CHE L'ANNO COMINCI

Sono ancora in montagna, e sono presente sul blog in modo discontinuo. Solo questa mattina ho letto la discussione che si è sviluppata sulla pubblicità di Yamamay,  spesso con toni e accuse inquietanti. In ordine sparso: sessuofobia, puritanesimo, complicità con la sinistra miope e bigotta, poco acume strategico. Manca solo che qualcuno scriva – come  da altre blogger è stato fatto – che queste battaglie sono rivendicate da donne vecchie e brutte, e siamo tornati alla più vieta coda degli anni Settanta, quella dove il femminismo aveva i baffi e si opponeva per invidia al corpo nudo di Cicciolina.
Molto bene.
L’anno inizia dunque con una presa d’atto: fino a tre anni fa la discussione sulla questione femminile era espulsa per presunta parità acquisita. Oggi lo è, probabilmente, per saturazione: in questo paese, temo, le rivendicazioni durano quanto un telefonino. Non più di un anno, e si passa ad altro.  Liberissimi di farlo, naturalmente, e liberi di insistere sul frame “Femminismo=sessuofobia” che è anche molto comodo e procura parecchi consensi a chi lo diffonde. Libera io di continuare ad occuparmi degli argomenti che ritengo importanti.
Ma voglio iniziare il 2011 con un’altra faccenda passata di moda, come si conviene. Perché credo che in questi mesi sarà opportuno occuparsene, e a lungo. Voglio iniziare il 2011 pubblicando qui un appello che è apparso su Il Manifesto del 29 dicembre. Un appello che condivido.
Buon anno a voi.

Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti

Abbiamo deciso di costituire un’associazione, «Lavoro e libertà», perché accomunati da una comune civile indignazione.

La prima ragione della nostra indignazione nasce dall’assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c’è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell’impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.

La seconda ragione della nostra indignazione, quindi, è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l’essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell’ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l’esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all’interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
L’idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l’attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l’egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.

Ci indigna infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
La precarizzazione, l’individualizzazione del rapporto di lavoro, l’aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell’ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto “collegato lavoro” approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l’affettività dei diritti stessi.

Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all’altezza della sfida?
Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell’agenda politica: nell’azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall’autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un’associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un’azione adeguata con l’intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno.

59 pensieri su “CHE L'ANNO COMINCI

  1. Ovviamente non si può non essere d’accordo con questo manifesto, però oltre che denunciare un certo modo di fare politica va evidenziata la mancanza di critica da parte di chi dovrebbe avere a caro certi temi. Alle scorse elezioni, quando la sinistra non è riuscita ad entrare in Parlamento si parlava dell’eventualità dell’esplosione di scontri sociali: la mancata rappresentanza politica di una parte della società porta necessariamente ad un innalzamento del livello di scontro. Il Parlamento servirebbe a rappresentare tutti: il nostro rappresenta solo una minima parte degli italiani.
    Buona vacanze a tutti.

  2. Mi dispiace che lei accosti le intelligenti e secondo me puntuali osservazioni di simone regazzoni e zauberei (e forse anche le mie anche se non ricordo di aver dato del bigotto a nessuno) ad accuse di invidia che in quella discussione nessuno le ha rivolto. Secondo me sono stati messi in luce dei rischi veri nella discussione sul corpo nello spazio pubblico. poi ognuno la pensi come vuole.
    L’appello sui diritti di lavoratori e lavoratrici è molto importante e lo condivido.

  3. Ridare centralità politica al lavoro, sarebbe anzi è sacrosanto.
    Ma è possibile farlo senza ridare centralità politica all’interesse nazionale?
    Visto che è in nome della libera circolazione di merci e soprattutto della redditività del capitale che si cancellano diritti storici con la minaccia della de-localizzazione, si può difendere quanto sopra senza intaccare il dogma globalista?
    Non abbiamo qui un’altro degli ossimori di una sinistra che diventa impotente a furia di auto-contraddirsi, visto che pretende di difendere i diritti storici acquisiti dai lavoratori senza rinunciare alla propria vocazione internazionalista (che però nel frattempo è divenuta la principale responsabile dell’affossamento dei medesimi)?

