SESSANTASETTE, UNDICI

Sessantasette sono i cattivi maestri che hanno giudicato inopportuna la presenza del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza. In loro favore, c’è una petizione, qui. E c’è una lettera aperta a Napolitano firmata da Paolo Flores d’Arcais: qui (linko per comodità di lettura Dagospia, ma la lettera è stata pubblicata da Liberazione, ieri)
Undici sono gli scrittori del Nordest che si ritroveranno il 26 gennaio a Treviso, contro il razzismo. Ecco come ha dato l’annuncio dell’iniziativa Mauro Covacich, su L’Espresso:
“Da quando sto a Roma ho capito cosa vedono i romani guardando verso il Veneto. Vedono una plaga sconfinata, perennemente nascosta nella nebbia, abitata dai rivoltosi delle quote latte, i padroncini dei tir, i piccoli imprenditori con le maniche arrotolate sul maglione in pile, e gli alpini, sempre gli alpini, le facce rubizze, in una mano il vin brulé, nell’altra il mestolo della polenta, impegnati nella solita festa di beneficenza per i figli disgraziati dei tossici. Non vedono più le signorine tonte che andavano a servizio nelle case parioline degli anni Cinquanta, solo perché in primo piano dominano le figure maschili, non perché le signorine tonte siano sparite dal loro immaginario. I romani vedono questo, e per comodità – la comodità senza malafede di chi è abituato da millenni a semplificare e chiama veneto anche un triestino come me – lo contrassegnano con la parola leghisti, la terra dei leghisti, un posto che ancora oggi sulle carte geografiche andrebbe indicato con la locuzione latina ‘Hic sunt leones’.
Ora, sbagliano i romani? Certo che sbagliano. Eppure l’immagine che il Veneto trasmette all’esterno, o perlomeno quella che risulta vincente nella corsa alla notizia, non smentisce mai lo stereotipo.
Il caso più recente è quello dei sindaci razzisti. A Romano d’Ezzelino il sindaco ha escluso i bambini extracomunitari dai bonus scuola (due anni fa ha consegnato i pacchi della Croce Rossa solo a residenti italiani). Il sindaco di Teolo ha nominato una commissione per verificare la buona conoscenza della lingua italiana da parte dei nuovi residenti allogeni, prima di concedere al prefetto il nulla osta per la cittadinanza. Il sindaco di Montegrotto Terme ha fatto scrivere sui tabelloni luminosi dei servizi stradali: ‘Cittadini, emigrate! Vivrete meglio da immigrati in un’altro paese (con l’apostrofo) che da cittadini nel vostro’. Un consigliere comunale di Treviso ha auspicato “metodi da SS per gli immigrati”. Il sindaco di Cittadella ha nominato a sua volta una commissione per valutare la pericolosità dei nuovi cittadini, chiedendo a ciascuno di certificare un reddito annuo non inferiore a 5 mila euro: delibera, questa, adottata dalla maggioranza dei comuni leghisti della regione con la scusa di un adeguamento a una direttiva europea, dimenticando che molti tra gli immigrati formalmente non capienti vengono pagati in nero ogni mese da probi cittadini con l’aziendina.
Il nero (inteso come sommerso) è stato un integratore importante nello sviluppo di buona parte del Veneto. Se nel distretto del mobile tra Oderzo e Treviso i figli dei mezzadri sono diventati mobilieri miliardari, ciò non è dovuto soltanto alla loro pur esemplare disposizione alla fatica.
Di fronte a questo stato di cose la maggioranza degli intellettuali veneti finora ha preferito tacere. La loro irritazione è comprensibile: da un canto, il fastidio per gli stereotipi e le semplificazioni mediatiche (l’hic sunt leones di cui sopra), dall’altro, l’insofferenza verso le stigmatizzazioni da politico, o peggio, da retore di sinistra, per fatti verso i quali provano comunque imbarazzo. Piuttosto che fallire nel tentativo di far comprendere all’esterno la complessità del Veneto, preferiscono chiudersi in una superiore indifferenza. Immagino che il loro silenzio dica: quelli sono solo quattro poveretti in cerca di un po’ di celebrità, non meritano un nostro intervento, quattro razzisti strumentalizzati dalla stampa nazionale ai quali si può rispondere solo ignorandoli.
