L’intervista a Pietro Ichino su Repubblica:
«Le intese per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori – sostiene Pietro Ichino, senatore del Pd e giuslavorista – non contrastano con alcuna norma di legge, né tanto meno con la Costituzione. Derogano – spiega – , per alcuni aspetti molto marginali, rispetto al contratto collettivo nazionale; questo sì»
Ma il contratto nazionale non è fatto, appunto, per garantire ai lavoratori dei diritti?
«È fatto per delineare un assetto-standard dei rapporti di lavoro di un settore. Ma una coalizione sindacale sorretta dalla maggioranza dei lavoratori di un´azienda deve poter contrattare anche assetti diversi, se ritiene che, nella situazione data questo sia vantaggioso».
Rischiare di essere licenziati per aver scioperato contro l´accordo non limita l´esercizio di un diritto?
«In tutti i Paesi dell´occidente industrializzato, tranne la sola Francia, la clausola di tregua sindacale vincola tutti i lavoratori cui il contratto collettivo si applica. D´altra parte, un sindacato che non possa spendere la moneta della tregua al tavolo delle trattative ha ben poco da offrire alla controparte».
Ma in Italia fino a oggi la clausola di tregua ha vincolato solo il sindacato che la stipula e non i singoli lavoratori.
«Sì, ma questo non è stabilito da alcuna legge: è solo un vecchio orientamento dottrinale non più sostenuto dalla maggior parte dei giuslavoristi italiani: il modello della conflittualità permanente ha fatto il suo tempo».
Cofferati sostiene che il Pd non può stare con Marchionne. Lei con chi sta: con la Fiom o con Marchionne?
«Non si tratta di “stare con Marchionne” o “con la Fiom”, ma di chiedersi: in questo nostro Paese drammaticamente chiuso agli investimenti stranieri, vogliamo cacciare anche Marchionne? E poi, accogliere la sua richiesta di allineare il nostro sistema delle relazioni industriali allo standard internazionale può lanciare un messaggio di apertura anche ad altre grandi multinazionali».
I due accordi separati sono una sconfitta anche per la sinistra?
«No. Ma guardi che anche chi a sinistra li rifiuta non lo fa per il loro contenuto attuale, lo fa per la paura del “piano inclinato”: “si sa dove si incomincia, ma non dove si va a finire”. Chi la pensa così non si rende conto che quello del “piano inclinato” è l´argomento principale a sostegno di tutti i peggiori conservatorismi».
Nelle newco della Fiat non ci saranno più delegati della Fiom perché non ha firmato gli accordi. È una soluzione democratica?
«È quanto prevede oggi l´articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. Con altri 54 senatori del Pd ho presentato già nel 2009 un disegno di legge per riformare questa materia, garantendo il diritto alla rappresentanza in azienda, ma senza poteri di veto, anche al sindacato minoritario che non firma».
In un contesto come l´attuale di divisioni sindacali è realistico immaginare che la soluzione arrivi attraverso un accordo tra le parti sociali?
«Mi sembra molto difficile, perché c´è un dissenso profondo tra le confederazioni maggiori sulla questione cruciale: il potere della coalizione sindacale maggioritaria di negoziare anche in deroga rispetto al contratto nazionale».
L’appello pro Fiom: qui.
L’intervento di Mario Tronti sul Manifesto del 25 giugno 2010, a proposito di Pomigliano, da rileggere.
Lo slogan «da Pomigliano non si tocca a Pomigliano non si piega» è emerso dall’interno di una conricerca che un gruppo di giovani ricercatori del Crs sta conducendo da tempo in quella fabbrica insieme agli operai. Descrive l’arco di sviluppo della vicenda, fino all’esito a sorpresa del referendum: dalla difesa del posto di lavoro alla rivendicazione della dignità e della libertà del lavoratore. La posta in gioco infatti si è alzata. E chi l’ha alzata imprudentemente è stato l’intelligentissimo ed efficientissimo management Fiat, con una ben orchestrata manovra politica su una delicata situazione economica. Hanno commesso un errore. E una volta tanto hanno perso.