  4. @ v.b. in effetti si tratta di un paradosso, però una remota possibilità di coesistenza forse esiste: tutelare i diritti degli operai fiat affinché non si finisca in Polonia non significa rinunciare ad una vocazione internazionalista, significa programmare per il bene del paese e il lavoro è il primo bene di un paese. Compito della politica sarebbe attuare delle riforme che rendano vantaggioso per le aziende tenere il lavoro in Italia (non saremmo tacciati di nazionalismo!), ma questo vorrebbe dire andare tutte le mattine alla camera e al senato, sai che voglia che hanno! Questo tuttavia è un segmento del problema, non l’interezza, giacché del dramma della disoccupazione non se ne parla affatto. Quando ero piccolo, ’90 circa, ricordo che al tg sentivo sempre parlare di dramma della disoccupazione: dove è finito questo argomento, proprio ora che il problema pare aumentato? Misteri dell’informazione

  5. Purtroppo, alcuni di questi nomi non mi fanno ben sperare, ed è un eufemismo.
    Nerozzi che faceva i comizi insieme a Calearo e diceva: “Io, sindacalista, garantisco per lui!”
    Cofferati, mio ex-sindaco, lo ricordo solo come un incubo di inettitutine, mediocrità, boria, sgomberi, ordinanze contro i deboli e (cucù!) inasprimento dei rapporti sindacali.
    Bertinotti…
    “Bisogna puntare sui borghesi buoni. Marchionne mi piace. Non associa il benessere dell’azienda alla necessità di licenziamenti.”
    (Fausto Bertinotti, 2006)
    La memoria, la memoria…
    Di certa gente bisognerebbe sbarazzarsene, non riciclarla. Sono complici dello stesso sfascio che denunciano.

  6. Stesse, identiche perplessità di Wu Ming 1. Mi associo. Putroppo certe firme sono a disconferma, non a conferma del contenuto.

  7. Concordo con Wu Ming 1.
    Il problema piu’ grave in questo Paese, quello che ci fa continuare ad agonizzare in un berlusconismo alla frutta, ma sempre a galla, e tanto piu’ pericoloso quanto piu’ annaspa, e’ che chi dovrebbe opporsi non ha i titoli e la credibilita’ per farlo. Li ha persi per strada.
    Tutti, compresa la sinistra oggi extraparlamentare, quando hanno avuto la possibilita’ di fare le loro scelte, le hanno fatte. Sbagliate.
    Oggi, a stalla spalancata e buoi finiti in Cina, e’ un po’ dura recuperare.

  8. L’appello è giusto e mostra il quadro della situazione. Ma le parole non bastano e se ne sono spese tante senza fare nulla.
    Imprenditori, governo mirano solo al guadagno, a sfruttare, prendere senza dare, pretendendo che togliendo la gente sorrida e sia contenta. Vogliono far passare da eroi e creatori di benessere chi fa solo il suo interesse a discapito di altri. Questo è un tornare indietro, un tornare alla schiavitù.

  9. @ Wu Ming 1: stavo per scrivere le stesse cose, mi hai bruciato sul tempo.
    @ Valter Binaghi: veramente l’internazionalismo rappresentava l’idea di unire gli sfruttati di tutti il mondo affinché la guerra tra poveri non fosse praticabile impunemente dal grande capitale su scala globale. Perduta quell’idea, cioè la percezione di una globalità dello sfruttamento, è rimasta soltanto quella della globalizzazione dei profitti secondo le leggi di mercato. I diritti non possono essere “nazionali”. O sono di tutti o non sono diritti, ma privilegi.

  10. “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Dove, come, quando, quanto, a che titolo e che ne facciamo delle morti bianche, evidentemente è opinabile.
    Mi associo a chi sopra dicendo che è condivisibile il contenuto del manifesto (ma come abbiamo fatto a non pensarci prima), ma che forse potremmo/dovremmo interrogarci sul fatto che certe proposte vengano solo dai nomi che non fanno ben sperare (condivisa anche questa).
    Perché? Dove siamo noialtri? Chi ci si fila?

  11. Fabbrica Italia, produce schiavi. Analisi politica dell’accordo di Natale (PDF)
    http://bit.ly/gA64ej
    .
    @Mammamsterdam
    Preciso che la mia diffidenza riguarda alcune firme, non tutte quante. Tronti, Gallino, Rodotà, anche Rossanda, al di là di possibili critiche e specifiche divergenze, sono comunque persone serie e di spessore. In particolare Tronti e Gallino sono due intelligenze indispensabili per capire quel che sta succedendo.
    Quelli che citavo sopra, invece, sono tetri pagliacci.

