#SAVE194, MA ANCHE #PAS, MA ANCHE #10×100

Non è che l’attacco alla 194 sia cosa di questi giorni. Parte da lontano, come ben sa chi ha letto, per esempio, il bel libro di Silvia Ballestra, Piove sul nostro amore. O chi ha la pazienza di leggere, per fare tutt’altro esempio,  gli interventi pubblicati su alcuni siti cattolici.
Quel che è singolare è la concentrazione con cui gli attacchi al diritto si susseguono in  questi ultimi tempi. Non mi riferisco solo all’intervento (alla serie di interventi, per meglio dire) sulle coppie di fatto, le unioni civili, i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Ma anche a un episodio,  gravissimo, di cui poco si è parlato. Riporto, in proposito, questo comunicato stampa di ieri pomeriggio:
“Oggi alla Commissione Giustizia del Senato è prevista la discussione sui DDL n. 957(PDL-UDC), DDL n. 2800 (IDV). Queste proposte contengono gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle donne vittime di violenza e dei figli minorenni vittime di violenza diretta o assistita, in contrasto con quanto raccomandato dall’ONU in materia alle Istituzioni italiane rispetto alla legge sull’affido condiviso n.54/2006.
Tali disegni di legge rendono obbligatorio il ricorso alla mediazione familiare anche in casi di padri/mariti o partner violenti, a discapito delle madri e dei figli minorenni, subordinando ogni decisione che riguarda i figli ad una condivisione con l’ex partner violento. Tali leggi ricordano la “patria potestà”, cancellata dal diritto di famiglia nel 1975. Inoltre si introduce la Sindrome di Alienazione Parentale quale motivazione “scientifica” a sostegno di queste norme.
Il minore che ha subito direttamente atti di violenza dal padre o ha assistito a forme di violenza fisica sessuale psicologica e verbale contro la madre o su altre figure affettive di riferimento, subisce conseguenze devastanti sotto ogni punto di vista, nel breve e lungo termine, e potrebbe riprodurre quei comportamenti.
Denunciare la violenza domestica per una donna non è un espediente per avere condizioni migliori di separazione, ma una decisione dolorosa per uscire da un trauma profondo dopo molta sofferenza, anche assieme ai propri figli, rispetto ad una persona che si è amata. La violenza domestica è una realtà in Italia ed in Europa ancora oggi molto diffusa e poco denunciata, è secondo l’ONU la causa del 70% dei femmicidi: “Femmicidio e femminicidio in Europa. Gli omicidi basati sul genere quale esito della violenza nelle relazioni di intimità”.
In Italia da gennaio a giugno sono 63 le donne ammazzate dal partner. Avere vicino un marito responsabile e rispettoso, e un padre capace di crescere i figli in maniera condivisa è la premessa per una relazione familiare positiva, è il desiderio di una madre. La PAS, o sindrome di alienazione parentale è considerata un disturbo relazionale nel contesto delle controversie per la custodia dei figli, in cui un genitore manipola il figlio contro l’altro genitore per rivalersi. Malgrado non esista nessun riconoscimento diagnostico scientifico (DSM) della PAS al mondo, tale “sindrome” viene spesso erroneamente utilizzata nei tribunali e dai servizi sociali in Italia per decretare il diritto dell’abusante, in casi di separazione per violenza agita dal partner sulla madre e sui figli, ad ottenere una mediazione forzata e poi l’affido condiviso dei figli. È bene sottolineare che i bambini e le bambine che hanno un padre violento si giovano della sua assenza: solo così possono ricostruire un reale futuro sereno assieme alla madre. Si ritiene di dubbia costituzionalità e lesiva dell’ordinamento giuridico italiano la volontà di introdurre della PAS (Sindrome di Alienazione Parentale); vista la sua assoluta e conclamata mancanza di validità scientifica a livello internazionale. Le realtà che lavorano per il rispetto dei diritti umani e a contrasto della violenza maschile sulle donne e sui figli minorenni, chiedono che :
– Che la legge vieti espressamente l’affido condiviso nei casi di acclarata violenza agita nei confronti di partner e/o sui figli
– che sia definitivamente proibito l’utilizzo della sindrome di alienazione parentale in ambito processuale e da assistenti sociali come motivo di mediazione familiare e affido congiunto.
Casa Internazionale delle Donne – Roma; UDI nazionale; Piattaforma CEDAW; Associazione Differenza Donna; Associazione Donne, Diritti e Giustizia; Associazione Giuristi Democratici; Associazione Il cortile; Associazione Maschile Plurale; A.R.PA, Ass. Raggiungimento Parità donna uomo; Bambini Coraggiosi; Cooperativa Be Free; D.I.Re – Donne in rete contro la violenza; Fondazione Pangea; Lorella Zanardo- Il corpo delle donne; Movimento per l’Infanzia; Zeroviolenzadonne; Femminismo a Sud;
Per adesioni e per info: 30yearscedaw[at]gmail.com”
E già che ci siamo, anche se sembra off topic (ma non lo è troppo), vi segnalo questo appello su Genova 2001: 10×100. Firmatelo.