Ebbene, io non la penso così. Io credo che si debba fare qualcosa. Ho vissuto per molti anni a un passo dal Veneto, tuttora per motivi di lavoro mi capita spesso di fermarmi a Padova, ho partecipato a decine di incontri in paesi identici a quelli sopra citati – biblioteche, librerie, scuole – ci sono andato sempre volentieri ma adesso non mi sentirei di tornarci se prima non avessi dichiarato pubblicamente tutto il mio disgusto per questa forma di razzismo istituzionale.
La mia non è una dichiarazione solitaria, nasce anzi in comune accordo con altri dieci scrittori veneti: Gianfranco Bettin, Romolo Bugaro, Alberto Fassina, Roberto Ferrucci, Marco Franzoso, Giulio Mozzi, Marco Paolini, Tiziano Scarpa, Vitaliano Trevisan, Gian Mario Villalta.
Noi non ignoreremo i sindaci razzisti. Non c’importa se sono ligi alle regole, non c’importa se dicono di allinearsi a direttive europee, noi che lavoriamo con le parole, non staremo a guardare con superiore indifferenza coloro che in quei paesi usano le parole per aumentare, anziché lenire, il senso di ostilità verso gli stranieri. Noi useremo le parole della letteratura contro di loro, a casa loro. Sabato 26 gennaio alle ore 17 ci riuniremo in piazza dei Signori a Treviso – epicentro e scaturigine ideale dell’intolleranza fomentata dagli amministratori – per leggere in pubblico brani di ispirazione antirazzista tratti dalla letteratura mondiale. Non c’importa quanto pedante parrà il nostro gesto, né quanto irrisorio sarà l’effetto che provocherà, noi non faremo finta di niente, non lo faremo soprattutto in rispetto di tutti i veneti che non sono razzisti. Thomas Bernhard nel suo testamento aveva parlato di una “emigrazione postuma”, chiedendo che le sue opere venissero interdette agli austriaci per settant’anni dopo la sua morte. Noi, si parva licet, al boicottaggio di Bernhard preferiamo raddoppiare il volume della nostra voce, confidando che gli abitanti di quei paesi impieghino molto meno di settant’anni per cambiare amministrazione. Ma forse non è neanche questo il punto: il nostro obiettivo non è convincere gli altri, bensì comunicare al mondo che noi non ci stiamo. Qualcuno di noi è impegnato politicamente, qualcuno no. Alle nostre spalle non c’è nessun partito o associazione: siamo associati dalla convinzione che il razzismo – qualsiasi tipo di razzismo, ma soprattutto questo, ipocrita, moderno, benestante – sia semplicemente orrendo.
La complessità del Veneto – l’eredità di una cultura rurale, la forte base solidaristica del volontariato cattolico, lo spaesamento di una società squassata da un’improvvisa accelerazione dei processi produttivi, una provincia dai tratti americani, in ogni ambito della quale il massimo di avanguardia confina con il massimo di arretratezza – noi crediamo che dar conto di questa complessità a chi non la conosce rischi di farci apparire indulgenti, e quindi autoindulgenti, se prima non ci esprimiamo a chiare lettere contro coloro che soffiano sull’odio e sulla paura. Capire la complessità non significa accettare tutte le scorie che produce.
A quelle scorie noi risponderemo facendo parlare i nostri libri preferiti. Ovviamente la speranza è che si uniscano anche altri scrittori e artisti e che in Piazza dei Signori, quel sabato, ci sia più gente possibile.
A questo proposito mi viene in mente il racconto ‘Antipatia’ del ‘Sillabario’ di Goffredo Parise, dove uno scocciatore telefonico nei cui tratti è facile riconoscere Pasolini insiste perché il protagonista, altrettanto evidente alter ego dell’autore, partecipi a una petizione in favore degli antifranchisti spagnoli rifugiatisi in Italia. È un testo spietato contro tutti i luoghi comuni del filantropismo sinistrorso e della sua retorica interventista, eppure sono sicuro che oggi Parise parteciperebbe alla nostra iniziativa. Mi basta ricordare una sua lettera a ‘la Repubblica’ nell’85, 13 anni dopo quel racconto: “Dicevo che soltanto battendo il tasto dell’antimeridionalismo la Liga avrebbe potuto avere successo, come ha avuto. Questo perché conosco bene i miei polli (i veneti che hanno votato Liga Veneta), il loro razzismo e la loro xenofobia. (…) Ma il fenomeno non è isolato come sembra per i suoi aspetti goldoniani e folkloristici. È molto diffuso e a cento anni dall’Unità serpeggia in varie forme nelle regioni di tutto il paese”. “

