COME FRECCE VIVE: IL POSSESSO DEI FIGLI E, DI NUOVO, L’EDUCAZIONE SESSUO-AFFETTIVA

E’ molto interessante leggere i commenti sui social, soprattutto su X, quando provo a parlare di educazione sessuo-affettiva. Bannando gli insultatori o i Bot evidenti, e lasciando perdere gli autori di elzeviri su cui si tace per gentilezza, emerge sostanzialmente una questione: non ci toccate i bambini nostri.
Ovvero (copio e incollo):

“Educazione sessuo affettiva. Complicano le parole, e creano nuovi accostamenti, per disorientare e indottrinare. Orwell aveva visto giusto. La pensi diversamente ed esprimi il tuo pensiero? Fanno le vittime e piangono come se gli avessi tolto un diritto fondamentale”. (FabioVi)

“La storia vecchia è allucinante è come viene fatta l’educazione sessuologa-affettiva nelle scuole”. (Tarcisio Riva)

“Per fortuna il mondo è un po’ più variegato. Non esistono solo drag queen, TikTok e siti porno. C’è anche del buono fuori dalla tua bolla”. (Umberto Raineri)

“Mio figlio non è “i nostri ragazzi”, ma è mio figlio, un individuo. A scuola ci si limiti ad istruirlo. L’educazione collettiva impartita dallo Stato si lasci pure ai regimi dittatoriali”. (Andu)

Eccetera.
Mi fa abbastanza impressione ripetere da anni la stessa cosa, che poi è una semplice domanda: chi si oppone a quella che viene chiamata ideologia in nome della libertà di educazione è consapevole che l’educazione, per quanto riguarda genere e appartenenza e al di fuori della scuola, non è affatto libera? Che esistono stereotipi che si abbattono su bambine e bambini già dalla nascita? E ancora: perché identificano l’educazione sessuo-affettiva con le drag queen o l’imposizione di una sessualità fluida? Da dove traggono queste convinzioni? Hanno almeno idea di come sono fatti questi corsi?
Nulla. Impugnano come una sciabola la  posizione espressa il 10 gennaio 2011 da Papa Benedetto XVI: “non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”.
La retta ragione dovrebbe dirci che parlando ai bambini di reciproco rispetto e di educazione affettiva le cose vanno meglio. E dovrebbe dirci anche che questo non è un problema secondario. E dovrebbe dirci infine che non ha affatto senso piangere l’ennesima donna uccisa dall’ex compagno se non si fa qualcosa prima che quelle donne e quegli uomini crescano.
Ma le priorità, ci vien detto, sono altre, come sempre. E in questi tempi oscuri tocca anche andarci pianino con le proteste, ché si passa, se va bene, per radical chic amanti degli unicorni (almeno leggessero Audre Lorde sui medesimi, ma pazienza) e, se va male, per collusi con le forze del caos e con il terrorismo islamico (sic).
Perché l’attività capillare di boicottaggio (mail e lettere degli avvocati agli insegnanti, convocazione di assemblee da parte di alcuni parroci che avvertono che a scuola c’è “l’ora di masturbazione”, e via così) avviene sotterraneamente. Ogni tanto una notizia filtra, ma si passa ad altro.
Diversi anni fa, Riccardo Iacona dedicò una puntata di Presa diretta alla questione. Cercatela in rete e andate a ripescarvi un’affermazione fatta in Germania, dove l’educazione sessuale si insegna anche nelle scuole cattoliche. E’ esemplare: “prima i diritti della persona, poi quelli del credente”. Così come è esemplare, nel senso opposto, quella del padre italiano che nega ogni ruolo educativo alla scuola, ribadendo “mio figlio è mio”.
Oh, quante volte l’ho scritto, così tante che quasi mi vergogno a ripeterlo. Ricordi. La notissima poesia di Kahil Gilbran appesa in sala parto (ospedale cattolico, care e cari, ma quanto erano avanti rispetto ai fondamentalisti e ai miliziani). Quella parte che dice:

I vostri figli non sono figli vostri
sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perchè la loro anima abita la casa dell’avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perchè la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l’arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.

Sembra facile, no? I figli appartengono alla vita stessa e alla comunità di cittadini in cui sono chiamati a muoversi. Se le vostre idee verranno accolte dai vostri figli, bene.  Potete discuterne insieme, ma non lasciarli nell’ignoranza. Potete dire la vostra, ma non pretendere che la pensino come voi. La famiglia collabora con la scuola, non può sovrapporsi alla scuola stessa o  contrastarla: altrimenti, care e cari, teneteli a casa (homeschooling, esiste) o scegliete la scuola (privata) che corrisponde al vostro credo, e guardate che non sarete affatto garantiti sul risultato, perché io sono andata a scuola dalle suore ed eccomi qua, novella  satanassa.
Quel che avviene, ed è persino banale scriverlo, è che in uno dei pochissimi paesi europei dove non è prevista l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole (con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti) una spaventosa campagna di disinformazione e terrorismo psicologico (sui dirigenti scolastici, sugli insegnanti, sugli stessi genitori che fanno capannello davanti alle scuole chiedendosi “è vero che vogliono fare il gay pride in classe?”) ci ha già rigettato in un passato oscuro, oltre che oscurantista.
O, per usare le parole pronunciate in quella trasmissione da Michela Murgia (trascrizione libera):
“C’è tanta ignoranza, è attraverso le narrazioni che si costruiscono i pregiudizi. Io mi domando: a chi fa paura che si possa dire in una scuola a una bambina che può essere quello che vuole?”.
O, ancora, quelle di Walter Siti nel recentissimo La fuga immobile, dove ribadisce più e più volte che il problema non è la Generazione Z o Alfa o scegliete voi la lettera: sono i loro genitori, sono gli adulti, quelli che continuano, almeno, a immaginare il figlio o la figlia come qualcosa da costruire e modellare a propria immagine, spesso caricandoli di aspettative e competitività. E facendogli molto più male di un’ora di educazione sessuo-affettiva a scuola.

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