Non era solo Marchionne. E non ha perso solo lui. Mi sono chiesto: perché la questione Pomigliano è salita al centro dell’attenzione politica, primi titoli sui giornali, prima notizia nelle tv? Era forse morto per incidente sul lavoro un grappolo di operai, unico motivo di visibilità per queste sottopersone? No, semplicemente si tentava un colpo in fabbrica, in un pezzo di paese, per dire a tutti che cominciava una nuova età di rapporto tra impresa e lavoro – l’ormai famoso e incredibilmente supponente dopo Cristo – e che esemplificava brutalmente ed empiricamente l’intento più generale di rovesciare il dettato costituzionale del vetusto, avanti Cristo, art. I, Repubblica democratica fondata sul lavoro. Nell’impresa comando io, se volete lavorare queste sono le condizioni, non trattabili, dovete solo dire si o no, l’unico sindacato ammissibile è il sindacato di collaborazione, niente più, mai più, sindacato di conflitto. Il direttore del Sole24ore diceva: lì si gioca una partita del campionato del mondo nella globalizzazione, il fondatore di Repubblica sentenziava, come fa ormai profeticamente: non è un ricatto, è la pura realtà, e così via.
In verità il modello non era nuovo, celebrava un trentennale, anno 1980, sempre Fiat, stessi moduli, perfino la marcetta dei disponibili, e questa volta dei ricattati. Sotto il pullover sono rispuntati Valletta e Romiti, dei bei tempi Cinquanta e Ottanta. Qualcuno sa che a Nola c’è un reparto confino, dove vengono spediti gli insubordinati di Pomigliano? La Fabbrica che si intitola a Gianbattista Vico ripropone corsi e ricorsi.
La notizia qual è. E’ che questa volta gli è andata male. E gli è andata male per il solo merito di quel 40% di operai che hanno detto: non ci stiamo. E per il solo altro merito di quella Fiom, che si voleva sconfiggere una volta per tutte, ultimo residuo di una conflittualità operaia, estrema espressione fuori tempo di quella novecentesca – e oggi dire novecentesca è come dire medioevale – lotta di classe.
Insomma, l’hanno voluta mettere sul piano simbolico e sul piano simbolico hanno rimediato una sconfitta. Guardate come arretrano i grandi organi di opinione: ma forse c’è ancora un problema lavoro, ma dunque c’è lavoro materiale e non solo immateriale, ci sono tute blu e non solo camici bianchi, c’è il salario e non solo partite Iva.
Eppure il punto da mettere in evidenza non è questo. Chi se ne importa di quello che dicono. Il fatto da cui bisognerebbe ripartire è questo nuovo livello di conflitto emerso nella vicenda, che loro hanno evocato e che quegli eroici «no» hanno rovesciato: da un lato ricchezza e potere dall’altro dignità e libertà. Da un lato l’arroganza di chi credeva di avere tutto nelle proprie mani, dall’altro chi ha rivendicato l’indisponibilità di alcune cose precise. Voi mettete 700 milioni e io vi dico che non mi vendo per questo, non metto a vostra disposizione la mia persona, rischio il lavoro ma tengo la testa alta e la schiena dritta. Una lezione. Non morale, ma politica. Viene da quel mondo. E apre una nuova frontiera a una sinistra moderna.
Non direi tanto lavoro e diritti. Direi di più lavoro e persona. Quel referendum in quel modo, sotto quelle condizioni, come ricatto sulla vita, sull’esistenza delle persone, non andava accettato. Era dovere di tutta la Cgil, era dovere di tutto il partito democratico, mettersi di traverso. Mi interessano qui meno gli sbreghi alla legalità, che pure c’erano, erano gravi e vanno ancora denunciati. Quel referendum era politicamente illegittimo. Era finalizzato a mettere gli operai contro la loro organizzazione e a mettere gli operai contro altri operai. Esito questo ancora presente, se dovessero emergere reali pericoli per l’occupazione. Adesso bisogna ricostruire una unità di lotta e costringere il padrone a trattare. La Fiat oggi è più debole e meno lucida, come si è visto dalle prime reazioni. E il governo non ha proprio niente da dire. Bisogna non aspettare, passare all’attacco, come sindacato generale e come partiti politici, proporre soluzioni e far cadere la discriminante anti-Fiom. E’ il programma minimo.