15 pensieri su “SESSANTASETTE, UNDICI

  1. non vedo il nesso tra i sessantasette oscurantisti, che hanno stravolto il metodo scientifico e dialettico e messo in discussione il principio di laicità, e gli unidici antirazzizti.
    invito a non firmare la petizione. quei professori hanno sbagliato e deve essere chiaro a tutti. la petizione confonde le acque mischiando due questioni diverse. un conto è la strumentalizzazione di qualche politico che ha parlato di censura, quando censura non c’è stata; un conto è l’appello dei sessantasette, un atto sbagliato nel metodo per esprimere un dissenso legittimo. far credere che la solidarietà ai professori sia un atto riparatore della strumentalizzazione significa continuare quel cattivo metodo., che ha portato i professori a stravolgere il senso di un articolo scrtto da un loro *collega* e a dichiarare, in maniera apodittica e antiscientifica (direi dogmatica) che non può parlare in una università chi appoggia un’interpretazione non gradita a loro. intepretazione di cosa, tra l’altro? di una questione storiografica apertissima come il processo a galileo.
    quale solidarietà meritano, quale solidarietà si aspettano? no, assolutamente no. in nome della laicità, della scienza, della cultura europea, della libertà di pensiero.

  2. Ps. le dichiarazioni di Bagnasco contro l’Italia, sono arrivate proprio puntuali e in sintonia con le dimissioni di Mastella. Sarà stato un caso, o era tutto architettato, visto la presenza di Mastella domenica a San Pietro?

  3. @ Alessandro: In nome della laicità, della scienza, della cultura europea, della libertà di pensiero, la visita del papa è stata contestata da professori e studenti, per una volta insieme.
    Il papa, assuefatto alle domenicali e confortevoli folle osannanti, è rimasto semplicemente sorpreso – non essendovi abituato – dalle argomentate e legittime proteste sollevate dalla sua partecipazione all’inaugurazione dell’anno accademico, che sarebbe diventata, sui giornali, il titolo roboante e carico di significati “Il papa inaugura l’anno accademico”. E ha fatto, naturalmente e giustamente, marcia indietro. Sarebbe infatti difficile per chiunque parlare davanti ad una folla colta e “protestante”. Scienza e religione separate, please.

  4. vista da su, dal nord, roma e i romani e la loro amministrazione (che vuole diventare nazionale), con grande capacità di non accendere i riflettori sul problema, lasciano che i clandestini vivano in favelas lungo il tevere salvo farle sgomberare quando un drammatico episodio di cronaca nera (che non viene vissuto come tale, ma come un problema etnico e collettivo) accende quei dannati riflettori che tutti volevano spenti.
    ma non è razzismo romano, è la solita indifferenza della capitale.
    utile leggere a treviso e non rassegnarsi si sindaci razzisti.
    utile anche leggere a roma, forse. anche più utile perchè è difficile immaginare che lì si possa serenamente chiedere un cambio di amministrazione come soluzione del problema…
    e non è facile ironia, è che il problema è complesso non solo in veneto e non solo in una parte politica (specie quando la politica si deve declinare non tanto in enunciazioni quanto in azioni)
    visto da un “nordista” (piemontese, non veneto) che vive a roma e che dell’ indifferenza è preoccupato perchè è solo una forma più raffinata di razzismo

