USARE ALAN MOORE COME ANTIDOTO, O ALMENO PROVARCI

Leggo le dichiarazioni del ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, che parla di Gaza come di una “miniera d’oro immobiliare” che si “ripaga da sola. Abbiamo pagato un sacco di soldi per questa guerra. Dobbiamo capire come dividere il terreno in percentuale”. E aggiunge: “La prima fase del rinnovamento della città, la demolizione, l’abbiamo già fatta. Ora dobbiamo costruire”.
Leggo, ascolto, l’atroce frase “Definisca bambino” del presidente della Federazione Amici di Israele, Eyal Mizrahi (a un comico televisivo, Enzo Iacchetti, che qualunque cosa si pensi di lui ha avuto il coraggio di tenergli testa).
Leggo le dichiarazioni della presidente del Consiglio sulla sinistra che odia, e non solo le sue, ma delle destre del mondo che fanno quello che hanno sempre fatto, avvolgere come una spira di fumo velenoso la solitudine, la povertà, lo sconcerto delle persone.
Naturalmente non ho antidoti, come chiunque di noi, e a ogni modo non nell’immediato, perché il lavoro sarà lungo e faticoso (ma ci sarà).
Però ho un riferimento, una lettura, poca cosa, si dirà. Per quel che vale sono i racconti di Alan Moore raccolti in Illuminations, li ha pubblicati qualche tempo fa Fanucci nella traduzione di Tessa Bernardi.
Me ne vengono in mente un paio. In uno, Posizione, posizione, posizione, c’è un dio che si fa mostrare una casa dall’ultima donna sulla terra, e parla con lei di serie televisive (Il racconto dell’ancella) e di Brexit (“nella mia esperienza, se chiedi a una manica di populisti di esprimere una preferenza, nove volte su dieci voteranno per Ba­rabba. O per il vitello d’oro”) e trasforma come si conviene l’acqua in ottimo vino prima di fare dell’altrettanto ottimo sesso, mentre nel cielo si scontrano gli angeli e piovono come neve piume carbonizzate. Che ci dice parecchio sulla distanza fra chi è in una posizione di potere assoluto (sulla terra, nel nostro caso) e chi viene sacrificato a quel potere.
Poi, il lungo racconto Cosa ci è dato sapere su Thunderman dove l’antica decostruzione dei supereroi perpetrata da Moore trova il suo bersaglio negli uomini che li hanno immaginati e realizzati. Quattro scrittori al ristorante: ex nerd, avidi lettori di fumetti che sono divenuti autori potentissimi in quello stesso mondo su cui sognavano, e naturalmente il riferimento a Marvel e DC Comics è appena velato, e anche Thunderman è ovviamente Superman. Ma non ci sono solo pettegolezzi e accuse e chiacchiere, ma una critica profonda al business dei fumetti. Specie quando uno dei personaggi, Worsley, divenuto redattore capo dopo la morte del suo predecessore durante l’incontro al ristorante, si trova a dover fronteggiare gli anni di Trump e del Covid e di un mondo sempre più superficiale, preda di fascismi e populismi. Quale responsabilità hanno i fumetti in tutto questo? Guardando le immagini dell’assalto a Capitol Hill, Worsley riflette: “Nel 2016, tutto era stato per­meato da una specie di atmosfera fumettistica, non da ultimo Donald Trump, o semplicemente Il Donald, come lo chiamavano ancora i suoi sostenitori, un po’ come Thunderman e Re Fuco. Quell’anno, sei tra i dieci film più amati dal pubblico erano stati sui supereroi, e forse la gente voleva un mondo più semplice, più com­prensibile. Volevano grandi nemici e drammatici colpi di scena, a prescindere dal fatto che la loro verosimiglianza fosse forzata, e vo­levano un personaggio tanto improbabile quanto memorabile che offrisse loro soluzioni facili e al limite del credibile, proprio come le minacce immaginarie che dovevano arginare”.
Certo, sono racconti, sono finzioni, si dissolvono nel vento. Però ci invitano a capire cosa abbiamo fatto, tutte e tutti noi, negli anni che credevamo leggeri. Perché ragionare sugli errori fatti, anche in buona fede, può almeno tratteggiare un inizio di strada. Perché, ripeto, quella strada ci sarà, prima o poi.

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