23 pensieri su “#SAVE194, MA ANCHE #PAS, MA ANCHE #10×100

  1. Ciao Loredana,
    sul numero di Internazionale della scorsa settimana, è uscita una recensione del libro Poveri padri di Carlotta Zavattiero.
    Una recensione che avvalla tutto il contenuto di questo testo, che come si desume dal titolo ripropone in sostanza il “pensiero” dei padri separati, Pas compresa. E’ grave e desolante che una rivista come Internazionale diffonda contenuti così pericolosi in maniera così sbrigativa, perentoria e approssimativa.
    E guarda caso in un momento come questo di attacchia al diritto da più fronti, come dici tu.
    La incollo qui:
    “Prima di pensare alla separazione tutti dovrebbero leggere questo libro. Poveri padri scandaglia il dramma umano dei padri separati, allontanati dai figli e ridotti in povertà. Le azioni eclatanti di qualcuno che si è ribellato alla “presunzione di colpevolezza” hanno ormai acceso i riflettori sulla questione. Resta difficile immaginare il girone dantesco che aspetta questi padri e che l’autrice racconta in tutta la sua crudezza. È stata catalogata come “sindrome di alienazione”, la campagna di denigrazione nei confronti dell’altro genitore: il genitore patologico o alienante (leggi madre) aizza i figli contro il genitore alienato (leggi padre) con vere e proprie “tecniche di programmazione” fatte di accuse di trascuratezza o di violenza. E, come se questo non bastasse, le testimonianze raccolte da associazioni di padri separati tolgono ogni dubbio su quanto sia facile, anche per chi dispone di redditi dignitosi, precipitare verso le mense della Caritas. Con l’entrata in vigore, nel 2006, dell’affido condiviso, tutto sarebbe dovuto diventare più accettabile. E invece, nella maggioranza dei casi, la giustizia finisce puntualmente per “collocare i figli presso la madre” che diventa collocataria, parolina magica che fa la differenza con i padri, appunto, non collocatari”.
    http://www.internazionale.it/?p=98618
    Stefania

  2. Capisco che l’esito più tragico della violenza domestica, che è l’uccisione, colpisce le donne in una proporzione che non è nemmeno paragonabile a quanto possa essere eventualmente detto degli uomini. Ma, senza (per fortuna) arrivare quasi mai all’omicidio, non esistono solo i padri violenti: sanno essere tali anche le madri, e penso pure di conoscerne qualcuna. Quindi confesso che l’impostazione di questo comunicato stampa, tutto strutturato intorno all’immagine del padre/marito/compagno violento, mi ha molto infastidito. Sto probabilmente sottolineando un aspetto che molti giudicheranno secondario, dato che la sostanza di quanto detto è del tutto condivisibile; certo, avrei preferito che l’appello, al quale mi sento assolutamente di rispondere in modo positivo, fosse un po’ meno caricaturale ed evidenziasse il pericolo di esporre a decisioni condivise i minori figli di “genitori” violenti, e non solo di “padri violenti”.

