I libri degli altri: oggi si va un po’ di fretta, dunque posto qui la recensione a Il miracolo di Lorenza Sabatino, uscita su Linus nello scorso agosto. Ci si ritrova lunedì.
Arriviamoci per gradi, al libro di questo mese, che è Il miracolo di Lorenza Sabatino, uscito per Guanda.
Come molte e molti, sono incuriosita dai reel che appaiono su Facebook e Instagram senza alcun motivo: in genere salto a piè pari quelli che riguardano parrucchieri che ti trasformano in modella, personal trainer che ti fanno passare da 100 chili a 53, famiglie intere che improvvisano sketch comici e le vicende lacrimevole di gatti umanizzati che litigano, si picchiano, muoiono lasciando gattini orfani. Ma sono incuriosita dall’inflazione di video su Gesù creati dall’intelligenza artificiale. Questo Gesù, che somiglia vagamente al cantante dei Bardomagno, non fa altro che fare miracoli: resuscita bambini e adulti e ragazzini e persino mucche e cani, anche se ridotti a scheletro, gioca con gli infanti e sorride un sacco. Sono talmente perseguitata dai video che mi sono chiesta a chi si dovesse la pagina originale: un gruppo di fedeli esperti in AI? Un singolo devoto? Per farla corta, sono andata sulla pagina e ho cliccato sul link che porta al sito.
Sorpresa: gli ideatori dei video, che si autodefiniscono “un team di persone giovani, appassionate e visionarie”, vendono magliette. Certo, magliette con la scritta che Gesù ama tutti, a 18 dollari e cinquanta, e cappellini con la stessa scritta a 27. Nessun riferimento religioso, nel sito, ma solo l’assicurazione della loro fedeltà ai clienti, alla loro soddisfazione e al duro lavoro che svolgono.
Insomma, una forma più sofisticata di clickbait.
In questo caso, i miracoli servono a una cosa, nella complicata palude dei social: a vendere. E reel e video e apparente intrattenimento ci invadono senza che noi opponiamo il nostro pensiero critico arrivando a un punto tale che non riusciamo a sottrarci. Tutto è uguale a tutto, l’invito al voto o a leggere un libro come i cappellini di Gesù, tutto scorre e non sappiamo più distinguere una cosa dall’altra. Tanto, ci diciamo, non cambia nulla.
Invece sì.
Scusate se evoco Mark Fisher, e in particolare l’incipit di Realismo capitalista:
“È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. In una delle scene chiave de I figli degli uomini, il film di Alfonso Cuarón del 2006, il protagonista Theo (interpretato da Clive Owen) fa visita a un amico alla centrale elettrica di Battersea, ormai un incrocio tra un ufficio governativo e una collezione d’arte privata.
Tesori come il David di Michelangelo, Guernica di Picasso o il maiale gonfiabile dei Pink Floyd, sono conservati in un edificio che è a sua volta uno stabile storico ristrutturato. Sarà il nostro unico sguardo sulla vita delle élite, rintanate lì dentro per proteggersi dagli effetti di una catastrofe che ha provocato la sterilità di massa: da generazioni, non nascono figli. Theo domanda all’amico che senso ha mettersi a collezionare tante opere d’arte, visto che nessuno potrà più vederle: il pretesto non possono essere le nuove generazioni, per il semplice motivo che non ce ne saranno. La risposta è nichilista ed edonista assieme: «Molto semplice: non ci penso».”
Ora, credere al miracolo è esattamente il contrario: è sapere non solo che ci sono futuri possibili, ma che i futuri dopo l’evento straordinario possono essere velenosi, e cambiare e distruggere le vite, come avviene probabilmente al Lazzaro resuscitato e destinato a puzzare per il resto dei suoi giorni.
