Nel 1987 mi ritrovai a lavorare per una manifestazione di teatro e musica, “Italy in Houston”, che portava l’arte italiana in Texas. Ma avevo paura di volare. In quel caso, la mia fu una prova di resistenza: Roma-New York-Houston, e ritorno, dunque tantissime ore di volo, e di panico. Però. Prima del viaggio di ritorno Maurizio Scaparro (è il mio modo di ricordarlo) mi disse che non dovevo avere paura, e mi raccontò una storia. Un giorno doveva fare uno spettacolo a Los Angeles, molte ore di volo, mi disse. Atterrò dopo qualche turbolenza, prese un taxi, si rilassò sul sedile posteriore. Dopo pochi metri il taxi tamponò un camion che trasportava sbarre di ferro, e una di quelle sbarre sfondò il vetro anteriore e si conficcò a pochi centimetri dalla spalla di Scaparro. “Come vedi, non era dell’aereo che dovevo avere paura”, mi disse ancora.
Non so perché lo racconto proprio oggi. Forse perché questo è il tempo della paura, e ieri come oggi non vediamo quel che dovremmo davvero temere. Forse funziona così. Forse, un bel giorno, saliremo su un altro aereo. Per la cronaca, dopo quel viaggio non ho più temuto gli aerei, se non per ragioni ambientali.