“Il fatto è che voi laureandi non avete ancora ben chiaro che cosa significhi realmente “giorno dopo giorno”. Ci sono interi aspetti della vita americana da adulti che vengono bellamente ignorati da chi tiene discorsi come questo. I genitori e le persone di una certa età qui presenti sanno benissimo a cosa mi riferisco. Mettiamo, per dire, che sia una normale giornata nella vostra vita da adulti: la mattina vi alzate, andate al vostro impegnativo lavoro impiegatizio da laureati, sgobbate per nove o dieci ore e alla fine della giornata siete stanchi, siete stressati e volete solo tornare a casa, fare una bella cenetta, magari rilassarvi un paio d’ore e poi andare a letto presto perchè il giorno dopo dovete alzarvi e ripartire daccapo. Ma a quel punto vi ricordate che a casa non c’è niente da mangiare – questa settimana il vostro lavoro impegnativo vi ha impedito di fare la spesa – e così dopo il lavoro vi tocca prendere la macchina e andare al supermercato. A quell’ora escono tutti dal lavoro, c’è un traffico mostruoso e il tragitto richiede molto più del necessario e, quando finalmente arrivate, scoprite che il supermercato è strapieno di gente perchè a quell’ora tutti gli altri che come voi lavorano cercano di ficcarsi nei negozi di alimentari, e il supermercato è orribile, illuminato al neon e pervaso da quelle musichette e canzoncine capaci solo di abbruttire e voi dareste qualsiasi cosa per non essere lì, ma non potete limitarvi a entrare e uscire; vi tocca girare tutti i reparti enormi, iperilluminati e caotici per trovare quello che vi serve, manovrare il carrello scassato in mezzo a tutte le altre persone stanche e trafelate col carrello, e ovviamente ci sono i vecchi di una lentezza glaciale, gli strafatti e i bambini iperattivi che bloccano la corsia e a voi tocca stringere i denti e sforzarvi di chiedere permesso in tono gentile ma poi, quando finalmente avete tutto l’occorrente per la cena, scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte anche se è l’ora di punta, e dovete fare una fila chilometrica, il che è assurdo e vi manda in bestia, ma non potete prendervela con la cassiera isterica, oberata com’è quotidianamente da un lavoro così noioso e insensato che tutti noi qui riuniti in questa prestigiosa università nemmeno ce lo immaginiamo…fatto sta che finalmente arriva il vostro turno alla cassa, pagate il vostro cibo, aspettate che una macchinetta autentichi il vostro assegno o la vostra carta di credito e vi sentite augurare “buona giornata” con una voce che è esattamente la voce della MORTE, dopodichè mettete quelle raccapriccianti buste di plastica sottilissima nell’esasperante carrello dalla ruota impazzita che tira a sinistra, attraversate tutto il parcheggio intasato, pieno di buche e di rifiuti, e cercate di caricare la spesa in macchina in modo che non esca dalle buste rotolando per tutto il bagagliaio lungo il tragitto, in mezzo al traffico lento, congestionato, strapieno di Suv dell’ora di punta, eccetera, eccetera. Ci siamo passati tutti, certo: ma non rientra ancora nella routine di voi laureati, giorno dopo settimana dopo mese dopo anno. Pero’ finirà col rientrarci, insieme a tante altre squallide, fastidiose routine apparentemente inutili…
Ma non è questo il punto. Il punto è che la scelta entra in gioco proprio nelle boiate frustranti e di poco conto come questa. Perchè il traffico congestionato, i reparti affollati e le lunghe file alla cassa mi danno il tempo per pensare, e se non decido consapevolmente come pensare e a cosa prestare attenzione, saro’ incazzato e giù di corda ogni volta che mi tocca fare la spesa, perchè la mia modalità predefinita naturale dà per scontato che situazioni come questa contemplino davvero esclusivamente ME. La mia fame, la mia stanchezza, il mio desiderio di tornare a casa, e avro’ la netta impressione che tutti gli altri MI INTRALCINO. E chi sono tutti questi che MI INTRALCIANO? Guardali là, fanno quasi tutti schifo mentre se ne stanno in fila