Pensa alle promesse che ti fanno: dai dai, a dicembre i container, ad aprile le casette, e pensa invece che quelle casette, lo scopri, te le daranno a Natale 2017, se va bene, e che adesso stanno cercando un posto dove piazzarti di nuovo, perché la stagione comincia e qui insomma non puoi restare.
Pensa un po’ a questo, caro lettore o lettrice, e sopporta chi narra, perché finché ci saranno storie da raccontare, vanno raccontate. E’ l’unica cosa che possiamo fare.

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