  3. In questi giorni mi è capitato spesso di confrontarmi con altri uomini sul tema della violenza maschile e la risposta è più o meno sempre la stessa:
    “Si certo ci sono uomini violenti, ma non tutti e io non lo sono, quindi non è giusto parlare di violenza maschile” oppure “si è vero la maggioranza della violenza domestica è fatta da uomini, però c’è anche una minoranza femminile quindi non è corretto parlare di violenza maschile”.
    Da qui una riflessione. Nella mia vita mi è capitato spesso di manifestare ed indignarmi per molti temi: del lavoro, del sociale e altro, ma non ho mai sentito sollevare questo tipo di obbiezioni.
    Quando scendiamo in piazza a favore del lavoro o protestiamo per chiedere un mondo migliore, non lo facciamo comunque da un punto di partenza che comunque è parte del mondo che contestiamo. Non siamo comunque parte di un sistema che si basa sul capitalismo più spinto eppure in tanti scendiamo in piazza per chiedere di cambiarlo e nel farlo non ci sentiamo accusati. Perchè allora quando si chiede un cambiamento ed una condanna della violenza maschile, che non implica un dire: “io sono violento” bensì “mi rendo conto che la violenza c’è e che ha una base maschile e come maschio la rifiuto” alziamo tanti distinguo?

  4. @Juri: non so se nel tuo commento hai voluto in qualche modo rispondere al mio, oppure no. Nel dubbio provo a chiarire il mio punto di vista, che non è quello di chi si sente accusato. Io penso che schematizzare un problema fino al manicheismo delle opinioni non dia alcun contributo alla sua soluzione e anzi la allontani, impedendo di prendere in considerazione gli strumenti più appropriati e spingendo ad inseguire miraggi. Sento come un peso il problema della violenza maschile, che deve essere un problema di tutti gli uomini e non solo di chi la pratica (anche perché costui quasi mai la considera un problema); sapendo però che le madri violente esistono, diffido istintivamente di chi chiama all’impegno da una posizione di parzialità così marcata da impedirgli anche solo di percepire la totale asimmetria del linguaggio che usa. Per questo vorrei dire qualcosa anche a Stefania, che invita a diffidare di un libro perché, se ho capito bene, assume il punto di vista dei padri separati. Nella recensione che hai postato io non trovo niente di negativo, se tu pensi che ci sia dovresti citare dei fatti, non darli per scontati. Ma, a parte questo, perché ciò che vivono queste persone dovrebbe essere considerato falso e messo all’indice? Ma che c’è di strano nella tristezza di un uomo che non può più vedere i figli tutte le volte che lo desidera? Perché situazioni di questo genere esistono, magari (e si spera) non saranno la maggioranza, ma esistono. Non conosco abbastanza le associazioni di padri separati per poter dire se le loro richieste sono eque o se invece si tratta di desiderio di rivalsa, ma il fatto stesso che molti di loro siano finiti a vivere in case famiglia qualcosa dimostrerà pure, o no? Non credo che siano tutti orchi giustamente proscritti in cerca di occasioni di stalking. Anche in questo caso mi sembra che prevalga la cultura della contrapposizione e della rappresentazione caricaturale dell’altro, il mostro, con cui per definizione non può esserci contatto. Ma forse varrebbe la pena di cercare di capire se in mezzo a questi padri ce ne possano essere alcuni che non vogliono niente di più che assumersi le proprie responsabilità nei confronti dei figli, e quindi degli interlocutori validi, anche nelle questioni di genere. Insomma, a me piacerebbe che la discussione si svolgesse senza truppe schierate prima ancora di iniziare. Ricordandoci tutti che quello che abbiamo davanti non può essere portatore di colpe in quanto uomo o donna, di destra o di sinistra, italiano o marocchino, ecc. ecc., perché attribuire queste etichette è il modo migliore di stroncare sul nascere ogni possibilità di capirsi.

  5. Mi irrita molto il discorso dei padri separati come categoria vittima di ingiustizia sistematica. A parte i singoli casi, la retorica è che i tribunali avvantaggiano le madri, affidando più a loro i figli ecc. mentre il povero padre deve lasciare la casa, pagare gli alimenti e si trova allo sbando.
    Però io nelle coppie più o meno felicemente sposate ho conosciuto davvero pochissimi padri italiani che, alla nascita dei figli ha preso il congedo parentale al posto della moglie, o rinunciato al lavoro o si è accontentato di un lavoro meno prestigioso di quello della moglie per stare a casa coi bambini. Viceversa, se lo fa la madre spesso è considerato normale, talvolta persino doveroso. Davanti all’asilo, dal pediatra, ai giardinetti, se coi bambini c’è un genitore solo mpm è quasi mai il padre. Le statistiche dicono che è la madre che si occupa in maniera preponderante della prole (oltre che della casa).
    Allora se statisticamente i figli nelle coppie ancora unite e funzionanti vengono “collocati” alle madri, non mi pare stranissimo che quando le coppie si separano, le madri siano considerate genitore di riferimento per i figli molto più dei padri.

