5. STORIE DAI BORGHI: I SIBILLINI DI FRANCESCA

Sono a Perugia e qui non sembra esserci stata traccia alcuna del terremoto. Eppure c’è stato, nelle città e nei paesi vicini, questo te lo sussurrano, perché è come se non dovesse venir nominato. Nominare, raccontare, già. Questo è il racconto di Francesca, e arriva dritto al cuore.
Visso, Castelsantangelo sul Nera, Gualdo, Castelluccio, Forca Canapine, e poi Arquata del Tronto, Accumoli, Amatrice, il lago di Campotosto: questi luoghi e le sue genti non lo sanno, ma mi hanno salvato la vita. Li attraversai nel 2004 in un lentissimo viaggio da sola da Lucca, dove abito, verso Otranto, un anno esatto dopo il suicidio di mio figlio, giovane e talentuoso pittore che, il 12 settembre del 2003, a 26 anni, si tolse la vita gettandosi dalle mura del castello di quella bellissima città pugliese.
Li raccontai, e poi anche altri, più giù, in “Viaggio in requiem”, un diario che trovai la forza di far pubblicare solo sei anni dopo, nel 2010 da Jaca Book. Per diversi motivi, ma questo è un altro discorso.
“26 agosto. Ciao Guido, in piedi ti scrivo queste righe. Sto studiando un percorso che mi porti verso Otranto…Voglio fare una discesa lenta, in quota, passando dai Monti Sibillini, dal Gran Sasso e dalla Maiella, così comincerò, lì in alto, ad esserti più vicina e poi è un percorso che ti sarebbe piaciuto”…
Guido, mio figlio, amava le montagne, …”mamma, senti, c’è odore di neve, a volte lo diceva già a ottobre“.
“2 settembre…Adesso sono sui Monti Sibillini, a 1400 metri, in un piccolo albergo sotto il Monte Bove. Un cartello diceva “specialità agnello alle quattro erbe” e già me lo gustavo, ma mi hanno detto che ci sono orecchiette alla ricotta e pesce fritto. Va bene lo stesso, non sono qui per questo. Ho camminato una mezz’ora, poco perché era già abbastanza tardi, ma mi ero data una meta: uscire dal bosco e vedere i monti..”. Ed eccoli, i monti “placidi da far diventare buddhisti, dirupati da accogliere tutti i suicidi del mondo…. Nella discesa ho sentito un’aria leggera che mi spingeva scherzosa. Non c’era vento. Eri tu vero?….Fa fresco quassù. Sono seduta fuori, verso il tramonto. Quattro signori dal piacevole accento marchigiano, seduti a un tavolo vicino, mi alleviano con i loro discorsi su come fare i peperoni sott’olio con il tonno”.
Ricordo ancora perfettamente, a distanza di tanti anni, lo stupore, la meraviglia, la dolcezza anche che mi presero quando, scendendo da un passo di cui non ricordo il nome, mi ritrovai sopra Castelluccio. Quei monti, quei prati, mi fecero pensare di essere in Tibet, non so perché, non ci sono mai stata, ma neanche per un secondo pensai che dei monaci mi avessero accolto tra le loro braccia e consolata. Ero certa invece che a farlo fossero la Sibilla e le sue fate. Ricordo anche che scrutai a lungo i monti, per scovarne qualcuna. “L’anno del pensiero magico”, come scrive Joan Didion, esiste davvero. L’anno in cui i segni, le visioni, riducono un po’ l’abisso, ti fanno sentire ancora vicina, presente, la persona amata che non c’è più. Lì, tra quei monti e quei prati, e anche in altri lungo la mia discesa verso sud, li ho avuti. “…Eri lì con me, in silenzio tutti e due, vicini, in qualche modo felici”.
“3 settembre, ore 10. Ma dove andiamo noi? Dove corriamo impazziti, sempre più veloci, sempre più connessi? Dove?
Quando basterebbe un sguardo qui, dove sono, in questo immenso Piano Grande dei Monti Sibillini, per essere in pace per tutta la vita.
Chissà se anche tu sei passato da qui, nel tuo viaggio verso la Puglia l’anno scorso, ed esattamente qui hai sentito più vicina la pace che andavi cercando.
Niente musica ora in macchina tenermi compagnia. Ci sei tu con me. E poi tutta questa bellezza non lo permette.”
Viaggiavo seguendo le indicazioni stradali abbastanza a caso. “3 settembre, sera. Scendendo dai Monti Sibillini verso sud mi sono un po’ spersa…Viaggiando così, su strade più che secondarie, sperdersi è facile e bello.” Ricordo che a Forca Canapine mi infilai in una strada che scendeva quasi a picco, stretta e piena di buche dove “non ho incontrato neanche una macchina, solo tre cavalli e un puledro” che mi obbligarono a fermarmi. Ci chiacchierai un po’, finché si tolsero lentamente dal mezzo della via guardandomi negli occhi. “Verso le undici e mezza sono passata da Amatrice e, quando ho visto un cartello che diceva da, non mi ricordo chi, i più buoni spaghetti all’amatriciana, mi sono fermata ma, data l’ora, ho dovuto ripartire a bocca vuota. Peccato, mi sarebbe piaciuto provare i più buoni spaghetti all’amatriciana nel loro luogo d’origine”.
Poi il viaggio continua, in altri luoghi, che anch’essi, cinque anni dopo, sarebbero stati devastati da un terremoto. “L’Aquila è bella e finalmente ho mangiato l’agnello”. E altri ancora, tutti lungo strade deserte, percorsi casuali e sconosciuti, fino al rientro in autostrada per un ritorno a casa più veloce. “16 settembre…Mi sembrava di essere entrata in un altro mondo, come se ci fossero due Italie, una dove tutto va ancora adagio, dove incontri una macchina ogni tanto, un paese ogni tanto, aquile e zampognari, dove riesci a pensare. Un’altra dove tutto è caotico, ammassato, macchine su macchine, case su case, persone su persone e dove il pensiero non ha spazio e tempo per formarsi. Inutile che ti dica quale mi piace di più”.
Luoghi che non sanno ma che riuscirono trasformare il mio cuore “ridotto da un anno alla dimensione di una nocciola” in “uno scrigno pieno di gemme preziose”. Per questo voglio ringraziarli e omaggiarli e stringermi a loro, alle donne e agli uomini, ai vecchi e ai bambini, ai monti e agli alberi, alle case e alle chiese, ai fiori e alle pietre, e lo voglio fare anche usando le parole di Lidia Campagnano, un’amica che scrisse del mio diario, con “…un così forte e semplice amore per questo nostro pesante paese, per questo paesaggio che “appartiene” … a tutti e tutte noi che lo percorriamo e lo guardiamo. Non la Patria, concetto irrecuperabile per la mia generazione, ma un continuum familiare di cose, persone, tracce di persone passate da riconoscere e reinterpretare perennemente, o da ereditare creativamente”.
Francesca Caminoli

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