E’ una bellissima primavera per le scrittrici: sono usciti o stanno uscendo romanzi attesi e belli. Ne prendo uno, intanto, Alma di Federica Manzon, che con la grazia cristallina che la contraddistingue esplora la grande questione dei ritorni, e dei confini, e dei Balcani, che pochi e poche, in Italia almeno, raccontano. Intanto leggetelo e amatelo come l’ho amato io.
Approfitto di Alma per tornare su una questione che mi sta a cuore non da oggi, e che è quella delle scrittrici. Che noia, diranno i soliti, ancora sulle quote rosa in letteratura. Affatto. Continuo a pensare che occorra parlare della scarsa “visibilità” delle scrittrici, nel senso di riconoscimento di autorevolezza, nel senso che lo stesso libro firmato da uno scrittore in molti casi susciterebbe un fiorir di elogi. Ma bisogna parlare anche del fenomeno contrario, secondo il quale molte lettrici sceglierebbero, dicon le tendenze, di leggere con maggior riluttanza il testo di uno scrittore di sesso maschile, specie se esordiente o quasi. Generalizzo, evidentemente, e altrettanto evidentemente esistono le eccezioni virtuose.
Approfitto di Alma per tornare su una questione che mi sta a cuore non da oggi, e che è quella delle scrittrici. Che noia, diranno i soliti, ancora sulle quote rosa in letteratura. Affatto. Continuo a pensare che occorra parlare della scarsa “visibilità” delle scrittrici, nel senso di riconoscimento di autorevolezza, nel senso che lo stesso libro firmato da uno scrittore in molti casi susciterebbe un fiorir di elogi. Ma bisogna parlare anche del fenomeno contrario, secondo il quale molte lettrici sceglierebbero, dicon le tendenze, di leggere con maggior riluttanza il testo di uno scrittore di sesso maschile, specie se esordiente o quasi. Generalizzo, evidentemente, e altrettanto evidentemente esistono le eccezioni virtuose.
Non sto parlando di letteratura, attenzione, bensì di mercato, ancora una volta. Ora, quando nel lontanissimo 2007, in Ancora dalla parte delle bambine, parlavo di re-genderizzazione nei giocattoli, negli spettacoli televisivi, nelle pubblicità (questo per maschi, questo per femmine), ho peccato di ottimismo nei confronti dei libri, che immaginavo meno contagiabili dalla faccenda. Invece, mi sembra che stia avvenendo qualcosa di molto simile: perché si tende sempre più spesso a parlare di comunità di lettrici come qualcosa di distinto dalla comunità dei lettori? Perché si pensa che le lettrici prediligano un certo tipo di romanzo dove, ancora una volta, rispecchiarsi? Perché ci si rivolge loro, come detto altre volte, con copertine da ragazze e con ragazze? Perché si pensa che i temi “femminili” vendano di più? Perché è un dato di fatto. Ma non sarà che quel dato di fatto stiamo contribuendo a crearlo?
Mi inquieta questa idea e secondo la quale la lettrice sarebbe meno propensa, che so, a leggere Aramburu o Sebald. Mi inquieta, ancora una volta, la negazione del fatto che ogni lettore, e lettrice, ne contenga molti, che a seconda del momento e dello stato d’animo scelgono David Foster Wallace o Elena Ferrante. Mi inquieta, infine, che quella che sembra una rivolta (e in origine lo era e lo è: noi scrittrici, noi lettrici, eccetera) rischi di diventare un boomerang, e una gabbia.
Nei fatti, poi, libri come quelli di Federica Manzon, o di Claudia Durastanti, o di Viola Di Grado, o di Carmen Pellegrino e, immagino, quello imminente di Helena Janeckzek (dico “immagino” perché non l’ho ancora letto, ma intuisco: ne riparleremo), non rientrano affatto nella categoria “da donna a donna”: parlano di donne, certo, ma soprattutto parlano del mondo. Eppure, continuo a non liberarmi dalla sensazione che ci troviamo un un bell’impiccio, ancora.