  12. @ wuming1 e wuming4, su Cofferati e Bertinight come non essere d’accordo… ma in questa fase mi preoccupa di più la Camusso..
    Ben vengano appelli come questi.
    In un paese in cui la “sinistra” è rappresentata dal Pd e la stampa progressista da quel giornalaccio di Repubblica ci tocca difendere a denti stretti la Fiom e il manifesto..

  13. Siete fantastici. Nemmeno cinque interventi e vi siete già spaccati a causa di una frase del 2006 o pronunciata in un comizio. E da una frazione ne spunta un’altra, che a sua volta si divide e così via.
    Vi sbagliate se pensate che qualcuno riesca a fare una caricatura di queste pose. Chiunque ci provi, sarà fatalmente sorpreso di essersi dimenticato qualcosa da aggiungere.
    Quello che mi stupisce più di tutto è come cerchiate di creare una massa, un collettivo, un’aggregazione di persone, quando invece siete degli inguaribili individualisti.
    Chissà quante volte vi avranno portato ad esempio quella scena di “Brian di Nazareth” (http://www.youtube.com/watch?v=XhwmfGjuWys&feature=related) dove quelli del “fronte popolare di Giudea” prendono le distanze da quelli del “fronte popolare giudeo” sono grandi.
    I Monty Python sono grandi, ma voi lo siete molto di più

  14. Che noia continuare a giocare a scavalcarsi a sinistra con le parole, tipico degli intellettuali inutili e bighelloni, come se poi la realtà non venisse fuori da una serie di compromessi con le forze in campo. “Questo sì, questo no…” Per nostra fortuna gli smistatori di esseri umani non contano politicamente un cazzo.

  15. Wu Ming4
    “I diritti non possono essere “nazionali”. O sono di tutti o non sono diritti, ma privilegi.”
    Sbagliato, se l’unico ambito in cui il diritto è esigibile come tale resta quello nazionale. Su questo punto occorrerebbe fare lunga e ponderata riflessione. Non si può continuare a demandare un riscatto politico al globalismo dei diritti (che non esiste ancora e nemmeno s’intravede all’orizzonte) fintantochè l’unico globalismo che funziona (e di cui è indiscussa la legittimità) è quello dei capitali e delle merci.

  16. @ binaghi.., almeno formalmente l’Unione europea prevede carte dei diritti civili e sociali e meccanismi per la loro esigibilità.
    Prima di scegliere definitivamente la strada del protezionismo e della sovranità nazionale occorrerebbe condurre una battaglia politica e sindacale per un ‘Europa sociale diversa da qualla immaginata dalla Merkel e dalla Bce.
    Certo , in considerazione dello stato comatoso della sinistra europea sembra una battaglia persa in partenza.

  17. @ enfiteuta
    Tutti, in questo frangente, siamo con la FIOM e denunciamo gli accordi di Pomigliano e Mirafiori. Questa è la priorità e in questi giorni è stato affermato con forza. Per quel che si può, si veicola tutta l’informazione possibile e utile. Alle iniziative coi sindacalisti FIOM ci andiamo noi WM e non vediamo mai certa gente che in rete fa inutili predicozzi.
    Nei mesi scorsi, quando molti si lagnavano che non c’erano lotte solo perché non erano in grado di vederle, noi abbiamo continuato a dire che le lotte c’erano eccome e che si trattava di descriverle in una cornice che le accomunasse. E siamo tra i pochissimi ad aver dato risalto allo sciopero a oltranza degli operai Ducati Energia, a Bologna, risoltosi con una vittoria. Le lotte ci sono, e sono anche vincenti.
    Tutto questo si può dire e fare *anche senza auto-censurarsi* (come invece vorrebbe qualcuno) di fronte all’abitudine italiota di non assumersi mai le proprie responsabilità, di non trarre mai conseguenze dai propri errori, di ripresentarsi belli belli come se niente fosse, con la faccia di tolla, dopo aver fatto danni incalcolabili.
    Non si può ogni volta rimuovere, dimenticare, far finta di nulla. C’è gente che ieri diceva A e oggi dice B fingendo di avere sempre detto B. C’è gente che finché rimane in giro farà sempre gli stessi danni, ricorsivamente. Perché devo lasciare che certi devastatori si ricostruiscano chirurgicamente l’imene politico senza il minimo accenno di autocritica? Non ci rendiamo conto che mettendoci nelle stesse mani di prima verremmo *manipolati* come prima?
    Il settarismo si combatte *anche* combattendo la corsa all’ammucchiata acritica e immemore. Si combatte interrompendo la coazione a ripetere. Si combatte sfatando gli equivoci, non continuando a trascinarseli dietro. Il settarismo si combatte chiedendo a certa gente che da anni “fa da tappo” di mettersi finalmente da parte, scendere dalla cathedra, smetterla di fare prediche da quei pulpiti puzzolenti.
    In soldoni: il settarismo si combatte sbarazzandosi di chi, con la sua mera presenza, *allontana* e divide.
    Ad esempio, spiegatemi voi come si possano “unire le lotte” a Bologna mostrando la faccia di Cofferati, uno che ha passato quattro anni mettendo tutti contro tutti, arrivando allo scontro frontale con ogni categoria della vita cittadina, esasperando tutte le tensioni locali, senza eccezioni.

