Alle bambine della mia generazione si insegnava a disegnare le cornicette: per una pasticciona insofferente come la sottoscritta era una tortura, perché mi risultava difficilissimo rimanere nei quadretti. Smarginavo continuamente.
Nessun trauma, per carità: solo la premessa di quello che mi sarebbe avvenuto più tardi, e avviene ancora, in tutta la mia vita. Per questo mi arrabbio non poco quando qualcuno cerca di ficcarmi in una cornicetta. Esprimo un dubbio non sull’esistenza in vita del Festival di Sanremo, bensì della – per me – stupefacente overdose di informazioni che occupa giornali, telegiornali e social? Ecco che divento la nemica della cultura popolare, la Elkann in gonnella che legge Proust mentre i buoni e giusti e la Vera Sinistra applaudono Fiorello. Senza ricorrere al curriculum (tranne in due casi, due libri: non so quanti fra i buoni e giusti abbiano scritto di Mozart rock e di Pokémon), verrebbe da dire che un paio di cose sulla cultura popolare andrebbero ripassate, magari leggendo qualche testo in più, ma sarà per un’altra volta, quando la sbornia è passata.
Invece parliamo di cornicette. Anzi, di caselle. Anzi, di generi.
Lo fa Paolo Panzacchi nel suo intervento agli Stati Generali del Genere del 4 febbraio.
Pace, bene e più Henry Jenkins per tutti.