Leggo le dichiarazioni del ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, che parla di Gaza come di una “miniera d’oro immobiliare” che si “ripaga da sola. Abbiamo pagato un sacco di soldi per questa guerra. Dobbiamo capire come dividere il terreno in percentuale”. E aggiunge: “La prima fase del rinnovamento della città, la demolizione, l’abbiamo già fatta. Ora dobbiamo costruire”.
Leggo, ascolto, l’atroce frase “Definisca bambino” del presidente della Federazione Amici di Israele, Eyal Mizrahi (a un comico televisivo, Enzo Iacchetti, che qualunque cosa si pensi di lui ha avuto il coraggio di tenergli testa).
Leggo le dichiarazioni della presidente del Consiglio sulla sinistra che odia, e non solo le sue, ma delle destre del mondo che fanno quello che hanno sempre fatto, avvolgere come una spira di fumo velenoso la solitudine, la povertà, lo sconcerto delle persone.
Naturalmente non ho antidoti, come chiunque di noi, e a ogni modo non nell’immediato, perché il lavoro sarà lungo e faticoso (ma ci sarà).
Però ho un riferimento, una lettura, poca cosa, si dirà. Per quel che vale sono i racconti di Alan Moore raccolti in Illuminations.
Uno, in particolare, “Cosa ci è dato sapere su Thunderman”, dove uno dei personaggi, Worsley, guarda le immagini dell’assalto a Capitol Hill, e riflette: “Nel 2016, tutto era stato permeato da una specie di atmosfera fumettistica, non da ultimo Donald Trump, o semplicemente Il Donald, come lo chiamavano ancora i suoi sostenitori, un po’ come Thunderman e Re Fuco. Quell’anno, sei tra i dieci film più amati dal pubblico erano stati sui supereroi, e forse la gente voleva un mondo più semplice, più comprensibile. Volevano grandi nemici e drammatici colpi di scena, a prescindere dal fatto che la loro verosimiglianza fosse forzata, e volevano un personaggio tanto improbabile quanto memorabile che offrisse loro soluzioni facili e al limite del credibile, proprio come le minacce immaginarie che dovevano arginare”.