alla cassa come tanti stupidi pecoroni con l’occhio smorto e niente di umano; e che odiosi poi quei cafoni che parlano al forte al cellulare in mezzo alla fila. Certo che è proprio un’ingiustizia: ho sgobbato tutto il santo giorno, muoio di fame, sono stanco e non posso nemmeno andare a casa a mangiare un boccone e a distendermi un po’ per colpa di tutte queste stupide, stramaledette PERSONE. Oppure, se gli studi umanistici fanno propendere la mia modalità predefinita verso una maggiore coscienza sociale, posso trascorrere il tempo imbottigliato nel traffico di fine giornata a inorridire per tutti gli enormi, stupidi Suv, Hummer e pickup con motore da 12 valvole che bloccano la corsia bruciando tutti e centottanta i litri di benzina che hanno in quei loro serbatoi spreconi e egoisti, posso riflettere sul fatto che gli adesivi patriottici o religiosi sembrano sempre appiccicati sui veicoli più grossi e schifosamente egoisti, guidati dagli autisti più osceni, spericolati e aggressivi, che di norma parlando al cellulare mentre ti tagliano la strada per guadagnare sei stupidi metri nel traffico congestionato, e posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sperperato tutto il carburante del futuro, mandando in malora il clima, e a quanto siamo viziati, stupidi, egoisti e ripugnanti, e a come fa tutto veramente SCHIFO e chi più ne ha più ne metta…
Guardate che se scegliete di pensarla così non c’è niente di male, lo facciamo in tanti, solo che pensarla così diventa talmente facile e automatico che non RICHIEDE una scelta. Pensarla così è la mia modalità predefinita naturale. E’ il mio modo automatico e inconsapevole di affrontare le parti noiose, frustranti e caotiche della mia vita da adulto quando agisco in base alla convinzione automatica e inconsapevole che sono io il centro del mondo, e che sono le mie sensazioni e i miei bisogni immediati a stabilire l’ordine di importanza delle cose. Il fatto è che in frangenti come questo si puo’ pensare in tanti modi diversi. Nel traffico, con tutti i veicoli che mi si piazzano davanti e mi intralciano, non è da escludere che a bordo dei Suv ci sia qualcuno che in passato ha avuto uno spaventoso incidente e ora ha un tale terrore di guidare che il suo analista gli ha ordinato di farsi un Suv mastodontico per sentirsi più sicuro alla guida; o che al volante dell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada ci sia un padre che cerca di portare di corsa in ospedale il figlioletto ferito o malato che gli siede accanto, e la sua fretta è maggiore e più legittima della mia: anzi, sono io a intralciarlo. Oppure posso scegliere di prendere mio malgrado in considerazione l’eventualità che tutti gli altri in fila alla cassa del supermercato siano annoiati e frustrati almeno quanto me, e che qualcuno magari abbia una vita nel complesso più difficile, tediosa e sofferta della mia. Vi prego ancora una volta di non pensare che voglia darvi dei consigli morali, o che vi stia dicendo che “dovreste” pensarla così, o che qualcuno si aspetta che lo facciate automaticamente, perchè è difficile, richiede forza di volontà e impegno mentale e, se siete come me, certi giorni non ci riuscirete proprio, o semplicemente non ne avrete nessuna voglia. Ma quasi tutti gli altri giorni, se siete abbastanza consapevoli da offrirvi una scelta, potrete scegliere di guardare in modo diverso quella signora grassa con l’occhio smorto e il trucco pesante in fila in cassa che ha appena sgridato il figlio: forse non è sempre così; forse è stata sveglia tre notti di seguito a stringere la mano al marito che sta morendo di cancro alle ossa. O forse è quella stessa impiegata assunta alla Motorizzazione col minimo salariale che soltanto ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un problema burocratico da incubo facendole una piccola gentilezza di ordine amministrativo. Non è molto verosimile, d’accordo, ma non è nemmeno da escludere: dipende solo da cosa volete prendere in considerazione.
