QUELLA TELEFONATA CON FRANCESCO PAZIENZA

Circa un anno fa ho preso coraggio e ho telefonato a Francesco Pazienza, faccendiere, uomo dei misteri, morto ieri nella sua casa di Lerici a 79 anni. Nell’ingenuità che ancora mi porto addosso volevo chiedergli cosa sapesse di Graziella e Italo.
C’era un motivo.
Nel 1983 Pazienza scrive a Bettino Craxi chiedendo formalmente “di poter essere liberato dal possibile vincolo di segreto di Stato per quanto da me svolto dal periodo marzo 1981-aprile 1982” in cui fu “portavoce del generale Santovito” presso Arafat.  E’ un faccendiere, si diceva già allora di lui. Collaborava con il Sismi. Collaborava con uno dei tanti nomi oscuri di quegli anni, Licio Gelli, per sorvegliare Roberto Calvi, banchiere di Dio, presidente del Banco Ambrosiano, coinvolto nello scandalo della lista P2, pronto a rivendicare, prima della bancarotta, i favori fatti ai potenti. Pronto a dichiarare che 15 milioni di dollari  provenienti dai servizi segreti americani erano stati utilizzati da Licio Gelli per finanziare chi ha messo la bomba alla stazione di Bologna.  Un depistaggio, diranno le sentenze, che gli fruttò una condanna a dieci anni.
Quanto a Calvi, muore impiccato sotto il ponte dei Frati neri il giorno del compleanno di Graziella, 17 giugno 1982, il secondo che non è stato festeggiato, sarebbe stato il numero ventisei. In realtà il corpo di Roberto Calvi viene trovato il giorno dopo, il 18, con i mattoni nelle tasche e una corda arancione al collo. Il giorno 17, che è anche il giorno presunto della suo assassinio, un’altra donna perde la vita.  Si chiama anche lei Graziella. Graziella Corrocher, 55 anni, fedele segretaria di Calvi. Di lei non esiste una fotografia, non c’è traccia della sua esistenza. Se non la sua presenza all’ultima riunione del consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano, quel 17 giugno 1982, quando a Calvi vengono revocati tutti i poteri e la banca viene messa in liquidazione.  Graziella Corrocher scrive un biglietto: ’Sarò fedele alle decisioni prese dal Consiglio, ma non posso rimanere fedele a Calvi, che vergogna fuggire così. Che sia maledetto mille volte per il danno causato alla banca e all’immagine del gruppo di cui una volta andavamo così fieri’. Delusione, dicono. Eppure Graziella Corrocher conosceva i libri della P2, i rapporti tra Vaticano, massoneria e mafia. Di lei restano le impronte del palmo della mano e della pianta dei piedi lasciate sul davanzale del quinto piano, non rilevate perché, secondo il rapporto, “l’epidermide emetteva forti quantità di secrezioni sebacee tanto da impastare le impronte stesse”. Sudava, Graziella Corrocher, prima di lanciarsi nel vuoto, o prima di essere spinta giù da quel davanzale.

Un anno dopo un’altra donna, una ragazzina, suda di terrore mentre viene portata via per sparire nel nulla: è Emanuela Orlandi, attorno alla quale ruotano oscure stelle molto simili. Un avvertimento per il Vaticano, dirà il figlio di Calvi. Nel 1984 il nome di Calvi risuona ancora con l’accertamento dell’esattezza e verità degli elenchi sequestrati nella villa di Licio Gelli, che confermano la relazione fra P2 e servizi segreti. A settembre Michele Sindona, membro della loggia P2, mandante dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, coinvolto nella vicenda Calvi e associato alla mafia, viene estradato dagli Stati Uniti e imprigionato nel carcere di Rebibbia dove morirà due anni dopo  bevendo un caffè al cianuro.
Francesco Pazienza era solo un nome: eppure era uno di coloro che entra nella storia di Graziella perché è uno di coloro che conoscono l’esistenza del lodo Moro, che della fine di Graziella è in un certo senso l’evento scatenante. Per anni Pazienza ha accettato interviste sul lungomare di Lerici, fumando sigarette e dichiarandosi orgoglioso della sua attività di volontario durante il terremoto dell’Aquila. E sì, certo, raccontava serenamente di aver trattato con il terrorismo palestinese, sì, certo, perché lui ha addirittura condotto la trattativa per il lodo Moro. “Quella fu la moneta di scambio per la tranquillità”, dice.  Garanzie da parte dello Stato italiano in cambio di sicurezza. Niente massacri come ai Giochi Olimpici di Monaco. Niente rappresaglie. Niente stragi.

Come ha scritto oggi Lirio Abbate, “Non sapremo mai quanto ha detto per salvarsi e quanto per vendicarsi. Né se il suo silenzio, a tratti ostinato, sia stato paura o calcolo. Francesco Pazienza è stato l’uomo che ha trasformato l’Italia degli anni di piombo e dei misteri in una partita a scacchi tra apparati, logge e interessi sovranazionali. Un interprete tragico del lato oscuro della prima Repubblica. Adesso Francesco Pazienza è morto. Forse con lui muore un pezzetto di verità che non conosceremo mai. Ma chi sa leggere la storia dietro le ombre, riconoscerà nella sua figura un simbolo: di quanto sia stata lunga, ambigua e devastante la stagione in cui la verità era un optional, e la menzogna, una forma di potere.”

Ah, la telefonata. Quando gli chiesi di parlargli, sul suo whatsapp che ha come immagine profilo un cagnolino, mi rispose con il pollice alzato. Fu gentile, cortese, fluviale e volutamente insignificante. Ma il senso era: “Non so niente, avranno visto qualcosa che non dovevano vedere”. Ho sempre pensato che sapesse molto, ma non me lo disse e si informò sulla mia vita, di cui gli dissi molto poco. Era agosto, ero a Serravalle. Chiusi la telefonata con angoscia, con la quasi certezza che non avremmo mai saputo nulla. Eppure, bisogna continuare a credere che non sia così.

 

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