  18. Il discorso sulla saturazione è interessante.
    Riguarda, temo, ogni battaglia per i diritti. All’inizio ti contrastano. Poi ti dicono: “Ancora con questa storia?”. Intanto i diritti continuano a non esserci.
    Perciò… sì, ancora con questa storia.

  19. Tortorella l’ho ascoltato in un paio di occasioni e mi ha fatto un’ottima impressione: è ben visibile lo “sfondo” alle spalle.
    Anche di Rodotà, con molti distinguo, conservo una discreta opinione. Riguardo alla (tentata) polemica di enfiteuta suggerisco questo articolo, proprio di Rodotà:
    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/04/28/il-linguaggio-dei-vincitori.036il.html
    Resto perplesso nel veder abbinate persone verso le quali ho opinioni così diverse.
    @WM1 come sempre: ben detto!
    Fondamentale è limitare i danni peggiori ma non per finire a sostenere chi di danni ne ha fatti altri. Diversi, forse meno gravi, ma pur sempre danni.
    Molti di questi signori erano al governo quando si approvavano perle come il pacchetto Treu / legge 196 o la Turco-Napolitano. Su Cofferati a Bologna si è già detto.
    Purtroppo la coazione a ripetere sembra essere caratteristica irrinunciabile di una sinistra che vuol definirsi moderata, senza voler vedere che di fronte ai palesi disastri del capitalismo non ci può essere alcuna moderazione.

  20. @Saint Just
    Hai ragione, anche a me l’Europa sembra il contesto più attuale per l’affermazione e l’esigibilità dei diritti, visto che un abbozzo di governace esiste. Ma sempre di confini si tratta, visto che a quanto mi consta in Cina e simili di questi diritti non si parlerà per lungo tempo. Spostare in là i confini non risolve il carattere strutturale del problema, che consiste nell’accettazione indiscussa dell’orizzonte globale per quanto riguarda il mercato.

  21. C’è modo e modo di stare con FIOM, precari, lavoratori, studenti, ecc. Firmare appelli è uno dei meno convincenti: per alcuni dei firmatari è la logica conseguenza di un impegno quotidiano, per altri è l’unica cosa che saranno capaci di fare. Poi, certo, il metodo Verdiglione insegna che alcuni nomi servono a fare cassa di risonanza, e servono anche quelle: ma un po’ di puzza sotto il naso, almeno da parte di chi si sporca le mani ogni giorno, non guasta.

  22. …Mah, Girolamo la puzza sotto il naso , in questa fase, non c’è la possiamo proprio permettere In ogni caso , non solo Rodotà, ma anche Gallino e Tronti stanno sempre dalla stessa parte. Non è un caso che da qualche settimana, Gallino non scriva più su Repubblica, mentre tocca sorbirci gli editoriali filopadronali dell’ineffabile Scalfari.
    Detto questo ,a noi Cofferati prova inevitabili segni di disgusto.
    Per i miltanti della Cgil la faccenda è un pò diversa, infatti dalla Camusso fino all’ultimo burocrate sono tutti innervositi dal suo attivismo pro-Fiom.
    Per usare un linguaggio vetero, occorre individuare la contraddizione principale. Mi preoccupa molto l’isolamento della Fiom da parte della stampa “progressista”,del sindacato, edi quel vero mostro che è il Pd.
    Gli appelli, forse, non servono. Ma delle iniziative prima dello sciopero dei metalmeccanici del 28 Gennaio utili e sacrrebbero utili e sacrosante.

