Nel 1964, Philip K. Dick, in “La penultima verità”, scrive qualcosa che ci riguarda:
“Una nebbia può penetrare dall’esterno e impossessarsi di te; può invaderti. Alla lunga e alta finestra della sua biblioteca (una regale struttura costruita con i frammenti di cemento che un tempo, in un’altra epoca, formavano una rampa d’accesso della Bayshore Freeway), Joseph Adams rifletteva mentre guardava la nebbia, quella del Pacifico. E siccome era sera e sul mondo stava scendendo il buio, quella nebbia lo spaventava quanto l’altra, quella nebbia interiore che non invadeva ma si estendeva e si rimescolava riempiendo ogni parte vuota del suo corpo. Quasi sempre, a quest’ultima nebbia si dava il nome di solitudine.”
Parlare di solitudine può sembrare fuori luogo se l’intento del discorso, come proverò a fare, è politico. Eppure, è la parola che non pronunciamo.
Se vado indietro nel tempo, mi rendo conto che la mia frequentazione di specie non umane è aumentata recentemente. Se rifletto su quel che vedo nei social, mi rendo conto che le dosi di empatia, tenerezza, fiducia, anche e forse soprattutto da parte di coloro che si presentano come spietati, vengono riservate alle piante e agli animali. Dunque ha ragione Richard Powers, l’autore del molto premiato “Il sussurro del mondo” quando dice:
“Nella maggior parte di noi c’è ancora un po’ di animismo o panteismo, un tipo di credo che proviene dalla nostra infanzia personale e dalla giovinezza della civiltà umana. Tutti noi soffriamo di quello che gli psicologi chiamano “solitudine della specie umana”, l’ansia che deriva dal pensare che siamo qui da soli”.
E’ vero, come è vero e sacrosanto che rivolgiamo le nostre attenzioni a tutto ciò che non degnavamo forse di uno sguardo, per amarlo e preservarlo. Ma come si fa a ritrovare quello spirito di comunità che a quanto pare è innato negli alberi e che un tempo era innato anche negli umani?
Ieri ho azzardato una breve riflessione su Facebook su quanto sia importante, il giorno dopo una manifestazione come #50000sudari che, nel suo piccolo e nella sua apparente ininfluenza, ha unito centinaia di persone in tutta Italia, in comuni, piazze, ospedali, biblioteche, ma anche dai singoli balconi dove erano esposti i lenzuoli per Gaza. Sempre ieri, hanno fatto sentire la loro voce contro il massacro di Gaza giornalisti e persone dello spettacolo. E questo, credo, è un bene. Ma ogni volta che un comune sentire si estende e diventa, appunto, popolare, chi meritoriamente aveva iniziato nel silenzio e nell’emarginazione quella battaglia, non sempre gioisce: ed è umano, intendiamoci, ed è importante parlarne, capire che le iniziative mutano nel momento in cui si allargano e non è importante a quel punto capire chi ha iniziato e come, ma dove si andrà a parare.
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Sono stata, negli anni, compagna di strada di due cani, un pesce rosso, un criceto, due pogone, che negli ultimi undici mesi sono andate nel paradiso di draghi (che include anche quelli piccoletti) e, attualmente, di due gatti. Ho conversato…