  6. Mi riferivo, nel mio commento, a frasi come:
    “E invece, nella maggioranza dei casi, la giustizia finisce puntualmente per “collocare i figli presso la madre” che diventa collocataria, parolina magica che fa la differenza con i padri, appunto, non collocatari”

  7. Standing ovation per Francesca Violi.
    Sono contraddittorie le proteste che si levano ogni volta che si parla di congedo parentale obbliogatorio per i padri (andatevi a fare un giro sul “Fatto”, per esempio): c’è chi scomoda la categoria della libertà, chi parla di “ruoli naturali”, e poi tutta questa voglia di vedersi affidati i figli.
    Quanti uomini conosciamo che prendono il part-time per stare con i figli, lasciando la moglie fare carriera?
    Poi vorrei anche far notare che nonostante tutto il clamore sui padri separati ridotti in povertà, comunque le statistiche parlano chiaro: sono situazioni minoritarie, e in media chi viene colpito (economicamente) di più da un divorzio è la donna.
    Nonostante questa sia la mia opinione, trovo che l’obiezione sollevata da Maurizio sia pertinente: queste situazioni (madri manipolatrici, figli usati come arma di vendetta, donne violente) esistono. Ed è giusto parlarne.
    Credo però di interpretare il sentimento comune quando dico che il nostro timore è che questi casi -minoritari- verranno usati per indebolire ancora di più le posizioni femminili.

  8. No io sono in difficoltà su questi temi.
    Non penso sia corretto cortocircuitare nel discorso separazione e separazione in coseguenza della violenza di genere. In ogni caso, se si estromette il padre dalla gestione familiare come punizione della pregressa violenza si decide di partecipare a uno schema consolidandolo piuttosto che cercare di violarlo. La mancanza di un affidamento congiunto in casi di violenza domestica è certamente una misura cautelativa da mantenere, ma in linea di massima è vero che i tribunali tendono a favorire le madri in nome di quello stesso stereotipo di genere che le vuole a casa. Ti favorisco nel pregiudizio. Dunque, io trovo un buon segno l’esistenza dell’associazione padri separati e necessaria la sua retorica. Lavorando con le coppie o vedendo altri farlo, la donna usa sempre i figli come moneta con cui ribattere altre mancanze, Se continuiamo a reagire alla patologia culturale che si incarna con il comportamento maschile violento ma anche con asimmetrie forti nella gestione dei ruoli alla fine non cambieremo niente. L’obbligo della corresponsabilità per ciò non mi rimanda direttamente alla patria potestà perchè quella implicava l’impossibilità per la donna di intervenire e decidere.
    Per rispondere al commento di francesca. I giudici cominceranno ad aiutare le donne quando cominceranno a istituire obblighi più serrati nelle frequenze e negli accordi ai padri.

  9. @Zauberei: sei stata talmente chiara che avrei voluto scrivere io quanto hai scritto tu. Sottolineo due aspetti: le statistiche (lo dico da statistico quale sono di mestiere) vanno bene per le grandi decisioni collettive, non per regolare le storie individuali. Così come ogni donna, fosse anche una sola, ha diritto di avere giustizia quando subisce maltrattamenti, così anche ogni padre, fosse anche uno solo, ha diritto di veder rispettati i propri diritti ed essere messo nelle condizioni di poter svolgere il proprio ruolo di genitore. L’individuo che subisce un torto delle statistiche non sa che farsene. E poi ha ragione ancora, Zauberei, quando sottolinea la ghettizzazione strisciante che si manifesta in certi atteggiamenti preconcetti, che accettando lo stereotipo del padre lazzarone e irresponsabile, e magari pure violento, di fatto avallano (con una “v” sola) pure lo stereotipo speculare della donna quale depositaria naturale della cura parentale. Se vogliamo spezzare questo circuito e scioglere una volta per tutte anche i lacci che impediscono alle donne di conseguire un’autentica parità di opportunità – anche lavorative – la dobbiamo smettere di rappresentarci a vicenda per stereotipi e guardare in faccia le persone come sono davvero.

