PAURA DI VOLARE: UNA STORIA DEL 1987 CHE VALE ANCHE OGGI

Nel 1987 facevo l’ufficio stampa di spettacoli ed eventi teatrali e musicali, insieme a Gianna Volpi: è un lavoro che mi è piaciuto per diverso tempo, poi mi è piaciuto molto meno perché non pochi critici confondevano il lavoro dell’ufficio stampa medesimo con quello della servetta, che doveva assicurare loro non la visione di una performance, ma un buon ristorante, un albergo consono e vita comoda. Ed è il motivo per cui oggi solidarizzo sempre con gli uffici stampa delle case editrici e dei festival letterari, perché fanno un lavoro giornalistico e non tutti lo ricordano.
Dunque, nel 1987 mi ritrovai a lavorare per una manifestazione di teatro e musica, “Italy in Houston”, che portava l’arte italiana in Texas. Una cosa bella, e anche l’occasione per vedere un po’ di vita americana. Cose che ricordo: il Giustino di Antonio Vivaldi a teatro; le luminarie di Valerio Festi; Elisabetta Terabust e l’Aterballetto; il Pulcinella di Massimo Ranieri secondo Maurizio Scaparro. E poi: gli ospiti dell’albergo texano che alle otto di mattina mangiavano cotolette con salsa di cotoletta; un trapianto di cuore visto dall’alto, in tempo reale; la visita allo Space Center e il Lem; i cappelli da cow boy; i mall, che erano qualcosa di mai visto in un’epoca che ancora, in Italia, non aveva concepito i centri commerciali; i falconieri dentro i mall; i giardinetti delle ville a schiera; una serata in un ristorante tipico (bistecche) con un palco e, sul palco, una ragazza vestita da maliarda di film western che, spingendosi sull’altalena, doveva far suonare con i piedi una campanella posta sulla graticcia del teatro.
Poi, ricordo la paura.
Per un lungo periodo della mia vita ho avuto paura di volare. In quel caso, la mia fu una prova di resistenza: Roma-New York-Houston, e ritorno, dunque tantissime ore di volo, e di panico. Ricordo di aver affondato la faccia nel braccio del mio vicino (un giornalista del gr all’andata, uno del tg al ritorno) e di non aver dormito neanche un minuto. Però. Prima del viaggio di ritorno Maurizio Scaparro (è il mio modo di ricordarlo) mi disse che non dovevo avere paura, e mi raccontò una storia. Un giorno doveva fare uno spettacolo a Los Angeles, molte ore di volo, mi disse. Atterrò dopo qualche turbolenza (e alla parola turbolenza ero sbiancata), prese un taxi, si rilassò sul sedile posteriore. Dopo pochi metri il taxi tamponò un camion che trasportava sbarre di ferro, e una di quelle sbarre sfondò il vetro anteriore e si conficcò a pochi centimetri dalla spalla di Scaparro. “Come vedi, non era dell’aereo che dovevo avere paura”, mi disse ancora.
Ci pensai su. Dopo qualche anno mi decisi a prendere un aereo per Londra con Sandro Massimini. La paura era sparita. E ancora oggi volare mi diverte e mi rilassa.
Non so perché lo racconto proprio oggi. Forse perché questo è il tempo della paura, e ieri come oggi non vediamo quel che dovremmo davvero temere. Forse funziona così. Forse, un bel giorno, saliremo su un altro aereo.

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