Se siete automaticamente certi di sapere cosa sia la realtà e chi e che cosa siano davvero importanti – se volete operare in modalità predefinita – allora anche voi, come me, probabilmente trascurerete tutte le eventualità che non siano inutili o fastidiose. Ma se avrete davvero imparato a prestare attenzione, allora saprete che le alternative non mancano. Avrete davvero la facoltà di affrontare una situazione caotica, chiassosa, lenta, iperconsumistica, trovandola non solo significativa ma sacra, incendiata dalla stessa forza che ha acceso le stelle: compassione, amore, l’unità sottesa a tutte le cose. Misticherie non necessariamente vere. L’unica cosa Vera con la V maiuscola è che riuscirete a decidere come cercare di vederla. Questa, a mio avviso, è la libertà che viene dalla vera cultura, dall’aver imparato a non essere disadattati; riuscire a decidere consapevolmente che cosa importa e che cosa no. Riuscire a decidere che cosa venerare…
Ecco un’altra cosa vera. Nelle trincee quotidiane della vita da adulti l’ateismo non esiste. Non venerare è impossibile. Tutti venerano qualcosa. L’unica scelta che abbiamo è CHE COSA venerare. E un motivo importantissimo per scegliere di venerare un certo dio o una cosa di tipo spirituale – che sia Gesù Cristo o Allah, che sia YHWH o la dea madre della religione Wicca, le Quattro Nobili Verità o una serie di principi etici inviolabili – è che qualunque altra cosa veneriate vi mangerà vivi. Se venerate il denaro e le cose, se è a loro che attribuite il vero significato della vita, non vi basteranno mai. Non avrete mai la sensazione che vi bastino. E’ questa la verità. Venerate il vostro corpo, la vostra bellezza e la vostra carica erotica e vi sentirete sempre brutti, e quando compariranno i primi segni del tempo e dell’età, morirete un milione di volte prima che vi sotterrino in via definitiva. Sotto un certo aspetto lo sappiamo già tutti benissimo: è codificato nei miti, nei proverbi, nei cliché, nei luoghi comuni, negli epigrammi, nelle parabole; è la struttura portante di tutte le grandi storie. Il segreto consiste nel dare un ruolo di primo piano alla verità nella consapevolezza quotidiana. Venerate il potere e finirete col sentirvi deboli e spaventati, e vi servirà sempre più potere sugli altri per tenere a bada la paura. Venerate l’intelletto, spacciatevi per persone in gamba, e finirete col sentirvi stupidi, impostori, sempre sul punto di essere smascherati. E così via.
Guardate che l’aspetto insidioso di queste forme di venerazione non è che sono malvagie o peccaminose, è che sono INCONSAPEVOLI. Sono modalità predefinite. Sono il genere di venerazione in cui scivolate per gradi, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che vedete e sul metro che usate per giudicare senza rendervi nemmeno ben conto di farlo. E il cosiddetto “mondo reale” non vi dissuaderà dall’operare in modalità predefinita, perchè il cosiddetto “mondo reale” degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell’io. La cultura odierna ha imbrigliato queste forze in modi che hanno prodotto ricchezza, comodità, libertà personale a iosa. La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli regni formato cranio, soli al centro di tutto il creato. Una libertà non priva di aspetti positivi. Cio’ non toglie che esistano svariati generi di libertà, e il genere più prezioso è spesso taciuto nel grande mondo esterno fatto di vittorie, conquiste e ostentazione. Il genere di libertà davvero importante richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno e la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere col sesso, ogni santo giorno. Questa è la vera libertà. Questo è imparare a pensare. L’alternativa è l’inconsapevolezza, la modalità predefinita, la corsa sfrenata al successo: essere continuamente divorati dalla sensazione di aver avuto e perso qualcosa di infinito.
So che questa roba forse non vi sembrerà divertente, leggera o altamente ispirata come invece dovrebbe essere nella sostanza un discorso per il conferimento delle lauree. Per come la vedo io è la verità sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche. Ovvio che potete prenderla come vi pare. Ma vi pregherei di non liquidarlo come uno di quei sermoni che la dottoressa Laura impartisce agitando il dito. Qui la morale, la religione, il dogma o le grandi domande stravaganti sulla vita dopo la morte non c’entrano. La Verità con la V maiuscola riguarda la vita PRIMA della morte. Riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararsi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c’entrano, c’entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di cio’ che è così reale e essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: “Questa è l’acqua, questa è l’acqua; dietro questi eschimesi c’è molto più di quello che sembra”. Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile. E questo dimostra la verità di un altro cliché: la vostra cultura è realmente il lavoro di una vita, e comincia…adesso. Augurarvi buona fortuna sarebbe troppo poco”.