  5. Iniziativa lodevole. Molto lodevole.
    Da anni racconto la realtà del Nordest.
    La realtà vera, mica la finzione che ci vede tutti ricchi e contenti.
    La realtà fatta di emarginazione e difficoltà, di nuove povertà e nuove paure. I miei racconti girano sempre lì, dove il disagio e la difficoltà del vivere mordono la pelle.
    Per questo sono contento che dei miei colleghi vadano a Treviso a manifestare.
    Una pecca?
    Che parteciperanno solo una decina di scrittori.
    Nel Nordest ce ne sono a centinaia, tra famosi e meno, e magari chiamandoli a raccolta sarebbero venuti pure loro.
    O almeno qualcuno in più…
    Comunque meglio una decina che nessuno.
    Buona Vita
    Massimiliano Santarossa
    http://www.myspace.com/157992574

  6. Possibile che questa congrega di scrittori veneti si muova sempre in branchi di soli maschi? Eppure di donne pensanti e scriventi ne esistono parecchie nel Triveneto. O quei maschietti della penna hanno paura di essere distratti dalla contemplazione del loro ombelico? Come possono farsi promotori di valori progressisti quando continuano ad avere atteggiamenti da maschilisti culturali?

  7. Ero in Piazza dei Signori sabato 26 gennaio a Treviso, e c’era pure parecchia gente. Tanta, tantissima per le abitudini trevigiane. Forse tutta quella minoranza non protetta che non vota lega e Gentilini.
    Questa degli scrittori in piazza, è stata un’iniziativa meritoria e lodevole, una boccata di ossigeno nel mare di esposizioni di formaggi, vini, ombrelonghe e radicchi in piazza a cui siamo abituati.
    Ma se gli “scrittori in piazza contro il razzismo” invece che pensare di fare una lettura di testi ad alta voce dal gradino del palazzo dei Trecento come se fossero al chiuso di un teatro o in una libreria, si fossero almeno portati uno straccio di microfono e un altoparlante, invece di farselo prestare all’ultimo momento dal complessino peruviano che casualmente si trovava lì in piazza, avremmo potuto essere molti ma molti di più e non quei pochi a cui arrivavano a fatica le parole.
    Se si vuole dare voce al Veneto che di solito non ha voce e che non va in prima pagina per le sparate razziste, bisognerebbe farla sentire forte e chiara questa voce. E almeno portarsi un megafono.

  8. Intanto complimenti per il blog!!
    Elena ha ragione: a Treviso c’ era un’ acustica davvero pessima! 🙂
    Ovviamente il successo è stato solo parziale, ma credo che in questi casi-rari-bisognerebbe esaltare i lati positvi dell’ iniziativa!!
    Sull’ assenza di donne-scrittrici (anche se ad ascoltare in piazza ce n’erano tante), l’ ho notato anch’io, credo che in zona anche tra persone colte viga il modello dell’ “amicizia da osteria”!!!

  9. Ciao,sono disponibili in rete i miei due ultimi libri
    “etilico punto it “
    http://www.lulu.com/content/2403198
    Disinnescare, fantasticare e rimescolare fino quasi a tarda notte. Ricominciare a declamare la propria improbabile estraneità. Fluidificare la deposizione già depositata in precedenza, cambiare disposizione dei verbi, imbrogliare i soggetti, riconsiderare la propria posizione. Andare a marcia indietro.
    Sorseggiare l’accadimento, stenderlo come si deve, metterlo a disposizione dell’improvviso rifiuto.
    Ballare per essere più gradevolmente convincente.
    Fingere di dormire, fingere di deglutire più volte. Volteggiare nelle improbabili dicerie. Riconsiderare per un’altra intera notte eventualmente il da farsi. Irrompere di nuovo, farsi esplodere nel centro.
    “caimani “
    http://www.lulu.com/content/1847218
    Quando il ritmo dell’altalena tra vero e bugiardo, tra ordine e disordine, ragione e non ragione, crudele e mansueto, diventa convulso, tutte le carte si mischiano in una ridda di mutazioni quasi a passo ridotto. Un chiaro scuro di contrasti che sulle prime impedisce di vedere e di capire: compassati compagni di scompartimento che d’improvviso si trasformano in sanguinari felini. Androni riposti della metropolitana che diventano contenitori di spettri dolci e terrificanti; opere pittoriche per nulla rassegnate che prendono a ricercare una loro nuova composizione; osceni cecchini slavi che ammazzano bene solo quando…Dicotomia, quella di Caimani, che si può visualizzare in un eden brutale, a tratti percorso da barbagli stellari. Forse.

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