Tag: Educazione sessuo-affettiva

E’ molto interessante leggere i commenti sui social, soprattutto su X, quando provo a parlare di educazione sessuo-affettiva. Bannando gli insultatori o i Bot evidenti, e lasciando perdere gli autori di elzeviri su cui si tace per gentilezza, emerge sostanzialmente una questione: non ci toccate i bambini nostri.
Mi fa abbastanza impressione ripetere da anni la stessa cosa, che poi è una semplice domanda: chi si oppone a quella che viene chiamata ideologia in nome della libertà di educazione è consapevole che l’educazione, per quanto riguarda genere e appartenenza e al di fuori della scuola, non è affatto libera? Che esistono stereotipi che si abbattono su bambine e bambini già dalla nascita? E ancora: perché identificano l’educazione sessuo-affettiva con le drag queen o l’imposizione di una sessualità fluida? Da dove traggono queste convinzioni? Hanno almeno idea di come sono fatti questi corsi? 
I figli appartengono alla vita stessa e alla comunità di cittadini in cui sono chiamati a muoversi. Se le vostre idee verranno accolte dai vostri figli, bene.  Potete discuterne insieme, ma non lasciarli nell’ignoranza. Potete dire la vostra, ma non pretendere che la pensino come voi. La famiglia collabora con la scuola, non può sovrapporsi alla scuola stessa o  contrastarla: altrimenti, care e cari, teneteli a casa (homeschooling, esiste) o scegliete la scuola (privata) che corrisponde al vostro credo, e guardate che non sarete affatto garantiti sul risultato, perché io sono andata a scuola dalle suore ed eccomi qua, novella  satanassa.
Quel che avviene, ed è persino banale scriverlo, è che in uno dei pochissimi paesi europei dove non è prevista l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole (con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti) una spaventosa campagna di disinformazione e terrorismo psicologico (sui dirigenti scolastici, sugli insegnanti, sugli stessi genitori che fanno capannello davanti alle scuole chiedendosi “è vero che vogliono fare il gay pride in classe?”) ci ha già rigettato in un passato oscuro, oltre che oscurantista.

Sette anni fa, in una delle ricorrenti aggressioni contro la possibilità di introdurre l’educazione sessuo-affettiva a scuola, si discusse e si discusse. Certo, le destre e il ministro hanno oggi buon gioco a dire che non proibiscono nulla, che vogliono solo il consenso informato e il blocco delle associazioni ideologiche (ahah: e quali sono? chi sono quelle non ideologiche? non è dato sapere). Si discusse e si discusse e poco accadde, perché ci ritroviamo sempre qui, con un gruppo di deputati e movimenti in parte animati dal sacro fuoco del “difendiamo la patria e la cultura”, come mi ha urlato una tizia su X. In parte con un altro sacro fuoco nelle vene, quello della visibilità da ottenere a tutti i costi, perché, ahinoi, certa politica insegue più quella che quello che un tempo si chiamava bene comune. 
Sette anni fa, dunque, intervenne Girolamo De Michele nella discussione medesima. Ed è bene riportare qui parte del suo intervento.
“Se è consentito parafrasare un grande poeta (che è stato anche uno straordinario insegnante), Claudio Lolli: certo che il mantello di don Milani «è sempre in prima fila lì sull’attaccapanni» della sala insegnanti, e il suo fucile «è lì nascosto in quel libro di racconti: però che non diventino ricordi o fantasie, che non sia caricato solamente a sogni». Che lo si armi con una didattica che si rivolge non a singoli individui, ma al comune che apprende (e, why not, contesta e confligge), all’interno di uno stile di vita che al grigiore impiegatizio, alla frustrazione e alla sottomissione, sostituisca la cooperazione sociale: una scuola militante”.

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