Questa mattina, tornata da Umbria e Marche, scopro che Meta ha attivato un moderatore automatico per i commenti: in pratica, nasconde automaticamente quello che considera spam. Ma aveva già cominciato a farlo da qualche giorno, nascondendomi quelli dove si parlava, per dire, di fascismo. Ho smanettato un po’ sulle impostazioni senza riuscire a disattivarlo: significa che probabilmente dovrò impiegare un po’ del mio tempo per rendere visibili i commenti nascosti.
Ma come, non sei contenta di avere uno strumento utile per arginare l’odio in rete?
Neanche un po’: più volte, nel tempo, Facebook ha nascosto o addirittura eliminato post che non contenevano violenza o insulti o aggressioni alle persone. Un paio di anni fa, sono stata addirittura bloccata per aver pubblicato un post che “incitava all’odio”: conteneva un’intervista rilasciata da Stephen King nel 1998. King, com’è noto, è fra i non molti scrittori che racconta la violenza contro le donne in un numero considerevole di romanzi e racconti, e nel brano censurato diceva che gli uomini hanno una propensione alla violenza (non genetica, attenzione: King non è Nordio): «Molti di noi sono come alcuni aeroplani. Ricordi il volo TWA 800, quello che esplose sopra Long Island? Ci fu un problema elettrico e il fuoco si appiccò alle ali. È quel che avviene al ragazzo che scatta improvvisamente, al ragazzo che ha il fuoco nelle ali». Poi aggiunse: «Mi ricordo una ragazza. Aveva un livido sotto l’occhio. “Che è successo?”, le ho detto. “Non voglio parlarne”, ha risposto lei. “Andiamo a prenderci un caffè”, ho proposto. Era successo che era stata con un ragazzo, e quel ragazzo voleva fare qualcosa che lei non voleva fare. Così, lui l’ha picchiata. Non l’ho mai dimenticato. Ricordo di averle detto: “Ci vuole coraggio per uscire con un ragazzo, vero? Quel ragazzo ti attrae, forse ti interessa. Ma quel che stai pensando, in fondo è Sto per entrare nella tua macchina. Sto per andare con te da qualche parte. Sto per aver fede nel fatto che mi riporterai indietro intera. Ci vuole coraggio”. Lei mi ha risposto: “Tu non potrai mai saperlo”. Gli uomini sono un pericolo. Siamo grossi animali”».
Non so ancora oggi in quale parte di questo discorso Facebook abbia rinvenuto l’incitamento all’odio: quel che so è che sull’odio è urgente discutere. Sarebbe ancora più interessante sapere perché Facebook non blocchi gli account di persone che fanno del bodyshaming verso le donne il proprio pane quotidiano. Più interessante ancora sarebbe mettere sul tavolo della discussione quanto le decisioni di Facebook influiscano sulla diffusione della violenza maschile, nel momento in cui l’algoritmo, su segnalazione, banna King e lascia scivolare fra le maglie gli insulti.
Quelli veri, non quelli che un algoritmo ritiene veri.
Ora, la sottoscritta è su Internet dal novembre 2004, anno di nascita di Lipperatura. E’ inutile che vi rifaccia la storia di cosa significavano i blog in quegli anni, quando sotto ogni post si aprivano discussioni da decine e spesso centinaia di commenti. Non tutti placidi, non tutti portatori di argomenti. Spesso, portavano invece insulti veri e propri. La stessa cosa è avvenuta, amplificata, con i social: anche oggi, esistono odiatori, spesso anonimi o con profili vuoti, che si scatenano verso questa o quello. Quando, nelle settimane scorse, si è discusso delle famigerate chat di whatsapp e della pratica del call out (indicare un bersaglio da annientare come pratica politica, ma qui le intenzioni si fanno sfumate), non si è sottolineato abbastanza cosa significa esserne stati oggetto (e dal momento che lo sono stata anche io, in quanto persona “monitorata”, so di cosa parlo).
Bene, ma allora non è bello avere un moderatore automatico?
Neanche un po’: perché i criteri li decido io, non Facebook (su cui pure, come so bene, sono ospite volontaria, a cui cedo le mie parole che possono, come si vede, essere manipolate o censurate). Io mi difendo bannando: non al primo commento, a meno che quel commento non sia particolarmente violento o, sì, fascista (nascondimi questo, tesoro). Al secondo o terzo, e sempre previo avvertimento, blocco. Lo faccio con meno sensi di colpa di un tempo, perché in tutta onestà non voglio lasciarmi intossicare da chi non ha voglia di discutere e vuole solo annichilire.
Ma sono io a deciderlo. Anche perché moderazione automatica significa probabilmente che quando si parla di Gaza, di genocidio, di fascismo, si finisce nei commenti indesiderati.
Perché non lasci i social?, mi chiederete. Perché finché ho la pia illusione di poter fare qualcosa, anche una piccola cosa, con le parole, in un luogo pubblico (anche se di proprietà di un privato), vorrei continuare a farlo.
E perché i troll me li scelgo io, che con alcuni, nel tempo, ho anche fatto amicizia.