Quelli del Giudizio universale hanno fatto recensire nove capolavori
letterari da nove scrittori contemporanei. E sono molto contenti del risultato.
Ecco cosa scrivono:
Non si risparmia Abraham B. Yehoshua, autore di Un divorzio tardivo, che apre lo
speciale. Una lettura psicanalitica della Metamorfosi
di Kafka, la sua, a partire dalle ragioni che hanno indotto l’autore, nel
lontano ottobre del 1915, ad impugnare carte e penna per a scrivere all’editore,
pregandolo di non far raffigurare lo scarafaggio in copertina. Perché? Perché
no? Sarà Yehoshua a spiegarcelo, ricostruendo il percorso psicologico di Gregor
Samsa, figlio imprigionato nelle responsabilità e nella compressione di un
universo famigliare chiuso ed asfittico.
Il compito di Jonathan Coe è affrontare I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift
e riportarci ad un classico da sempre considerato lettura per ragazzi. Niente
di più sbagliato, niente di più lontano da ciò che è questo capolavoro. E per
più di un motivo. Ma allora cos’è I
viaggi di Gulliver? Ancora lontano dalla struttura del romanzo moderno,
sembra ora una parodia dei racconti di viaggio settecenteschi, ora
un’accozzaglia di “materiali non pertinenti, accumulati in modo caotico con
quisquilie narrative che non avrebbero avuto nessun senso se estrapolate dal
contesto”, ora attraversato la toni più cupi, ora più leggeri. Ma allora, è
forse proprio nell’ambiguità, la sua grandezza?
Altra grandezza, quella di Gustave Flaubert in Madame Bovary.
Questa volta è Marc Augé ad
esplorarne il valore e la bellezza. In quello che l’antropologo francese
definisce il primo romanzo post rivoluzionario, per la sua presa di distanza
sia “dal linguaggio dei Lumi che dalle effusioni del romanticismo”. Un romanzo
moderno che mette al centro della narrrazione la banalità del quotidiano degli
ambienti piccolo borghesi. E’ nell’immobilità, nell’insignificante, nel
‘niente’ che si fa ‘tutto’ il cuore narrativo di quest’opera e la grandezza del
suo autore, capace di tenere viva la coscienza critica minacciata
dall’illusione, dall’alienazione e dalla stupidita: allora come oggi.
Ed è passione dichiarata, quella di Björn
Larsson per L’isola del Tesoro di Robert Louis
Stevenson. Un amore ritrovato ad ogni nuovo incontro con il capolavoro capace
di compromette ogni distanza critica. Ma dove si esprime la grandezza di
quest’opera? Nella sua capacità di dare forma e sfaccettature ai personaggi,
secondo Larsson, e di coinvolgere il lettore nell’intreccio narrativo. Come
tutta la buona letteratura ne L’isola del
Tesoro si ritrovano fondanti lezioni
di vita …che è possibile partire alla ventura, “anche in compagnia della
peggior feccia, e ritornatare sani e salvi, un po’ ammaccati, certo, e
disincantati, ma pur sempre vivi”, che si dovrebbe non fidarsi delle apparenze,
che “il domani non sarà sempre simile all’oggi”…sognando altre vite, altri
linguaggi, sentimenti, altri pensieri… “ed è qui che, alla fine, risiede la
speranza”.
Ha la trama del sogno e “del
dimenticato ma inconfondibile sapore dell’epica” Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati secondo Javier Cercas. Due ambizioni contrapposte nel romanzo del XX secolo
che Buzzati riesce a sposare e a far convivere: questa la prima singolare
caratteristica di questo capolavoro. Spesso avvicinato a Kafka, Buzzati,
“trasparente e allergico a qualsiasi vanità ornamentale”, rappresenta un mondo
aperto alla speranza, assente invece nell’opera kafkiana.
L’estate può essere anche
l’occasione per avvicinarsi al Don
Chisciotte della Mancia, l’opera più famosa di Miguel de Cervantes, alla sua modernità, alla libertà del suo
universo. Un’opera in cui tutto è possibile, ma anche un autore che ha
proiettato la sua influenza su molti scrittori successivi… anche tra chi non lo
ha mai letto.
La scelta di Josephine Hart si è posata su Ritratto di Signora di Henry James,
sulla vita orrenda di Isabel Archer, “un essere dotato di lucida
consapevolezza”. Ed è proprio questa consapevolezza che James mette al centro
della narrazione realizzando un’opera eccezionale per la sua capacità di porre
il lettore davanti al “mistero eterno delle cose”, senza offrire alcune
soluzione.
Antonia S. Byatt ha voluto riportare all’attenzione un’opera
per la quale George Eliot fu
accusata dalle femministe dell’epoca: Middlemarch,
romanzo antiromantico e affresco di una “società, politica, agricola,
aristocratica, plebea, religiosa, scientifica”, in cui le capacità dell’autrice
si ritrovano nel “saper fare di molti dei suoi personaggi […] i protagonisti
delle loro storie e il centro del loro mondo.
Infine, un’opera corale, che
ha attraversato le epoche, per arrivare fino a noi con messaggi di cocente
attualità: Le mille e una notte,
nella rilettura di Younis Tawfik
diventano “uno spaccato esemplare della convivenza tra le tre religioni
monoteistiche” attraverso una storia fantasiosa, “al limite del reale”.
Bello. Ma perché non han chiesto niente… ad Aldo Nove?