  10. In riferimento alla recensione di Internazionale (solo un caso che sia stata pubblicata nella settimana di discussione dei DDL?): non è una recensione in primis, appare più lo sfogo personale dell’autore in merito ad argomento di respiro pubblico, che dovrebbe essere affrontato con cognizione di causa e dati (e statistiche) alla mano.
    Come è possibile scrivere “il genitore patologico o alienante (leggi madre) aizza i figli contro il genitore alienato (leggi padre) con vere e proprie “tecniche di programmazione” fatte di accuse di trascuratezza o di violenza” senza precisare che la PAS è stata ideata da un personaggio che difendeva la pedofilia e i pedofili in tribunale e che è stata disconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, che è stata oggetto di un richiamo dell’ONU all’Italia, e che non viene inclusa nel DSM? Come non parlare delle esperienze nei paesi esteri che l’hanno usata nei tribunali e dei danni (compresi i suicidi dei bambini affidati al genitore abusante in USA?) irreparabili che ne sono seguiti?
    Quella recensione è uno spot, superficiale e fatto malissimo, alla PAS e alla vittimizzazione di tutti i padri separati (=colpevolizzazione delle madri) trasmesso da Internazionale in prossimità delle elezioni. E davvero da una rivista del genere non me l’aspettavo; sarebbe stato auspicabile un articolo di approfondimento sul tema.

  11. Elisabetta ha chiarito bene molto bene quanto intendevo. Una recensione del genere (approssimativa e perentoria, appunto) non fa che alimentare la logica degli schieramenti: “il genitore patologico o alienante (leggi madre) aizza i figli contro il genitore alienato (leggi padre)”.
    Omettendo, come scrive giustamente ELisabetta, che origini abbia la Pas e la sua totale infondatezza scientifica.

  12. Secondo me è sacrosanto che i padri ribattano il loro diritto ad avere un ruolo sostanziale nella vita dei figli, ovvero di non perdere questo ruolo in seguito alla separazione. Mi pare che l’affido congiunto sia un buon inizio.
    E per quanto non mi stupisca che la madre sia ritenuta a priori il genitore di riferimento, di certo non mi fa piacere: concordo che essere favorite nel pregiudizio non fa che rafforzarlo.
    Appunto mi infastidisce quando lo stesso soggetto alza la voce contro questo pregiudizio (che la donna sia per natura quella che sa meglio prendersi cura dei figli e sacrificarsi per il loro benessere) se le vittime ne sono i padri separati, mentre lo ignora in tutti gli altri casi in cui sfavorisce le donne. Non dico sia il caso dell’associazione, mi riferisco a discorsi che si leggono in rete o su giornali, a volte anche su questo blog (ad esempio quando si denuncia la violenza contro le donne c’è sempre chi tira fuori i padri separati come esempio non ulteriore di quanto sono radicati certi stereotipi, ma per dire quanto le donne in verità non solo hanno la parità ma anzi sono favorite nella società).

  13. C’è un forte malinteso secondo me, ciò che si cerca di dire non è che i padri non devono essere coinvolti nella gestione di e figli, non è che i padri separati sono tutti dei violenti, non è che i figli sono propriatà della madre. Ciò che si sta dicendo, almeno per qualloc he leggo io è che questi ddl pongono la questione con un pregiudizio di fondo e cercano una soluzione in una falsa sindrome che ha come presupposto lo stesso pregiudizio: tutte le donne mentono e tutti i bambini sono manipolati.
    Questo è il punto. Non è una questione di bigenitorialità, ma di non permettere che delle leggi formulate sulla base di un pregiudizio e di una teoria definita immondizia da più parti, vadano a legere i diritti di chi subisce violenza, anche perché le modifiche che si chiedono a questi ddl non sono: i padri sò cattivi lo devi dire! Ma: il principio di bigenitorialità viene a cadere nel momento in cui uno dei genitori, sottolineo uno dei genitori, è violento, verso l’altro genitore e verso i figli.
    Da figlia di separati, da bambina esposta alla violenza, da bambina esposta a molestie: se 30 anni fa ci fossero stati questi ddl forse io non sarei qui a scrivere.

