STATI GENERALI DEL GENERE: PAOLO PANZACCHI. E UNA PREMESSA SULLE CORNICETTE.

Alle bambine della mia generazione si insegnava a disegnare le cornicette: per una pasticciona insofferente come la sottoscritta era una tortura, perché mi risultava difficilissimo rimanere nei quadretti. Smarginavo continuamente.
Nessun trauma, per carità: solo la premessa di quello che mi sarebbe avvenuto più tardi, e avviene ancora, in tutta la mia vita. Per questo mi arrabbio non poco quando qualcuno cerca di ficcarmi in una cornicetta. Esprimo un dubbio non sull’esistenza in vita del Festival di Sanremo, bensì della – per me – stupefacente overdose di informazioni che occupa giornali, telegiornali e social? Ecco che divento la nemica della cultura popolare, la Elkann in gonnella che legge Proust mentre i buoni e giusti e la Vera Sinistra applaudono Fiorello. Senza ricorrere al curriculum (tranne in due casi, due libri: non so quanti fra i buoni e giusti abbiano scritto di Mozart rock e di Pokémon), verrebbe da dire che un paio di cose sulla cultura popolare andrebbero ripassate, magari leggendo qualche testo in più, ma sarà per un’altra volta, quando la sbornia è passata.
Invece parliamo di cornicette. Anzi, di caselle. Anzi, di generi.
Lo fa Paolo Panzacchi nel suo intervento agli Stati Generali del Genere del 4 febbraio.
Pace, bene e più  Henry Jenkins per tutti.

Intervento di Paolo Panzacchi

Affido a un aneddoto vero o possibile, fa poca differenza, le mie riflessioni sul genere.

Nel centro storico di Bologna due scrittori entrano in un bar di ultima e, no, non è una barzelletta.

«Ciao Gianluca, come stai? Stai scrivendo?»

«Ciao caro, sono stanco, sono impegnato nella stesura di un giallo perché han detto che bisogna tornare a parlare di meccanismo investigativo, però ho anche pensato di inserire una tinta noir, che sai, piace sempre e poi aiuta a essere invitati in qualche festival di genere, poi ho anche ipotizzato alcune sfumature thriller e va beh, visto che voglio abbracciare tutto il pubblico possibile ci metterei anche uno scenario distopico. Ah, alla fine però il serial killer e l’ultima potenziale vittima si innamorano quindi ci sono anche sfumature erotiche.»

«Ma non è un romanzo, è un casino.»

«Vai tranquillo, da qualche parte lo catalogheranno come si deve e troverà lo spazio sullo scaffale e il suo pubblico.»

«La trama? Dov’è ambientato? I personaggi?»

«Ma sì, dai, ci metti un commissario, un’avvocata, poi magari lo ambiento in una di quelle metropoli non metropoli, tipo Milano, ma non è Milano. Trama? Il commissario è un figo, gli piace mangiare roba buona, ha un attico, lei lo ama, però poi, te l’ho detto s’innamora del serial killer.»

Per raccontare questo possibile aneddoto si fa presente alle persone in sala che nessuno scrittore è stato molestato, che nessun barman di locali di infima categoria si è lamentato per questo scambio di battute. A subire un torto, uno sfregio, è stata solamente la letteratura.

Cos’è il genere letterario?

Un po’ come a scuola le domande che sembrano facili serbano un tranello, io ci casco con tutte le scarpe e allora alzo la mano per farmi bello ed evitare le interrogazioni offrendomi spontaneamente.

«Signora maestra ho studiato, lo so.»

«Panzacchi non faccia lo stupido, lo dica.»

«Dicesi genere letterario: “Un genere letterario è una categoria della scrittura letteraria. La letteratura viene convenzionalmente suddivisa in una molteplicità di generi detti anche forme codificate di un’espressione che ne rendono la classificazione molto più semplice e la discussione critica.”»

A scuola, con una definizione del genere avrei preso un bel voto, mia madre mi avrebbe fatto i complimenti, mia nonna mi avrebbe scucito un “deca” che, da disgraziato, avrei speso in osteria al posto di pensare al mio futuro.

Il caro amico Morozzi un giorno mi ha detto che a volte basta un “Sì” per essere segnati per sempre e non parlavamo di matrimoni.

Quel “Sì” era, in quel caso, “Sì, ti scrivo quel racconto per quell’antologia”, dopo sarai sempre l’autrice o l’autore che dice “Sì” alle antologie e ti troverai a scrivere seimila racconti e a curare ottantamila collettive.

Un’altra cosa che ti qualifica è il “genere” del primo romanzo perché, come nel caso del diamante (e anche del mutuo): è per sempre!

Puoi aver scritto un romanzo, così, per provare e hai la fortuna di pubblicarlo, però non era proprio l’idea della vita, cioè, hai avuto voglia di cimentarti con qualcosa di diverso dal solito perché le altre cose non se le era lette nemmeno il tuo analista e invece, in questo caso, è andata: contratto, editing, promozione, presentazioni.

Un gran bel romanzo storico, per esempio.

Tutto bene?

No.

A te piace scrivere comico, ma avrei potuto dire qualunque cosa al posto di romanzo comico o storico, o semplicemente a te piace scrivere e basta, hai voglia di parlare di trame, di intrecci, di personaggi, hai voglia di prendere per mano le lettrici e i lettori e organizzare un viaggio in una città che ami e hai voglia di renderla personaggio tanto quanto quelli in carne e ossa.

No.

Ma tu da quel momento sei e sarai sempre nomecognomeautorediromazostorico. Non si discute.

Allora ti indisponi.

Ti scapicolli per i corridoi delle agenzie letterarie di mezzo mondo a cercar di far leggere una nuova storia, ma niente. Potresti aver scritto “La Recherche” che non gliene fregerebbe un tubo a nessuno.

Tu sei e sarai sempre nomecognomeautorediromanzostorico.

Allora ti arrabbi.

Fai l’offeso quando ti chiamano ai festival, per spregio scrivi un romanzo storico sull’irrinunciabile figura di Sargon, Imperatore di Akkad, sperando che ti mandino tutti a quel paese, ma vendi centomila copie e ti opzionano il testo per fare un film con Favino nel ruolo di Sargon.

Allora ti disperi perché hai la consapevolezza che non ne uscirai mai.

Tutto questo per dirvi e dire che il genere è un modo per sapere o cercare di capire dove mettere un oggetto rettangolare chiamato “libro” su uno scaffale, è un modo per semplificare, forse per rendere più fruibile.

Credo sarebbe bello che nessuno ci dicesse: “Ma non muore nessuno, non è un noir!”, “C’è sesso, è un erotico.”, “Parli degli anni di piombo, è uno storico!”, “Parli di Intelligenza Artificiale, è un cyberpunk.”, e così via, fino all’infinito.

Credo però sarebbe altrettanto bello, tornando a quel bar di ultima categoria dell’inizio di questo discorso, che i due scrittori si parlassero in un altro modo.

«Ciao Gianluca come stai? Stai scrivendo?»

«Ciao caro sono stanco, però ho in mente una storia bellissima. Non so bene cosa sia, ma i personaggi hanno tanto da dire e Bologna, oh Bologna quant’è bella in quelle pagine che sto scrivendo, sembra mandare aria nei polmoni dei due protagonisti quando, in una notte estiva, una brezza dolce scende dai colli quando si incontrano e poi…»

«E poi?»

«E poi sarà una grande avventura per me terminare la storia, raccontare perché io abbia voluto scriverla così e sarà bellissimo sapere che emozionerà anche solo una lettrice o un lettore.»

 

 

 

 

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