Ma c’è un compito di più lungo periodo. La lezione va appresa. Il Pd ha preso sabato scorso una lodevole iniziativa: un’assemblea popolare contro la manovra governativa. Mi dicono sia riuscita molto bene, soprattutto nel discorso appassionato del segretario. Si poteva fare di più e meglio. In quella settimana, con rapida decisione, ad esempio, spostare il raduno dal Palalottomatica a Pomigliano. Senza tante parole, con un solo gesto, si sarebbe fatto capire che cos’è, e che cosa dovrebbe essere, un partito che si colloca in quello spazio fisico del Parlamento e del Paese. Non si trattava nemmeno di prendere posizione sul come votare, ma solo di stare lì, con gli operai del si e del no, a giocare la partita e non a vederla in tv. I giornali-guida del centro-sinistra li avrebbero colti in fallo al richiamo della foresta. I nativi sarebbero rimasti sconcertati, perché, immagino, la parola operai è come la parola compagni, qualcosa che non appartiene alla «loro» tradizione. Ma un popolo avrebbe respirato. E certo, non il popolo viola, che cercasi invano nei dintorni del problema Pomigliano. C’è da arrabbiarsi di fronte a certe mancate occasioni. E badate che questa rabbia cresce, è più diffusa di quanto si pensi. La sento arrivare su di me da varie parti. E solo per questo la esprimo. E non è un’istanza distruttiva, è un’energia positiva, nascosta nel fondo del paese, che bisogna far emergere, e farla parlare e parlare ad essa con le parole della politica, sottraendole le parole dell’antipolitica, con cui troppo spesso è costretta ad esprimersi. Occorre tornare a dirigere, a orientare, a indirizzare, per grandi segnali, in luoghi giusti e negli spazi che contano e che fanno veramente la differenza.
Il problema non è il Cavaliere, il problema è il Cavallo, e cioè questo modo d’essere che occupa le nostre vite e che osa sempre di più per avere un comando assoluto, modo d’essere di privilegi intoccabili, di poteri arroganti, di ingiustizie palesi, di sistema di leggi eterne, oggettive, dicono, nei cui confronti non c’è niente da fare se non piegarsi e obbedire. Ascoltateli questi «no» di Pomigliano: segnano il «che fare» per un’operazione forte di un grande partito a vocazione alternativa.
Segnalo questo articolo che mi sembra eloquente per quel che concerne il concetto di equità.
Cremaschi contro i compensi dei manager Fiat: “Ci rimettono solo i lavoratori”
http://www.blitzquotidiano.it/economia/cremaschi-contro-i-compensi-dei-manager-fiat-ci-rimettono-solo-i-lavoratori-253375/
Qui al Lido di Venezia non abiamo la Fiat, ma la Est Capital:
http://lucioangelini.splinder.com/post/23836072/comunicato-del-coordinamento-associazioni-ambientaliste-del-lido-di-venezia
aBBiamo
Anche questo merita…
La beffa delle tasse: Marchionne paga la metà dell’operaio
http://www.unita.it/economia/la-beffa-delle-tasse-marchionne-br-paga-la-meta-dell-operaio-1.264286
Diciamola tutta, sulla prospettiva “prudentemente” avanzata da Ichino. Il quadro normativo che propone, anche attraverso i disegni di legge sulla “flexicurity” e i manifesti di cui si fa promotore, prevedono la modifica degli artt. 39 e 41 della Costituzione.
Così, tanto per completezza.
E’ fantastica la nonchalance con cui il prof. Ichino liquida l’istituto dello sciopero come diritto soggettivo definendolo “solo un vecchio orientamento dottrinale”. In realtà si tratta di un principio costantemente riaffermato negli ultimi quarant’anni dalla stragrande maggioranza degli studiosi, nonché dai più alti gradi della giurisdizione (Cassazione e Corte Costituzionale). Ma già, Marchionne ha detto che si tratta di un principio superato. E se lo dice lui…
la cifra di questa tragedia sta nella risposta data in una trasmissione da una lavoratrice in mobilità alla domanda su cosa consistesse la riqualificazione per il ricollocamento sul mercato:”ci hanno insegnato a compilare il curriculum”(“e noi dovremmo essere ironici in queste condizioni?”.Nemmeno sul vernacoliere,sul male o nelle striscie di nilus si sarebbero spinti a tanto.Roba da chiodi..)).Grazie lo stesso
http://morelafollettehighschool.com/musicfiles/barbara-ann-1966.wma
È altresì fantastico il fatto che Ichino si faccia vanto di avere, con l’azione legale promossa in sede europea dal suo studio legale, “determinato la fine del monopolio statale dei servizi di collocamento”: cioè di avere aperto la strada alle agenzie di lavoro interinale. Anche senza tirare in ballo il suo vissuto professionale (nel quale si adopera per la difesa delle aziende contro i lavoratori), ce n’è abbastanza per chiedersi cosa ci fa nella direzione del piddì. O forse no, non c’è nulla da chiedersi: però, ricordarselo quando ci verranno a dirci che questi sono l’unica alternativa al berlusconismo, questo sì.