  14. Carissima se nell’ambito del processo di separazione non avessi usufruito dell’appoggio della psicologa nominata dal tribunale e dal mio psicologo , ad oggi non avrei la possibilità di vedere mia figlia …non mi dilungo nello spiegarti le cose che ha fatto la mia ex moglie su mia figlia le potrai ben intuire visto che è prassi comune delle donne usare certi “mezzi” per “vincere”- in ultimo mi ha offerto soldi per smettere di vedere mia figlia.
    non sono mai stato un violento amo la vita e le persone ma sopratutto amo gli animali, solo che grazie alla alienazione parentale mia figlia non mi vuole vedere da quasi 5 anni e ora ne ha 16.
    potrai capire il mio strazio nel non poter vedere mia figlia e sentirmela ostile al telefono unico mezzo con cui riesco a tenere un minimo contatto.
    Grazie a donne come la mia ex La Pas deve essere tenuta in considerazione altrimenti la già alquanto impari legge sullo affido vedrebbe sfavoriti oltremodo quei padri degni di essere chiamati così. io sono no di quelli e ne sono orgoglioso e lotterò tutta la vita per mia figlia.
    claudio ribolla

  15. Claudio rispetto il tuo sentire, ma la pas per come è formulata per i come è pensata mette i pericolo tutte le persone che subiscono violenza, non solo le donne, perché la modifica non riguarda “le donne”, ma i genitori e i figli e le figlie. Chiunque subisca violenza deve trovare ascolto, qualsiasi bambino e bambina, adulto e adulta.
    La Pas è spazzatura. Esistono altri modi, altre forme in cui un genitore sottrae all’altro i figli, esitono ovviamente, ma i termini con cui questa teoria presuppone di riconoscere un’influenza, guarda caso SOLO della madre sui figli, per toglierli al padre, guarda caso, sono ascientifici.
    Non è una questione contro i padri, non è una questione “teniamoci i figli”, è: evitiamo di mettere in una legge che le persone che denunciano una violenza non vengano mai sistematicamente credute, perché questo è ciò che dice la teoria di Grdner.
    E’ una questione importantissima. Tu non hai fatto mai niente? Benissimo, tu non riesci a frequentarei tuoi figli, malissimo, mi dispiace e spero che riuscirai a trovare la soluzione, ma la soluzione non può essere mettere in pericolo cittadini e cittadine italiane, bambini e bambine, è una cosa grave.
    Permettimi di dirti che sono convintissima che la maggior parte degli uomini, padri separati, che sta appoggiando questa cosa, non solo non ha mai fatto male hai figli, ma è stato completamente strumentalizzato, al fine di far approvare questi ddl, da chi ha probabilmente tutti altri interessi.
    E le madri cattivissime esistono eccome. Ma non è questo il modo.

  16. Gli ultimi post, e in particolare quelli di Julie Vignon e di Serbilla, hanno opportunamente ricentrato la discussione sui fatti. Fatti importanti, come il disconoscimento della PAS da parte della comunità scientifica. Che c’era già nel comunicato stampa, ma accompagnato da un’affermazione come “È bene sottolineare che i bambini e le bambine che hanno un padre violento si giovano della sua assenza: solo così possono ricostruire un reale futuro sereno assieme alla madre”. Mi dispiace parlare in prima persona, perché non pretendo di elevare le mie esperienze a paradigma, ma devo dire che passaggi come questo hanno messo fuori fuoco, ai miei occhi, la sostanza della questione, che pure era spiegata, lmeno fino a un certo punto. Se è successo questo a me, che non sono certo un nemico delle rivendicazioni delle donne in materia di diritti, penso di poter dire che la capacità di generare conflitto di una simile forma di comunicazione sia devastante, con enorme danno per la causa che si vorrebbe sostenere. Il fatto è, e mi sento di ribadirlo, che ciascuno è un individuo con il pieno diritto di fregarsene delle statistiche, quando queste gli appiccicano addosso una specie di peccato originale dovuto alla sua appartenenza a un gruppo. Si tratta di venire giudicati per come si è, anziché per cosa si fa, ed è la stessa equazione che nella testa di molti costringe un clandestino nel ruolo di criminale. Non funziona, non aiuta. Per cui direi di lasciar perdere questa questione laterale e concentrarci sull’appello, assolutamente da condividere:
    – Che la legge vieti espressamente l’affido condiviso nei casi di acclarata violenza agita nei confronti di partner e/o sui figli
    – che sia definitivamente proibito l’utilizzo della sindrome di alienazione parentale in ambito processuale e da assistenti sociali come motivo di mediazione familiare e affido congiunto.