  23. Enfiteuta ha ficcato un dito tipo mano di Bud Spencer in una piaghetta infettata che ancora ci rifiutiamo tutti (spesso anche io) di vedere, e lo ha fatto con una grande citazione.
    La sua provocazione meriterebbe una considerazione maggiore rispetto a reazioni tipo “non sono io che sono razzista, sono loro che sono negri”.

  24. roberto mi hai tolto le parole di bocca!
    e a proposito di cofferati fate un salto a genova tanto per vedere la nuova e inutile colata di cemento nata per dare lavoro sì ma a se stesso e al marito della vincenzi….

  25. @ The Daxman,
    qui proprio si fa a gara a chi le spara più grosse in nome di un improvvisa voglia di “fronte popolare” modello “armiamoci e partite”. Tutta gente che, pardonnez moi, anche in rete non si era mai vista particolarmente attiva sul fronte dell’informazione sindacale…
    .
    Chi difende la FIOM tutti i giorni, chi sottoscrive per la FIOM, chi diffonde quotidianamente informazione contro le politiche padronali, chi da tempo si impegna come può per collegare le lotte e far capire che sono collegate, chi non ha mai detto (al contrario del primo firmatario in ordine alfabetico) “Marchionne mi piace”, chi crede che la smemoratezza faccia mooolto più male della schiettezza, bene, costui o costei – e non parlo di me, ma di gente che quelle politiche le ha subite – ha tutto il diritto di rilevare le ambiguità che inevitabilmente rimangono sul tavolo quando qualcuno non si assume le proprie responsabilità.
    .
    Ricordo anche che in questo paese gli appelli astratti alla “unità” sono spesso puramente strumentali, o comunque lasciano il tempo che trovano. Da molti anni a questa parte, per esempio, l’invocazione alla “unità sindacale” è pura “neo-lingua” che in italiano si traduce con “dobbiamo tenere divisi i lavoratori”.
    .
    Io ieri sera ho fatto una donazione alla FIOM e poi ho diffuso in rete il link per fare donazioni, perché credo che in questa fase un aiuto concreto, anche pecuniario, sia più importante di mille commenti che attaccano chi ricorda anziché chi dimentica troppo facilmente.
    E poi come WM, come sempre, siamo disponibili a qualunque iniziativa pubblica con i lavoratori. Ma con i lavoratori, non coi politicanti disgraziati e i cazzoni che si riciclano con eccessiva disinvoltura.

  26. @ diamonds,
    scusami, ma stavolta la tua è una battuta qualunquistica. Bisognerebbe esserci, alla catena di montaggio o all’altoforno o in mezzo ai miasmi della lavorazione petrolchimica, prima di dire quanti giorni di break sia lecito desiderare…

  27. Wu Ming 1, figurati, io so’ un poveraccio qualunque che non ha mezzi né finanziari né culturali per intraprendere in prima persona queste battaglie.
    Sono d’accordo che ricordarsi del passato altrui è importante, ma non è detto che ogni errore lo si debba considerare tout court in malafede.
    Bertinotti e Cofferati ne hanno commessi, sicuramente, ma continuano a essere figure che la voce in capitolo ce la possono ancora mettere, fosse solo perché hanno fatto parte di un sistema di potere (uno dei tanti, perché non c’è solo quello politico). Attraverso anche i loro canali, però, possono passare certi concetti, certe lotte, che probabilmente se fossero stato solo appannaggio di gruppuscoli di integerrimi ideologi extraparlamentari, avrebbero avuto ancora meno possibilità di essere considerati. Come dire, se a combattere contro il fascismo ci fosse stato solo il partito comunista, saremmo stati freschi. E fare in questi casi i judge & jury, spesso, mi puzza tanto di grillismo.
    *
    E poi, senti, io le critico le condizioni disumane imposte da Marchionne, ma quando mi trovo a dibattere con altre persone mi sento dire “sì, ma tu che soluzione alternativa proporresti?”. Io rispondo con i soliti discorsi sul fatto che è tutto il sistema iperliberista a essere sbagliato, che con la Crisi economica ed ecologica siamo di fronte a un bivio, ecc.
    Ma in realtà so che serve altro, una soluzione concreta per il “qui” e “ora”.
    Giro a te la domanda: tu che faresti? Che alternative concrete proponi? Sia su FIOM e Marchionne che su chi far entrare nel club esclusivo della Collettività.

