Immaginate. Immaginate che da un varco fra i mondi Silvio Berlusconi osservi l’Italia che commenta la sua morte, e che nella grandissima parte dei casi lo fa in due modi: celebrandolo, o insultandolo, ma limitandosi, in quell’insulto, a reiterare parole messe in fila, che – purtroppo – si esauriscono pochi minuti dopo averle pronunciate, o scritte. La stessa cosa avverrà per le celebrazioni, che saranno dimenticate prestissimo. 
E’ il suo maggior successo, un successo che rallegrerebbe l’osservatore da altri mondi. Perché nei due casi ci si rivolge al passato non per farne preziosa memoria, ma per sfogarsi. E quando ci si sfoga, si dimentica subito.
Chiacchierando un tempo con Andrea Camilleri disse che il problema non era il Cavaliere, ma il cavallo. Ovvero noi, che gli abbiamo permesso di salirci in groppa e ci siamo abituati al peso. Non so se la frase fosse sua, ma è vera.
E’ questo il punto su cui chi prende parola pubblica, dunque tutti e tutte ai giorni nostra, deve concentrarsi. Il resto è un soffio. E, come diceva Javier Marìas, “il caso dell´Italia è ancor più plateale, perché tutto sta avvenendo in modo più gridato, più scoperto. Quello che temo di più è che tutte queste cose possano essere contagiose, che possano contagiare altri paesi. Si sa, l´imbecille ha successo nel mondo. Le idee più stupide trionfano”.