  17. Come sempre, quando qualcuno prova ad affermare che gli embrioni potrebbero avere dei diritti, voi femministe vi agitate….

  18. Claudio, ti ha già risposto Serbilla, ma vorrei sottolineare una frase che hai scritto ovvero “è prassi comune delle donne usare certi “mezzi” per “vincere””.
    In questo io ci vedo un grosso pregiudizio di genere perché io non direi mai che “è prassi comune degli uomini usare certi mezzi” e se lo scrivessi da qualche parte tu avresti ragione di dirmi che sto sbagliando.
    Ho molto rispetto per le vicende personali di ciascuno e so perfettamente quanto sia complesso e grave vivere una separazione e un allontanamento dai figli. Ma ciò non toglie che un disegno di legge non può essere basato su una generalizzazione. Su un pregiudizio.
    Va tutto bene. Che i padri vedano i figli tutte le volte che vogliono. Che le madri smettano di rivendicare il primato della bravura in faccende di cura. Che si ridiscuta la questione della pecunia (che di questi tempi manca a tutti e tutte), che si renda il divorzio breve e agile invece che quella cosa difficilissima, quella via crucis che alimenta i conflitti che è (sono i vescovi, mi pare, della Cei che si oppongono e non le donne). Va benissimo che si guardi avanti, che si redistribuisca il lavoro di cura, che si tenga conto delle ragioni affettive dei padri, che si smetta di attribuire ai padri lo stereotipo dell’insensibile, del violento a prescindere, quello che non capisce, ché non gli puoi lasciare i figli, eccetera eccetera eccetera. Io, noi, siamo le vostre migliori alleate. Ma veniamo dipinte come le vostre peggiori nemiche perché il punto sul quale non ci incontriamo, la forzatura delle forzature, è quella che implica un regresso nella formulazione delle proposte, un passo indietro che è utile alla parte conservatrice che strumentalizza in un certo qual modo il disagio dei padri e che sostiene questi disegni di legge.
    Davvero serve ai padri affinché stiano con i figli che si ripristini la patria potestà? Che tutto il potere decisionale in famiglia sia riconsegnato nuovamente a loro? Che si riconsolidi la figura del pater familias, il padre padrone che esisteva nel diritto di famiglia prima del 1975?
    Davvero serve stabilire che tutte le donne sono bugiarde e che dunque, in base a questo pregiudizio, i padri, considerati dai ddl parti deboli, necessiterebbero addirittura di una sindrome presunta, non riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale, per screditare ogni denuncia fatta dalle donne e per semplificare la lettura dei conflitti?
    Esistono comportamenti ostili in certe separazioni. E’ vero. Come esistono padri/exmariti che per perseguitare le ex mogli, non accettando la separazione, farebbero di tutto fino al punto, come la cronaca di quest’anno ci ha raccontato, di uccidere i figli per vendicarsi delle ex mogli.
    Non si può fare una legge che decida a priori che tutte le donne sono cattive e vendicative o che tutti gli uomini sono violenti.
    Bisogna stabilire una eccezione chiara: i figli non devono essere affidati ai genitori nel caso in cui siano accertati episodi di violenza. Bisogna tenere conto anche della violenza assistita. Se un uomo ha picchiato la madre, o lei ha picchiato il padre, e il bambino non vuole vederli questo non può essere interpretato come un comportamento alienato.
    La Pas – che ricordiamolo viene conosciuta come “sindrome della madre malevola” perché stabilisce a priori che quello sia un problema delle donne – dice che se una donna denuncia di aver subito una violenza quella denuncia viene invalidata perché si affermerà che lei ha detto il falso per ottenere l’affidamento del bambino. Lo stesso accade nel caso in cui si denuncia una violenza subita dal bambino.
    Se l’equazione è denunciaxviolenza=tentativodimanipolareilfiglio è chiaro che non può andare bene. Perché oltretutto sono gli scienziati e i procuratori e gli psichiatri delle nazioni in cui questa cosa è stata applicata che ci dicono quanti disastri ha determinato.
    Sarebbe molto lungo da spiegare ma se ci sono trappole nei procedimenti per le separazioni e per gli affidi non si possono risolvere con scorciatoie e consegnando alla burocrazia delle perizie e dei Ctu la certificazione di una presunta malattia psichiatrica che non essendo comprovata scientificamente ciascun@ interpreta a propria discrezione adeguandola alle proprie necessità. Troppo potere, troppo autoritarismo in mano a chi, come mi pare di aver letto, quando non si raggiunge un accordo tra gli ex coniugi, stabilisce con fin troppa semplicità di togliere i figli a entrambi e mandarli in una casa famiglia. E quando i figli finiscono dentro nero fatto di gestione autoritaria e burocratica diventano numeri. Solo numeri.
    Credo bisogna ragionarne molto a lungo. Con serenità, con grande rispetto per il dolore di tutti, degli uomini che lottano per vedere i figli e delle donne che lottano per restare vive, e senza pregiudizi e demonizzazioni reciproche.
    In ogni caso, buona discussione! 🙂