(David Foster Wallace, discorso ai laureandi del Kenyon College, 2005, in Questa è l’acqua)
Non so bene che c’è dietro a questo pezzo molto bello e molto condivisibile. Se una possibilità in cui siamo d’accordo, o la prova del contrario. E’ bello, non mi stupisce moltissimo – dev’essere che a me il supermercato piace da matti.
Il pensiero di Zaub è, preciso preciso, anche il mio.
Più sotto (nell’altro thread) dicevo che al punto in cui siamo la parola conversione è più appropriata della parola rivoluzione. E’ una parola equivoca, a qualcuno innesca brutti frame settari e fanatici. In realtà, come splendidamente in questo testo di DFW, si tratta sempre di conversione intellettuale e morale, innanzitutto, anche se poi movimenti politici e religiosi ne pervertono il significato facendone lo slogan per una qualche forma di appartenenza esclusiva.
In un’intervista raccolta in “Vent’anni al 2000” Italo Calvino consigliava, come mezzo per far rimanere la mente in attività, di far di conto a memoria e a memoria mandare poesie. Aggiungerei questo meraviglioso testo, nell’elenco delle parole da “tenere a mente”.
Nel giro di pochi giorni e’ la seconda volta che mi imbatto in qualcosa o qualcuno che mi invita a riconsiderare l’insofferenza che la convivenza sociale mi va ingenerando a velocita’ impressionante. La prima era un video, la seconda e’ questo splendido discorso. Io non credo che le cose accadano per caso e nel tentativo inesausto di sviluppare empatia per il prossimo, per quanto fastidioso e maleducato e prepotente sia, ringrazio Loredana per questo post.
Grandissimo Wallace. Grazie Loredana per averci ricordato la sua invidiabile lucidità.
Grazie Lippa per aver postato questo brano.
Mi han colpito 3 cose.
1. La voce della MORTE, ossia il “buona giornata” detto dalla cassiera del supermarket.
Stando però allo stesso ragionamento di Wallace, dovremmo sforzarci di trovare la voce della VITA;
2. La frequenza con cui ci sentiamo intralciati dalle altre persone;
3. E qui mi scuso per violare un tema così complesso in 3 righe, ma concordo con Wallace e penso che sì, la Verità riguarda anche il superare i 50 senza spararsi un colpo in testa. Ma allora. Perché lo hai fatto?
Ecco, questo testo mi ha toccato. Tempo fa scrissi un testo poetico che riguardava proprio questo tema. Dalla cassiera al bigliettaio, per me gli esseri umani sono tutti portatori di sguardi che racchiudono la mia stessa umanità e provo a non dimenticarmelo mai, anche quando il mio interlocutore ha lo sguardo celato.
Vorrei condividerlo con voi:
LO SGUARDO E’ PACE E SOFFERENZA
Lo sguardo è pace e sofferenza:
urtandoti, ti ferisce.
Ho visto occhi sepolti,
fissati per sempre in un’eternità apparente,
occhi privi di odore,
occhi che persero il senso della propria incombenza.
Ho visto occhi densi,
troppo fitti per rilasciare qualcosa,
troppo posati per essere distolti.
Ho visto occhi che ignoravano la propria saggezza
e ho visto occhi
che infransero la cecità di altri occhi.
Ho visto occhi con addosso ancora
la vastità della loro prima luce:
quando ti osservano,
non concedono il tempo di porti rimedio.
Gli occhi mi dicono
che ogni creatura è portatore di sguardi:
oceani di un’umanità che batte sulla coscienza.
La consapevolezza è ciò di cui una parte dell’umanità è latente; manca di comprensione, di vedersi rispecchiati, di riconoscersi negli altri e non di sfuggire di fronte ai lati meno piacevoli dell’esistenza, disprezzando gli altri perché non si può sapere per chi suona la campana: nessun uomo è un’isola, potendosi considerare indipendente dal resto dell’umanità.
