I VESTITI DELLE EURODEPUTATE

In poche parole: basta con questi chiacchiericci da disperati su come si vestono le donne. Soprattutto se politiche. Il termine “da disperati” va inteso come si può immaginare: se non si ha altro da dire, se soprattutto non si è stati esattamente un modello  di pensiero o di cultura o di politica, niente di meglio che passare il tempo non a sputare su Hegel (troppo difficile) ma a ghignare sugli abiti di Ilaria Salis e Carola Rackete.
Non mi ha stupito il berciare dei quotidiani di destra: figurarsi, non aspettavano altro, e infatti alla prima apparizione all’Europarlamento di Salis e Rackete si sono sfogati, come fanno ogni giorno (per non parlare di quel vecchio signore che straparla di cameriere). Ma ieri è arrivato pure Marco Rizzo, coordinatore di Democrazia Sovrana e Popolare, a sua volta un tempo europarlamentare, che su X ha detto che nossignori, non si va in aula “vestiti da spiaggia” riferendosi alla canottiera rossa e allo zaino di Rackete. Si avrebbe buon gioco a mettere sul tavolo i fatti, dell’uno e dell’altra, ma non è questo il punto.
E’ che ancora una volta si punta su un aspetto marginale. Penso a quando, quindici anni fa o giù di lì, Michelle Obama  arriva in Italia e pone una domanda sul gender gap a Isabella Alemanno mentre i giornali italiani si interessano solo della spilla verde della first lady americana appuntata su un abito giallo.
E’ che ancora una volta una donna intelligente, preparata, colta fa paura a chi non riesce a vedere più in là del proprio specchio. E che, al solito, non conta fino a duecento prima di postare su un social.
Ps. Faccio mie, infine, le parole in risposta di Valeria Parrella: “Io mi sento rispettata e rappresentata dall’onorevole Rackete, Ella veste gli abiti di chi ha speso un’esistenza al servizio degli ultimi della terra- e non mi riferisco a quelli di stoffa. Si interroghi, onorevole, sulla Sua necessità di stigmatizzare il prossimo per l’apparenza”.

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