  19. alla fine volevo dire
    “E quando i figli finiscono dentro un buco nero fatto di gestione autoritaria e burocratica diventano numeri. Solo numeri.”

  20. Il fatto è che da un punto di vista giuridico e di prassi, il sessismo di fondo attualmente sbilancia molto nella gestione dei figli le logiche di affidamento ed eventuale penalizzazione. E’ una logica coerente alle storture del sistema culturale e quindi assolutamente involutiva. Non è che le donne sono geneticamente predisposte a cercare certi mezzi perchè sono cattivelle e furbine – ma nella contingenza usano spesso certi mezzi, più degli uomini indubbiamente perchè sono quelli che hanno sul tavolo per difendersi e aggredire. E’ un complemento oggetto ovvio e l’alienazione parentale non mi pare assolutamente una cazzata. Non vedo come possa non esserci in un paese dove le donne non possono fare altro che avere i figli, quindi c’è un vuoto legislativo in merito e un vuoto procedurale. Per me l’affido nei casi di divorzio come è stabilito ora in molti casi è molto lesivo per la prole anche quando va più che bene (un fine settimana si e uno no, un giorno a settimana -nel novanta per cento dei casi col padre quando prima il bambino aveva il genitore sempre!).
    Se però prendiamo in considerazione il bambino figlio di padre violento. Si pone il problema spinoso e contraddittorio del fatto che il violento è suo padre. Non ve la risolvete con la cosa che è brutto e cattivo perchè non gliene daranno un altro. Al di la delle considerazioni su proposte di legge su cui qui non ho sufficienti informazioni con cui giudicare, questo io contesto sempre – e ho lavorato con associazioni firmatarie dell’appello e sto per tornarci a lavorare: non vi illudete che da un punto di vista morale, da un punto di vista di “bene per l’altro” un padre sia come un dente che siccome è cariato lo tiri via. Tu hai il dovere sociale di tentare o di dare a una coppia genitoriale la possibilità di migliorare come coppia genitoriale.

  21. Zauberei, sono d’accordo con la questione culturale, sul pregiudizio falsamente positivo ecc. ma il principio di bigenitorialità, non può essere un assoluto astratto. E’ come l’astratto concetto di “vita” che si vuole applicare all’embrione, non a caso, sostenuto fortissimamente dalla stessa parte politica.
    Il dovere sociale va a cozzare con la violenza che subisci da uno dei due genitori e sei così piccolo che non conosci nemmeno le parole per raccontarla.

  22. In compenso quando cresci la reiteri, la violenza che subisci; e in fin dei conti è questo il problema all’origine: si domandino coloro che litigano per divorzi, separazioni e affidi vari, com’è stata la loro infanzia, come hanno vissuto l’adolescenza, come hanno potuto da adulti non riconoscere il compagno o la compagna con la quale si legavano e mettevano al mondo figli, com’è possibile essere così ciechi se sì è cresciuti nell’amore e nell’equilibrio dei rapporti genitoriali, oppure, se, successivamente, abbiamo preso coscienza della nostra storia individuale di sofferenza? Si pongano questa domanda invece di fare battaglia tra di loro distruggendo una nuova vita nel pieno del suo sviluppo psicologico, emotivo, intellettuale, e anche fisico.

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