ma come abbiamo fatto caparbiamente a ridurci così? Cosa guardavamo, laluna le stelle il mare le nuvole?
O meglio, chi ha fatto spuntare come un fiore velenoso questo tombolotto canadese, mettendolo a capo della fiat, cosa credeva di fare? E chi c’è dietro?
E a me vengono mille e una domanda: fila tutto liscio oppure c’è qualche misterioso legame con il cosiddetto ‘suicidio’ di Edoardo Agnelli, liquidato da tutti troppo frettolosamente? E la conseguente morte dell’Avvocato; e la conseguente morte di Umberto? E la nomina di un ragazzino a capo della fiat? e le richieste reiterate di Margherita? e ….. e…… e……
Come si è arrivati a questo risultato di un a.d. fiat che impone un duro lavoro ottocentesco con metodi che neanche il capostipite degli Agnelli ai suoi tempi imponeva.
@Rosemarie E come siamo arrivati a 65mila euro a puntata per (co-)condurre Zelig, 1,8 milioni di euro all’anno per condurre “La prova del cuoco”, un milione di euro a stagione ai meno pagati del Milan, 10mila euro a sera come minimo a tronisti e grandifratelli vari per una serata in discoteca?
Io davvero non riesco a capire come certi personaggi parlino senza provare orrore per quello che dicono, forse non si ascoltano più, non si capiscono, boh.
Eppure parlano col tono e l’atteggiamento di chi sta dimostrando un teorema di geometria.
Sul Sole24ore si elegge Marchionne uomo dell’anno (mi era sfuggita una enne), nella pagina successiva si legge che la ricchezza in Italia è concentrata nelle mani del 10% delle famiglie, e lo stesso quotidiano non fa mistero anzi si vanta che l’unico settore dove il consumo non conosce crisi è quello del lusso. L’aumento dell’inflazione che decurta gli stipendi è l’ultima scoperta di questi giorni. Aumentano persino cipolle e patate – giuro che l’ho letto – con malcelato orgoglio dei produttori.
In questo quadro, da alcune voci del Pd si “chiede al lavoratore uno sforzo in cambio di occupazione e investimenti”.
L’unica cosa che non si capisce è perché le piazze non siano piene tutti i giorni.
“produttori=coltivatori” 🙂
le piazze non sono piene tutti i giorni, come si domanda laura a., perché la “teoria marchionne” avallata anche dagli ‘illuminati’ del PD (vedi Veltroni che credo non abbia fatto un giorno di lavoro in tutta la sua vita) sta diventando pane quotidiano di ogni realtà lavorativa.
E’ l’unica possibilità… O si fa così, o si perde il treno… Non ci sono alternative… Non possiamo prevedere come si muoverà il mercato…
Potrei continuare a lungo: non sono brandelli di un’intervista a Marchionne, ma quanto sento dire dai ‘dirigenti’ del posto dove lavoro e che in questi mesi stanno prendendo decisioni agghiaccianti sulla pelle dei lavoratori, non troppo lontane da quanto deciso per la Fiat.
Ci stanno convincendo che “non si può far altro che così” (riguardo i contratti di lavoro, l’università, i beni culturali…). In poche parole, ci stanno togliendo la capacità di immaginare un’altro futuro, un’altro modo di organizzare i rapporti di lavoro, le relazioni sociali, la nostra vita, il nostro modo di vivere (stavo per scrivere “spendere”…) il tempo.
Per questo la lotta della FIOM ci riguarda tutti, e non per una pelosa solidarietà di facciata. La lotta della FIOM è la lotta di tutti noi. La lotta degli studenti è la lotta di tutti noi. Questo dobbiamo comprendere e far comprendere.