IL NUOVO QUESTORE DI MONZA, LA DIAZ, I CIGNI, I SUDARI

“Molti, dunque, sanno già
benissimo
come sarà il morto di Genova. Si prevede
la faccia, la pettinatura, l’abbigliamento,
il curriculum. Tutti conoscono già – e si ripetono –
l’età, i precedenti, le frasi, le canzoni,
le predilezioni, gli affetti, gli effetti,
e su che ritmo stava ballando in quel momento”
(Dal “rap” di Alberto Arbasino intitolato “Un morto a Genova”, giugno 2001)

Alberto Arbasino scrisse il rap prima della morte di Carlo Giuliani. Sì, c’era chi lo aspettava. O forse lo presentivamo tutti, senza dircelo. O forse invece no, non immaginavamo che ci si potesse spingere fino a quel punto. Di certo non ci aspettavamo la Diaz, né Bolzaneto.
Sono passati quasi ventiquattro anni, e ieri arriva la notizia che il nuovo questore di Monza, dal 1 giugno, sarà Filippo Ferri “attualmente dirigente della Polizia ferroviaria di Milano”.
Ferri è stato condannato in  Cassazione nel 2012 per il processo Diaz: tre anni e otto mesi di carcere per falso e calunnia e interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. All’epoca, la Cassazione parlò di “massacro ingiustificabile che ha screditato l’Italia” e di “pura esplosione di violenza”.  Per quanto riguarda Ferri, gli venne imputata “l’odiosità del comportamento di chi, in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari, una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze, funzionali a sostenere così gravi accuse da giustificare un arreso di massa, formulate peraltro in modo logico e coerente, tanto da indurre i pm a chiedere, e ottenere seppure in parte, la convalida degli arresti”.
Fu lui, insomma, a firmare i verbali dell’irruzione alla Diaz: se non ricordate, è quasi tutto qui,
Dopo la sentenza, è stato assunto dal Milan di Berlusconi come addetto alla sicurezza.
E fra poco sarà il questore di Monza.
Del resto, non è il solo. Altri due condannati, Pasquale Troiani e Salvatore Gava , sono rientrati in polizia, passando alla polizia stradale per poi diventare entrambi vicequestore nel 2020.
Si dirà che ognuno ha diritto a una seconda possibilità. Il problema è che di seconde e terze possibilità ce ne sono state tante: pensiamo a Gianni De Gennaro, allora capo della polizia, che è stato non solo assolto ma sia stato nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri sotto il governo Monti e poi presidente di Leonardo, ex Finmeccanica.

Si dirà che è passato tanto tempo da quando persone inermi sono state pestate a sangue, colte nel sonno.
Ma chi era alla Diaz, e a Bolzaneto, è consapevole di quanto ha fatto? Qualche volta ho cercato in rete per capire se qualcuno di quei poliziotti avesse parlato. Qualcuno ha parlato, per dire che lo avrebbe rifatto. Molti hanno taciuto. Ma appunto mi piacerebbe, per una volta, sedermi a un tavolo e ascoltare. Come ti sei sentito? Quando alzavi il manganello e lo abbassavi su schiene e denti, cosa provavi? Cosa provi oggi? Sei ancora convinto che fosse giusto?

Ma sono passati ventiquattro anni, quasi un quarto di secolo.
In ventiquattro anni la storia, come avviene fatalmente, si è avvolta in spire ed è balzata in avanti ed è tornata a riavvolgersi. E questo è banale, oltre che fatidico.
In ventiquattro anni abbiamo scoperto, di nuovo, le parole “paura” e “guerra”. Che c’erano anche prima, ma erano coperte da altre. Forse potremmo scoprirle di nuovo, se avessimo la voglia, e la forza. Abbiamo scoperto la fragilità, ma non mi sembra che ci stia servendo, almeno ora. Abbiamo scoperto il massacro premeditato, come sta avvenendo a Gaza.
In ventiquattro anni ci sono state le Torri gemelle e l’America sotto attacco e l’Occidente sotto attacco e dove colpiranno ora. E anche Guantanamo. E anche la “Seconda guerra del Golfo”. E Lampedusa. E i naufragi. E rimandateli a casa. E tutto quel che ci viene ripetuto e che vediamo.
In ventiquattro anni abbiamo avuto Wikipedia e l’iPod e l’iPad e l’iPhone e Alexa. Abbiamo avuto Facebook e Twitter, i blog e YouTube e TikTok e la stampante 3D e i viaggi privati nello spazio.
Abbiamo avuto l’intelligenza artificiale, la mappatura del genoma umano, le foto a colori di Marte, lo tsunami nell’Oceano Indiano. Beslan. Quattro papi. Due Trump. Il covid-19.
In ventiquattro anni hai visto i tuoi figli diventare prima adolescenti e poi adulti, e questo ti è passato davanti agli occhi senza che te ne accorgessi, e ancora ti chiedi come sia stato possibile, perché ancora, da qualche parte, ci sono le loro biglie e i loro Roald Dahl e, in qualche cassetto inesplorato, una maglietta o un paio di calzoncini o un diario delle elementari.
In ventiquattro anni, che sono un bel po’ di vita, ci sono quelli che non si sono mai presi la briga di andare a informarsi su Carlo Giuliani, e ancora razzolano per la rete dicendo che sì, se l’è cercata, e una zecca in meno. Eppure la possibilità di informarsi c’era e c’è.
Dopo ventiquattro anni, invece di quel tristissimo rap di Arbasino, avrei voglia di chiedere al nuovo questore di Monza cosa pensa, cosa ricorda, come si sente.
Sarebbe, temo, inutile come cercare  i cinquantanove cigni di Yeats, le creature di luce cantate in “The wild swans at Coole”. Anche se i cigni ci sono, in realtà.  Sono quelli che ci fanno leggere storie di vicinanza, di affetto, di pietà.  Che domani saranno nelle piazze d’Italia con le lenzuola bianche per protestare contro i cinquantamila sudari di Gaza. Non è affatto una questione di bontà e tanto meno di buonismo. E’ preservare noi stessi. La parte viva di noi stessi. “I loro cuori non sono invecchiati”, dice Yeats dei suoi cigni. Questo bisogna pensare, dopo ventiquattro anni. Credo.

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