Tag: Lucy sulla cultura

Un tempo esistevano gli Exultet, ovvero codici dove il testo e le immagini erano disposti in modo opposto: il testo doveva essere letto dal diacono mentre le immagini dovevano essere visibili ai fedeli. Il codice veniva srotolato durante la preghiera, in modo che il popolo comprendesse la storia sacra. Un po’ gli antesignani di Mtv, se mi si passa la blasfemia: sicuramente, un modo di utilizzare elementi e contenuti “colti” in una forma accessibile al maggior numero possibile di persone.
Ovviamente, le cose sono molto cambiate, e proprio oggi, a 31 anni dalla morte di Franco Fortini, provo a fare una riflessione sulla diffusione della cultura, muovendomi (lo so bene) su un territorio minato.
Perché Fortini? Perché una decina di anni fa, un po’ per amore, un po’ per gioco, un po’ perché all’epoca le opere di Fortini erano introvabili, ho cominciato a postare una poesia (o parte di una poesia) su Facebook, tutte le sere. Era diventato un appuntamento per parecchi commentatori, quello col “Fortini della sera”: preciso che non aggiungevo commenti, o interpretazioni, o critica. Pubblicavo e basta. Così come era cominciata, finì: finì, anzi, con la ripubblicazione delle poesie, e tanto basti.
Ora, a diversi anni di distanza, alcuni, che sono indubbiamente molto più titolati di me, hanno storto il naso su quell’esperimento, giudicandolo incongruo e soprattutto giudicando inadatta me a parlare di Fortini. E’ verissimo: basti dare un’occhiata ai partecipanti ai convegni che lo celebrano e ai saggi a lui dedicati per capirlo.
Il punto è che io non volevo essere titolata: volevo far arrivare le parole e i versi di Fortini a chi non lo conosceva. Volevo riproporne frammenti di pensiero (non certo interpretarlo) in assonanza con la realtà del momento.
Ovviamente lo rifarei.
Però mi chiedo quanto le cose stiano cambiando, e quanto il rischio, in questo preciso momento, sia di disperdere le parole. Nell’intervista fatta a Claudia Durastanti per Lucy sulla cultura mi ponevo, con lei, esattamente questo interrogativo: cosa succede quando coloro che difendono la pop culture oppure inseriscono elementi colti in quel rotolo che viene svolto dal pulpito, si imbattono in un meccanismo, come quello attuale, dove predomina una assimilazione che non è neanche più cannibalismo e sicuramente non è quello che chiamavo nomadismo dei saperi?

Oggi Donatella Di Pietrantonio mi ha dato molto da pensare, con il suo bellissimo articolo sui prematuri che trovate su Lucy sulla cultura. 
Leggere per i bambini e le bambine nati troppo presto non significa soltanto aiutare, con la propria voce, i piccoli. Significa ricreare un gruppo solidale.
Quando è nata la mia primogenita, prematura, molte cose non si sapevano: allora la pratica del marsupio per mantenere figlio o figlia pelle a pelle non si usava, e bisognava aspettare che qualcuno si distraesse per infilare le mani negli oblò dell’incubatrice e strappare un contatto, una carezza, qualche canzone da sussurrare, perché magari nessuno ce lo aveva detto, ma avevamo bisogno di toccare la pelle dei figli, di far sentire che eravamo presenti, che anche se eravamo stati separati troppo presto eravamo comunque vicini, e che saremmo usciti da là insieme.
Ma anche allora, in quella stanza che risuonava di bip e campanelli che avevamo imparato a percepire come rassicuranti o minacciosi, non eravamo sole, noi madri dei troppo piccoli: c’erano appunto le infermiere, le altre mamme, ci si rassicurava o consolava a vicenda.

Io sono sicura che succeda ancora, perché nonostante tutto credo che negli esseri umani ci sia parecchia luce, oltre all’ombra che vediamo ogni giorno, ogni minuto. Mi chiedo però perché dimentichiamo le cose buone e belle che abbiamo avuto e abbiamo.
Non ho risposte e non credo che la colpa sia, o non solo, dei social. Credo, ma se ne parlerà meglio domani, che troppo abbiamo rimosso dalle nostre vite. 
Intanto, tengo caro il finale della Biblioteca di Babele di Borges che Donatella Di Pietrantonio leggeva al piccolo che le era stato assegnato:
“Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine”.

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