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DITE, AMICI

Questa mattina a Pagina3 ho letto l’intervista che La lettura ha fatto a Geoffroy de Lagasnerie, Didier Eribon e Édouard Louis. Molte delle cose che hanno raccontato sono presenti in 3.Un’aspirazione al fuori-Elogio politico dell’amicizia, pubblicato da L’Orma quasi un anno fa nella traduzione di Annalisa Romani. Se non lo avete letto, procuratevelo, perché è davvero il racconto di un possibile contropotere, un modo di condividere non solo le idee e la quotidianità ma anche la creatività (un esempio di casa nostra lo abbiamo da anni, con il collettivo Wu Ming). In una precedente intervista a Limina de Lagasnerie ha detto:

“Nella storia, in generale, la creazione artistica e quella relazionale sono spesso unite. Scrivere nuove forme letterarie presuppone avere nuovi legami. La scrittura è di per sé un atto auto-formativo, «Scrivo a modo mio», ma serve anche inventare relazioni che sostengano questa forma di scrittura. Nella nostra cultura abbiamo spesso l’idea dell’artista come di un essere solitario, invece un artista per creare deve circondarsi sempre di amici per avere più stimoli, più visioni. Pensiamo a Sartre e Beauvoir, a Violette Leduc; il consiglio più giusto da dare è «Se volete scrivere, circondatevi di amici».”.

Ora, anche se non si scrive, è interessante e importante recuperare il senso dell’amicizia, che troppo spesso equivochiamo nella nostra vita sui social: dove pure le amicizie nascono eccome, ma troppo spesso si sfilacciano proprio perché non c’è il senso del progettare insieme. 
E qui approfitto per ricordare quante amicizie abbiamo perso negli ultimi cinque anni, prima per il Covid, poi per l’invasione dell’Ucraina, infine per Gaza. Persone che abbiamo conosciuto, frequentato, che ci sono piaciute e che abbiamo amato, e che improvvisamente vediamo lontanissime, su sponde non conciliabili, dove anche parlarsi diventa un’utopia.

DITE AMICI

Negli ultimi tempi alcuni fra i miei amici e amiche (quelli in carne e ossa, intendo, quelli che mi conoscono e frequentano non solo sui social) si preoccupano per me. Che farai, mi chiedono, dal 30 giugno? Non temi, dicono alcuni fra gli alcuni, di perdere visibilità? Di non sapere come impiegare il tempo?
Sulla seconda e la terza so cosa dire, ma alla prima domanda non ho ancora risposte. O meglio, ho risposte parziali ma che non riguardano la mia trascurabile esistenza ma in generale il modo in cui viviamo la cultura negli ultimi tempi. Provo a spiegarmi.
Leggo le cronache, leggo molti articoli sulle egemonie culturali, di destra o sinistra, attuali e pregresse, e trovo che ancora non si discuta abbastanza sul funzionamento del sistema culturale medesimo. Non sono convinta che possa continuare così come lo conosciamo: grandi eventi, grandi festival, grandi teatri, insomma, con la concentrazione di produzioni e manifestazioni in alcuni luoghi-totem. Credo che dovremo studiare, tutte e tutti, una direzione diversa. Sapere quale è un bel problema, ma non dubito che in tempi neanche troppo lontani diventerà abbastanza chiaro.
Quello di cui sono certa è che bisogna puntare molto, moltissimo, sulla famosa intelligenza dei gruppi. Che è una cosa molto precisa. Segue, ovviamente.

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