” concordo con Wallace e penso che sì, la Verità riguarda anche il superare i 50 senza spararsi un colpo in testa. Ma allora. Perché lo hai fatto?”
Forse lo ha fatto perché si è accorto di avere detto una cosa non VERA.
Forse non spararsi o impiccarsi prima dei cinquanta ha più a che fare con la rassegnazione che con la verità.
Il testo in sé è molto intenso e condivisibile. Purtroppo induce ad una considerazione un poco triste se declinato alla situazione italiana. In pratica si tratta di un discorso per dei tizi che si stanno laureando e ai quali viene detto che si abitueranno al lavoro (e viene consigliato loro di non inacidirsi a causa di questo), si dà per scontato che questi ragazzi laureati andranno a lavorare. Da noi questo discorso sarebbe improponobile. Oggi in Italia ti laurei e sei punto e a capo.
Ci stavo giusto lavorando sopra!
Io lo leggo in classe, questo discorso. L’anno passato ci ho costruito su un percorso su cultura e alienazione.
Per chi legge più o meno bene l’inglese, qui c’è l’integrale in lingua:
http://www.guardian.co.uk/books/2008/sep/20/fiction
Bel testo, a mio parere declinabile tranquillamente anche in Italia: non è l’avere o meno un lavoro o una laurea a far sì che i nostri simili ci infastidiscano.
E’ che pur essendo governati dall’economia, pur essendo schiavi dell’economia, pur essendo figli dell’economia e pur essendo anche vittime dell’economia, veneriamo solo una cosa: noi stessi, più anche del denaro.
Hai dunque cambiato idea?
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2006/07/19/
Bohlen. Ho postato un intervento non mio, in quel post. Come spesso avviene, peraltro.
Oddio,
come mi sono riconosciuta nel personaggio descritto, che pensa di essere meglio degli altri …
e inconsapevolmente poi!
Queste sono verità che fanno male, gente: non le puoi leggere impunemente.
Forse spararsi un colpo in testa ha a che fare con la nevrosi e la resistenza emotiva di un individuo preso singolarmente, in realtà non possiamo credo giudicare o ridurre. Questo pezzo è la vera sensibilità che parla, non un sentire emotivo e chiassoso. Parla con il nostro linguaggio e osa affrontare la nostra vita, ora. Parla di un pensare e agire etico nel quotidiano e indica una strada precisa. Grazie per questo post, uno scritto così calibrato ed efficace, lungo abbastanza per colpire tutto e tutti.
Molto bello e intenso questo pezzo. Più che di “venerazione” direi più modestamente e forse anche più banalmente che ognuno deve avere dei principi, degli ideali e sforzarsi di rispettarli ispirando ad essi i propri comportamenti
@girolamo: anche io sono un’insegnante e appena ho letto questo discorso ho pensato “devo farlo leggere ai miei studenti”.
tu parli di un percorso sull’alienazione: mi piacerebbe avere qualche spunto in più su questi temi, se vuoi aiutarmi … credo che la collaborazione sia fondamentale, nutre le idee, e può essere un antidoto all’avvilimento in cui la società getta il nostro lavoro. grazie e grazie a Loredana Lipperini per aver fornito e fornire continuamente questi spazi di condivisione e di riflessione.
un saggio di critica sociologica,un’ottima lezione sulla complessità che farebbe il paio con ciò che Bobbio riteneva potesse essere la cultura.E niente piedistallo
http://www.armadylenforcers.pri.ee/music/Lily_Allen_-_2009_-_It_s_Not_Me__It_s_You/2009%20-%20It's%20Not%20Me,%20It's%20You/08.%20Lily%20Allen%20-%20Fuck%20You.mp3
Nessuno lo trova di una banalità sconcertante? Il succo di questo pensiero ha circa 4000 anni ed è stato detto molto meglio da tanti, tanti, tanti altri.
Giulia :-/
è una provocazione? Perchè?
Il mio nome è nessuno.
Molto lucidamente vero. E molto piu’ drammatico anche perche’ detto da uno che alla fine, pur avendo individuato cosi’ bene la via d’uscita, si e’ comunque ammazzato.
Una provocazione? Forse nel modo.
Nella sostanza mi sembra che il discorso di Wallace predichi, pur non volendo predicare, la compassione e il non attaccamento, non per gli altri ma per se stessi. Due concetti che eccheggiano nella cultura mondiale da diversi millenni e che forse a qualcuno sembrano nuovi in virtù dell’accostamento narrativo alla psicopatologia del quotidiano.
Per questo penso che sia stato forse un buon discorso ai laureandi, ma non un memorabile testo. E comunque non qualcosa di così eccezionale.
Senza provocazione mi chiedevo quindi se fossi l’unica a pensarla in questo modo.
Apotropaico si spera. O senile. Da vecchio, o peggio da persona di una qualunque età, anche giovane, ma che pensa da vecchio. Non ho nemmeno avuto la forza di leggerlo tutto, forse c’è un po’ più di speranza dopo tutto questo sproloquio. I giovani, in quanto tali, dovrebbero sperare e pensare ad una possibile mutazione del mondo. Se invece pensano il mondo come immobile e pesante, se pensano a campare, riflettono il pensiero di chi è venuto prima di loro e ha avuto buona cura di travasare la propria esperienza, la parte peggiore dell’esperienza a dire il vero direttamente in loro, senza considerare che così facendo li rendeva l’equivalente umano della pecora dolly, nata già colle rughe. Lasciamo che i giovani facciano i giovani.
Discorso per gli orfani di un esistenzialismo qui tradotto un po’ all’americana. Chiedetevi se quel pezzo così banalotto non l’avesse scritto Wallace, provate a immaginarlo al netto del suicidio dell’autore. Magari si potrebbe scoprire un filo che lega la baciapile Tamaro al predicatore maudit. Occorre che l’autore muoia perché il lettore si accorga della sua verità. Almeno qualcuno se n’è accorto.
Trovo che a mio parere Wallace abbia un importante effetto terapeutico come lasciapassare: permette in fondo di accettare dall’ateo lo stesso sermone che potrebbe fare un qualsiasi prete avveduto alla domenica mattina e che suonerebbe inaccettabile.
Potrebbe piacere a un Erri de Luca.
Per Giulia. Wallace non svela certo chissà quali misteriose verità, non mi sembra questo il punto. Il punto è che ci ricorda, con buona narrativa secondo me, due o tre concetti sul vero valore di cultura ed esperienza umana che troppo spesso nella vita di tutti i giorni ci sfuggono e sui quali invece occorrerebbe sostare qualche minuto a riflettere. Forse anche per giungere a conclusioni di quella “banalità sconcertante” prima richiamata, che però ti fanno vivere meglio a introiettarle per benino (pratica tutt’altro che scontata e banale, come dimostrano tante brutte storie e tristi finali di partita).
Non so quali siano le ragioni che hanno spinto la signora Lipperini a postare il discorso di Wallace; ciò conta poco, conta, però, che lo abbia postato, perché la prolusione è ricca di spunti da manducare e da far propri. Nucleo centrale è il concetto di pensiero a modalità predefinita, affezione a mio parere dell’essere umano, che miete, tra le vittime principali, anche i “dotti”. Di solito la cultura dovrebbe “servire” ad affrancarci dalla schiavitù di ciò che fa parte del nostro bagaglio culturale, degli “dei” di vario tipo cui abbiamo innalzato altari e che veneriamo con la passione di tutto il nostro essere.
Il discorso di Wallace costringe invece a fermarci, per ripartire, nelle nostre valutazioni sulla realtà che viviamo, proprio dalla libertà di scegliere come pensare, oltre il che cosa pensare.
Farò leggere il discorso ai miei studenti, penso si presti a possibili applicazioni…
Non so quali siano le ragioni che hanno spinto la signora Lipperini a postare il discorso di Wallace; ciò conta poco, conta, però, che lo abbia postato, perché la prolusione è ricca di spunti da manducare e da far propri. Nucleo centrale è il concetto di pensiero a modalità predefinita, affezione a mio parere dell’essere umano, che miete, tra le vittime principali, anche i “dotti”. Di solito la cultura dovrebbe “servire” ad affrancarci dalla schiavitù di ciò che fa parte del nostro bagaglio culturale, degli “dei” di vario tipo cui abbiamo innalzato altari e che veneriamo con la passione di tutto il nostro essere.