Coi miracoli, certo, si può giocare, letterariamente parlando, come fece Arthur Machen con gli Angeli di Mons, che secondo la leggenda da lui creata apparvero in cielo con grandi ali meccaniche e un lungo arco d’argento, facendo impazzire i cavalli e inginocchiare guerrieri. A permettere la ritirata dell’esercito britannico accorso al fianco di Belgio e Francia, il 23 agosto 1914, sarebbero infatti state le anime degli arcieri che ad Azincourt e Crécy, nel IX secolo, decretarono la vittoria dell’esercito di Re Alfred contro i Normanni, salvando l’Inghilterra. Machen, che era stato corrispondente di guerra, dopo poche settimane dall’episodio scrisse un racconto, The Bowmen (Gli Arcieri) su un quotidiano di Londra. Ebbe un grande seguito, al punto che molti soldati inglesi scrissero di aver davvero visto, fra le nubi, gli angeli giunti in loro soccorso, diafani e pallidi, e circondati da un alone luminoso, che fecero imbizzarrire i cavalli dei tedeschi.
Anche quando non sono truffe o beffe, i miracoli sono sempre complicati, come ben sapeva Niccolò Ammaniti quando scrisse la serie televisiva che parlava proprio di un miracolo classico, una statuetta della Madonna che piange sangue.
Il romanzo di Sabatino, invece, usa un miracolo per parlare sia di dinamiche familiari sia di come si percepisce il miracolato dopo il cambiamento: siamo negli anni Ottanta, a Napoli, in un albergo di Chiaia dove si festeggia un battesimo. Annibale è il proprietario, affiancato dalla moglie Eugenia: il figlio Gerardo desidera solo passeggiare per i boschi, la nuora Luisa è una grande lavoratrice, la quindicenne Mimì vorrebbe altro per sé, e infine c’è un bambino di sette anni, pestifero, di nome Tommaso. La serata è percorsa da segni infausti: un temporale imprevisto, una bottiglia che cade in terra e non si rompe causando il licenziamento della cameriera, e altre catastrofi che si scopriranno dopo, un vetro infranto e la macchina del vetraio che scivola all’indietro uccidendo Tommaso e distruggendone il volto. Eppure, quando Annibale porta disperato il corpo del bambino nella vicina chiesa, si assisterà all’impossibile: il bambino si alza, si sveglia, intatto, solo alquanto diverso da prima. La resurrezione di Tommaso esigerà però, poco dopo, una vita in cambio, e con orrore fisico molto simile, e il disfacimento della famiglia che procede di pari passo alla folla che si accalca intorno all’albergo lasciando fiori e disegni per il miracolato.
E’ molto interessante il parallelo che la stessa autrice, esordiente, ha fatto su Il Libraio con la morte di Pier Paolo Pasolini, anche lui investito da una macchina, anche lui coperto di sangue come Tommaso. Cita, Sabatino, una poesia di Pasolini del 1958, L’ex-vita:
In un debole lezzo di macello / vedo l’immagine del mio corpo: / seminudo, ignorato, quasi morto. / È così che mi volevo crocifisso, / con una vampa di tenero orrore, / da bambino, già automa del mio amore. / […] o Individuo, o Sosia, tu ti trovi / fatto di me, del mio calore, e ostile / di una morte anteriore al mio morire.
E si chiede: Come faceva a saperlo?. Vero, questo è un presagio e non un miracolo: ma ci ricorda il pericolo dei miracoli stessi, come fa il piccolo, insopportabile Tommaso del romanzo, e come il Lazzaro che Amélie Nothomb racconta in Sete, e che lamenta “come sia odioso vivere con quest’insopportabile puzza di cadavere che ti si incolla alla pelle”. O come Maria Angulema, protagonista di quell’altro strepitoso romanzo di esordio che fu Lourdes di Rosa Matteucci, che cercando riscatto in un viaggio verso il Santuario troverà il vero significato del miracolo stesso. E come Mimì, alla fine del romanzo e della lunga investigazione con cui ricostruisce quello che è avvenuto in quella notte di pioggia nell’albergo di Chiaia.
“le anime degli arcieri che ad Azincourt e Crécy, nel IX secolo, decretarono la vittoria dell’esercito di Re Alfred contro i Normanni, salvando l’Inghilterra”
Salve, non ho letto né il romanzo oggetto della recensione né il racconto di Machen, volevo solo precisare che le battaglie di Crécy e Azincourt si sono svolte durante la guerra dei Cent’anni (XIV secolo Crécy, XV Azincourt).
Secoli prima (effettivamente nel IX secolo) Alfredo il Grande si battè contro l’invasione dei Vichinghi. Successivamente, nell’XI secolo, l’Inghilterra verrà invasa dai Normanni di Guglielmo il Conquistatore.