DOVE SONO LE FEMMINISTE? DALLA STESSA PARTE, SEMPRE E PER SEMPRE

In quella parte dei social frequentati dai più anziani va per la maggiore postare vecchie foto di se stessi bambini, o bambine, oppure adolescenti, oppure novelli sposi, e chiedere agli utenti che sanno farlo di animarle, in modo da ricevere dal padre un abbraccio così raro nella realtà, o di baciare il fidanzato mai più visto, o di accarezzare la madre scomparsa. Non ci trovo nulla di condannabile, in fondo, e mi fa anzi tenerezza constatare quanta solitudine o rimpianto o amore si affidi a un luogo complicato come la rete.
Dovessi usarla io, quell’app, farei invece video con le immagini di tutti coloro che negli anni hanno  affidato alla rete una domanda retorica: “Dove sono le femministe?”. Mi rendo conto che non mi basterebbe lo spazio del computer e neanche di una cineteca, perché quel che avviene in queste ore è la replica esatta di quanto accaduto negli ultimi  anni.
Immediatamente dopo l’attacco di Israele all’Iran si sono levate voci e vignette e meme con un’unica richiesta: quella. Dove sono le femministe quando Israele va a esportare democrazia nel paese degli ayatollah? Perché non difendono le donne angariate e uccise, perché non gridano Donna Vita Libertà? Perché sono dalla parte della teocrazia? Dove siete, femministe?
Anzi, meglio: dov’è Non Una di Meno, visto che secondo costoro è la causa di tutti i mali?
Sempre la stessa storia. Negli anni è rimbalzata da testate giornalistiche (sempre quelle: Libero, Il Giornale, Il Foglio) alle bacheche di singoli e anche singole. La frase “Dove sono le femministe?” viene brandita dalle destre, d’abitudine, con quei bei titoloni che fanno tanto comodo a coprire sprezzo e distrazioni. A volte viene brandita anche dalle donne, a sorpresa: avvenne, a mia memoria, per le donne curde, quando chi nelle lotte non si era mai visto twittava la stessa frase. Non so quali siano i motivi: se disinteresse, disinformazione, altro (e sull’altro non indago). E’ capitato nel 2022 (l’inferno è una buona memoria, eccetera)  anche da parte di una scrittrice che stimo, che ha tranciato giudizi inspiegabili sul fatto che le giovani femministe non si erano tagliate i capelli “lasciando le donne iraniane sono lasciate completamente sole a combattere la loro battaglia.”

Falso, sempre e sempre. Ed è impressionante constatare che chi grida cercando femministe non le abbia mai viste quando agiscono, che guardi solo al proprio cortile, alla propria bacheca, alla propria manifestazione sotto l’ambasciata iraniana, come se le femministe dovessero essere e agire a piacimento, dopo che il gridante di turno infila il gettone nel juke-box, e apparire proprio dove la testata giornalistica o l’utente dei social chiede che siano. A casa sua, quasi sempre.
E quasi sempre c’è un altro motivo, banalissimo: la voglia ottusa di guerra, in questi giorni e mesi, o i vecchi rancori verso i femminismi, laddove ogni occasione resta buona per rivendicare “libertà” DAI femminismi, semplificati fino all’osso in “bigotte che si turbano per una coscia” e accusati di tacere su tutto, dalle donne iraniane alle donne combattenti di Kobane e risalendo indietro fino alle donne afgane.
Ogni volta si risponde fornendo appuntamenti, locandine di convegni, fotografie di manifestazioni. Nei fatti non serve a niente: pochi di coloro che urlano “dove sono le femministe?” sentono il bisogno di informarsi.

Quando, diversi anni fa, si iniziò a parlare di femminicidio, non fu a causa di twitter e di appelli e petizioni, che hanno avuto una parte (una parte, sottolineo) di utilità: ma perché quei tweet e status si inserivano su anni di lavoro e approfondimento e azione sul campo che avevano reso fertile il terreno.
Ora, invece, si chiede l’urletto, rapido e luminoso come una stella cadente, e poi si passa al prossimo argomento. Se non rispondi, perché ritieni che il meccanismo sia consolatorio e dunque inefficace, sei tutto quel che di negativo si possa concepire: e qui entra, evidentemente, il risentimento antico che rischia di paralizzare i movimenti, il “perchè tu sì e io no”, il “basta con chi parla in mio nome”. Eccetera.
Ora, visto che non mi sono mai sentita una che parla per le altre, e tanto meno una Madre da abbattere (al massimo una zia balzana), mi limito a ripetere che questo fervido scrollarsi di dosso tutto quanto è stato fatto negli ultimi anni è poco sensato, molto poco politico, molto pericoloso.
Dunque, la prossima volta che state per scrivere “dove sono…?”, pensate a dove siete voi, e cosa fate voi, e quanto siete informati voi, e quando desiderate informare voi. E non è una rispostaccia: è un invito sincero. Perché nessun cambiamento passa attraverso un social network, nonostante quel che pensiate.
Peraltro, le femministe sono dove sono sempre state: dalla stessa parte, sempre e per sempre. E non vogliono che nessuno parli in nome delle donne, soprattutto se ha la coscienza sporca.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto