Prendiamola da lontano.
Diciassette anni fa ad Annozero, Niccolò Ghedini (politico e avvocato personale di Silvio Berlusconi) diede a Emma Bonino della “parruccona”, accusando di bigottismo lei e tutti coloro che chiedevano rispetto (per le donne, per le persone) da parte di chi era alla guida del paese. Emma. Parruccona. L’inferno è sempre una buona memoria, ma è stupefacente che un’accusa simile sia arrivata a una donna come lei.
Questo per sottolineare che Emma Bonino, in questo momento ancora in ospedale in condizioni critiche, è stata accusata di tutto e del contrario di tutto nella sua vita indomita. Ma negli ultimi anni, e questo è un segno dei tempi, viene accusata soprattutto di aver aiutato le donne ad abortire quando l’aborto, nel nostro paese, era un reato. Nessuno naturalmente usa l’espressione corretta: ha aiutato le donne a non morire, perché questo accadeva all’epoca. C’è un libro che ho già citato, “Aborto, facciamolo da noi”, che si deve al Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto) e Mld (Movimento di Liberazione della Donna) si spiegava (era il 1975) come si esegue un’interruzione di gravidanza con il metodo Karman, ovvero non con raschiamento ma con aspirazione, pratica che limitava enormemente le complicazioni nei tempi in cui l’aborto era illegale, e si finiva in assai loschi studi medici a rischiare la perforazione dell’utero e a inzuppare la camicetta di sudore e dolore, visto che non si praticava anestesia. Quel libro era un libro politico: non un invito al lato oscuro del materno, come dice oggi la ministra Roccella che ne fu prefatrice, ma semmai il tentativo di salvare le vite delle donne che ogni martedì e giovedì alle 17 affollavano le scale di via di Torre Argentina 18, la sede del Partito radicale dove il Cisa teneva le riunioni riservando ai casi più complessi il volo charter per Londra e distribuendo fra le case delle militanti gli interventi con il Karman. Quelle donne in lacrime che imploravano aiuto al telefono chiedevano di non morire con un ferro da calza nell’utero.
Tutto questo, per anni, è stato dato per assodato. Ma oggi? Se vi prendete la briga di andare a leggere i commenti sotto le testate che riportano del malore di Emma, troverete frasi come “Chissà quanti bambini l’aspettano lassù”. “Dai che è la volta buona” Dalla pompa di bicicletta alle pompe funebri è un attimo”. E vi assicuro che c’è di peggio. I più gentili sono: “Che Dio ti benedica e protegga,. cosicché tu abbia modo di convertirti e chiedere perdono per tutti gli aborti sostenuti, prima che sia troppo tardi per la tua anima”.
Ho conosciuto Emma quando avevo vent’anni ed ero colma di ammirazione per quella donna così coraggiosa che vedevo nei corridoi del partito radicale con la sua salopette di jeans e i sabot rossi. Ma non è per questo che scrivo di lei, augurandomi che esca al più presto dall’ospedale per tornare nella sua terrazza piena di sole. Scrivo di lei, e non solo di lei, perché continuo a chiedermi cosa sia accaduto a una buona parte di questo paese. E, no, non basta la spiegazione che esistono i troll e i commentatori aizzati da una precisa parte politica: è troppo poco, perché c’è verità in molti di quei commenti.
In parte perché esiste e cresce il tabù dell’aborto. Ma non è tale solo perché, come detto altre volte, la narrazione fondamentalista cattolica sta lavorando da anni per fare leva sulla parte più intollerante dei credenti (riuscendoci molto bene). E’ tale anche perché manca una discussione limpida e chiara sul peso che alcuni intellettuali e politici laici (salve, Giuliano Amato, salve, Giuliano Ferrara) hanno avuto o hanno tuttora sulla questione. Non basta dire “è una cosa da donne, mi tiro fuori”. Bisogna prendere posizione con chiarezza, dire (e devono dirlo anche gli uomini) che esiste un diritto alla scelta e che quel diritto, oggi pesantissimamente messo in discussione in Europa e negli Stati Uniti, va salvaguardato a qualunque costo. Come stanno provando a fare in Francia.
Ma ancora una volta non basta. E passo alla seconda donna crocifissa in questi giorni: naturalmente, Francesca Albanese. Come forse sapete, Albanese è per l’ennesima volta sotto accusa per una parola, ignorando quanto ha scritto ufficialmente su Instagram (“Condanno gli attacchi di ieri alla sede della Stampa. La rabbia verso un sistema mediatico che distorce la realtà in Palestina è comprensibile, ma la violenza – anche dentro un sistema violento – finisce per rafforzare chi ci opprime”).
Non entro ulteriormente nei dettagli: entro, invece, nel gigantesco vortice di chi letteralmente gode nel poter azzannare alla gola Albanese per una frase rubata al volo: fatevi un giro sui social, leggete le persone colte e buone e brave che urlano “finalmente”, tutto in maiuscolo. Tutto questo dovrebbe farci chiedere per l’ennesima volta cosa sta succedendo, e come sia possibile che si sia sempre pronti allo Charyou tree (per chi non ha letto la Torre nera di King, è il rogo rituale), e come mai tutto questo eccita gli animi ancor di più quando a salire sul rogo è una donna. Perché no, spiacente per i commentatori col ditino alzato, non è vero che vale l’inverso. Non vale mai l’inverso, all’inverso si fornisce sempre una seconda possibilità.
E allora, cosa ci succede? Bene, molti anni fa, Umberto Eco disse: “Il vero Anticristo è lo scoop”. E questa frase, oggi, non riguarda i giornali, ma riguarda noi, che siamo sempre in cerca del caso e dunque dei bersagli su cui scaricare la nostra voglia di forca. Il contagio comincia da lontano. Prenderne atto oggi non rende giustizia a chi è stato distrutto da questa voglia antica di linciaggio. E neanche a noi, che guardammo l’orrore mentre si addensava, increduli. E ancora guardiamo, tutti i santi giorni.
Molto ben scritto questo testo di Lavinia Marchetti, dal suo sito:
“PERCHÉ TANTO ODIO NEI CONFRONTI DI FRANCESCA ALBANESE?”
Ci sono figure che entrano nel dibattito pubblico e diventano un bersaglio immediato, come se concentrassero su di sé tensioni rimaste a lungo senza nome. Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sui territori palestinesi occupati, rientra in questa categoria. Prima donna in quel mandato, confermata per un secondo periodo dopo il 2025, si muove in uno spazio già infiammato e infettato. Svolge un ruolo in cui si parla di colonialismo, di genocidio e di diritto internazionale. Cosa significa? Significa mettere il becco nelle colpe dell’Europa. Nel suo caso, però, la quantità di odio, dileggio, aggressione simbolica supera di molto il conflitto politico usuale. Viene sanzionata dagli Stati Uniti per i suoi rapporti sul ruolo delle imprese nell’economia dell’occupazione; viene dichiarata indesiderata in Israele; riceve attacchi continui da governi, partiti, gruppi di pressione filoisraeliani, mentre una parte consistente della società “civile” globale firma appelli a sua difesa. Analizziamo un po’ più in dettaglio i meccanismi dell’odio.
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https://laviniamarchetti.altervista.org/perche-tanto-odio-nei-confronti-di-francesca-albanese/