Il discorso di Wallace costringe invece a fermarci, per ripartire, nelle nostre valutazioni sulla realtà che viviamo, proprio dalla libertà di scegliere come pensare, oltre il che cosa pensare.
Farò leggere il discorso ai miei studenti, penso si presti a possibili applicazioni…
fosse banale, ne saremmo intrisi. e invece.
Solo una cosa, ma perchè in tutti gli originali che ho visto (ad esempio http://web.archive.org/web/20080213082423/http://www.marginalia.org/dfw_kenyon_commencement.html) nella parte finale in cui si dice “This is water, this is water” non si fa alcun riferimento agli eschimesi??
Quoto la semplicità dell’ultima replica di Giorgia Vezzoli… 🙂
E copierò Girolamo, usando il testo di Wallace in università. Coi laureandi, naturalmente.
Ciao a tutti!
@ Hommequirit
è impossibile immaginarsi quello che dici tu. Prova ad essere meno stronzo magari.
D’altra parte, sospetto che anche il video che passa da alcuni giorni su FB, di cui parla Laura Costantini nei primi commenti, non sarebbe stato così tanto condiviso se si fosse saputo che proviene da http://www.sermonspice.com/ un sito di video emozionali per chiese.
@Paperinoramane
Non è cinismo, è immunità. Vede, forse ha ragione lei, ma per quanto si dica di apprezzare la musica bella poche cose commuovono come le cattive canzoni, ci ricorda il noto smemorato.
@Giovanna Cosenza
È banale dire che una stella splende nel cielo. Non è banale spiegare bene come faccia.
Mah posso anche essere d’accordo con Giulia – ma insomma è un pezzo bello ben scritto perchè no. Mi sono chiesta perchè non mi apra queste voragini di profondità – e mi sono data una risposta di genere – non perchè biologicamente orientata ma perchè culturalmente orientata. Allo stato attuale del femminile, uno dei punti – pochi – di vantaggio è il non perdere mai di vista il concreto umano. Il quotidiano come prima fonte di senso. La meglio filosofia femmina degli ultimi anni, parte e torna sempre dal brulicare di un supermercato. (col che non voglio innescare discussioni che chi sa dove portano, specie dove non sto io – dico solo che spesso le donne (certo non sempre: qualcuna qui sopra si è anche identificata 🙂 ) quando si trovano a parlare di economia, di politica, di filosofia si ricordano sempre del loro supermercato e ben si accorgono della voce di morte della commessa. Figuramose dell’acqua.
E dunque c’è una comprensione diversificata di genere per DFW? Temo di non concordare, neanche un po’: ancora un passetto e torniamo alle gioie della marmellata?
@ Guglielmo, Giorgia, Giovanna,
Chiedo scusa, forse non ho capito bene la frase “fosse banale ne saremo intrisi. invece”, ma a me non sembra opportuno sostenere che il fatto che non tutti dimostrino amore per il prossimo implichi che il messaggio “love is the answer” non sia banale.
Il problema naturalmente è che fra il dire e il fare passa il mare, come ha tristemente dimostrato lo stesso Wallace.
Per quanto mi riguarda, credo che tra palestre dell’armonia, jingle natalizi, canzoni in stile Jovanotti, sette e libri di autoaiuto vari, credo che il succo del discorso di Wallace sia veicolato continuamente e in tanti modi. In questo senso lo trovo banale. E credo senz’altro che tutti l’abbiano sentito più di una volta nella vita, se non altro frequentando chiese o chiesaioli.
Non c’è nulla di male, per carità. Chiaramente la mia critica non è rivolta all’autore ma all’entusiasmo dei commentatori del post, che non condivido.
Per un attimo mi sono sentita cinica a pensarla così. Ora apprezzo il fatto che dopo il mio, siano seguiti altri commenti critici.
@ Giulia
«Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?”».
Scusa ma potresti dire qual è il succo del discorso di quello che hai letto?
@paperinoramone, mi dispiace ma non sono sicura di aver capito la tua critica.
Comunque il fatto che per qualcuno qualcosa di banale possa essere una novità mi sembra scontato, dato il ricambio generazionale. Se vogliamo parlare in termini quantitativi, tuttavia, il mio punto di vista mi pare proprio confermato. Credo che qualsiasi laureando nella sua vita abbia sentito un messaggio di John Lennon prima che di DFW.
Ma non voglio fraintenderti, forse ho capito male quello che vuoi dire.
Quanta acrimonia, Giulia. Perchè? Non puoi lasciare che le persone apprezzino un testo? Cos’è, voglia di essere fuori dal coro? Non ti piace, basta. Che bisogno c’è di insistere?
Non ho affatto detto che c’è una comprensione diversificata. Ho detto una cosa diversa cioè che c’è una possibile diversificata familiarità – perchè questo tipo di richiami, di presa di coscienza della scelta nella concretezza io li ho incontrati nella filosofia della differenza. Ho anche detto che la diversificata familiarità ha a che fare con la cultura e non con la biologia, e quindi con il fatto assodato che ci siamo ancora all’evo delle marmellate – se no del femminismo non avremmo bisogno.
Quindi se vuoi polemizzare Loredana non c’è problema: ma leggimi con attenzione, senza mettermi addosso cose che non scrivo e che sai bene che non penso.
Ah, le gioie della marmellata, ci siamo.
Le gioie della marmellata perla cara sono il nostro attuale contesto storico. Riguardano probabilmente meno me che te. Ma riguardano la produzione culturale di molte donne per altro parecchio interessanti del secolo scorso. Non ti interessano? legittimo – ma non trasformare anche tu quello che dico, per riflesso condizionato.
@ Giulia
La mia non è una critica, anzi penso che la tua definizione “banalità sconcertante” possa anche calzare, solo non per quello che suppongo tu pensi. Per questo ti chiedevo il tuo succo. Poi sopra ho letto meglio, quando parlavi di compassione e di attaccamento. Però visto che citi Lennon, di cui poco so e Love is the answer, è questo secondo te che dice DFW? La storiella che ho postato è l’intro del discorso, e racchiude in una banalità lo sconcerto. Se posso criticarti, naturalmente in maniera gentile, è quando dai per scontato che DFW voglia dire “questo” o “quest’altro”, come diceva Lennon o Jovanotti. Certo, tutti provano a fare discorsi sul “senso della vita”, però a me pare che se uno presta maggiore attenzione, e soprattutto pazienza, non sia la stessa cosa detta da una persona che si sta sforzando e che certo non ha l’aria di “chi la sa lunga” o che possiede la “Verità”. Il punto è che non c’è niente di profondo o nascosto, ce l’hai lì davanti agli occhi, ce l’hai intorno, però è importante che ce lo ricordiamo fra di noi.
Ecco, è la mia chiamata. Sono messa alla prova. Mi si permetta un brevissimo off topic (che però è un secondo possibile in topic).
Il commento di Sara C. mi infastidisce parecchio perché sottintende che ci sia aggressività da parte mia e/o secondi fini dettati da vanità o frustrazione. L’idea del dibattito non la sfiora. Il concetto di forum non la tange.
Secondo la teoria della compassione io però dovrei mettermi nei panni di Sara C. e pensare che le sia accaduto il peggio.
Immagino quindi che Sara C. in passato sia stata molto umiliata in un dibattito, che la cosa le abbia causato un trauma psicologico e ora non possa sopportare che persone a lei estranee si confrontino criticamente sulle rispettive opinioni.
Considero questa cosa, e penso di risponderle come vorrei rispondessero a me se fossi altrettanto distrutta: “Sara, scusa, non volevo offendere nessuno”.
Poi però mi chiedo, è giusto che Sara sia rassicurata su questo suo intervenire a sproposito? Ha senso assecondare questo trolleggiare?
Non sarà che io oggi, consolando lei, rafforzo un suo comportamento che magari domani la porterà a zittire, con la stessa sgarberia, una persona che timidamente scrive i suoi primi commenti su un blog? (magari traumatizzandola a sua volta?)
La faccenda mi pare più complicata di quanto sembra dal video emozionale, e anche dal testo di DFW.
Timidamente?
(non sembra molto traumatizzata, in effetti. Eppure non capisce)