  28. @ The Daxman,
    per capirci meglio: se in questo paese c’è (ancora) libertà di parola, non c’è solo per Cofferati ma anche per chi si ostina a ricordare le schifezze che ha fatto. Perché, lo ripeto, se ci riaffidiamo agli stessi di ieri, andiamo a fondo come ieri. Riaffidarsi equivale a riaffondarsi. La mia critica, l’ho detto, non riguarda l’appello, ma la faccia di tolla di alcuni che lo promuovono. Io quelli che devono per forza cadere in piedi non li sopporto. A volte fa bene dare una culata per terra, non c’è niente di male.
    Inoltre: qui non stiamo parlando di “gruppuscoli di integerrimi ideologi”, stiamo parlando della FIOM, uno dei più grandi sindacati di metallurgici d’Europa.
    *
    Sull’altra questione: la domanda “tu che faresti?” non solo investe me o te di un ruolo che non ci compete e che sarebbe usurpato, in quanto in fabbrica non ci stiamo noi e quindi non si scherza con il culo degli altri, ma ignora anche che nel corso degli anni la FIOM di controproposte ne ha fatte un bel po’.
    In ogni caso, il “tu che faresti?” è sempre truffaldino, presuppone l’accettazione dell’aut aut, del frame ricattatorio. Se ti dicono: “O accetti di lavorare da schiavo o muori di fame”, tu non puoi ragionare a partire dall’accettazione dell’ultimatum, devi usare tutte le risorse possibili per *piegare la volontà* della controparte e costringerlo a rinunciare all’ultimatum.
    Io posso dire che investire in ricerca per riconvertire la produzione in senso più ecosostenibile sarebbe un buon passo da compiere, anziché puntare a far acquistare mezzo miliardo di auto a mezzo miliardo di cinesi, accelerando la distruzione del pianeta, o far produrre a Mirafiori devastanti SUV per americani d’élite non toccati dalla crisi. Stiamo parlando di un business che sta andando avanti *alla cieca*, ignorando tutto ciò che non fa comodo sul breve periodo, e così corre verso il precipizio.
    Impedire a Fiat di delocalizzare a meno che non restituisca ai contribuenti i soldi pubblici con cui si è tenuta in piedi in tutti questi anni sarebbe un’altra buona cosa, ma per quello latita la politica. Lo Stato è in mano a chi sappiamo.
    Ad ogni modo, ripeto, gli operai e quelli che li sostengono non sono tenuti a “immaginarsi manager” e a togliere le castagne dal fuoco a John Elkann. Gli operai lottano per non essere spremuti come limoni e privati di ogni dignità, per giunta in condizioni di pericolo e usura.

  29. @ wu ming1:
    “Ma con i lavoratori, non coi politicanti disgraziati e i cazzoni che si riciclano con eccessiva disinvoltura”.
    Questa semplificazione non è da te, va bene tutto ma non utilizziamo argomentazioni semplicistiche , il termine politicanti è pericoloso in un paese, come il nostro, così esposto al qualunquismo.
    Abbiamo bisogno di politica, certo di buona politica e non di quella che la sinistra ha messo in campo disgraziatamente negli ultimi anni.

  30. @ saint-just
    stiamo però attenti anche alle contro-semplificazioni, per cui i politicanti non esisterebbero. Esistono eccome, ne abbiamo l’evidenza sotto gli occhi e dirlo non è banale “antipolitica”. Al fare di tutte le erbe un fascio non si risponde facendone un altro fascio, ma discernendo, cioè mantenendo la distinzione tra il politico e il “politicato”, tra la politica e il “politicismo”. Se smettiamo di discernere, siamo fritti.

  31. Scusami, Wu Ming 1, ma la tua argomentazione mi sembra un tentativo di nascondersi dietro a un dito. Se si decide di combattere per qualcosa o contro qualcuno, lo si deve fare con in mente un’alternativa. Con questo non voglio accusare gli operai o la FIOM, anzi. Semmai accuso proprio gli integerrimi ideologi, che, purtroppo, finiscono sempre per deludere le aspettative. O forse siamo noi che scambiamo i loro slogan per concetti ponderati, ma che slogan rimangono (“Riaffidarsi equivale a riaffondarsi”). Perché non si può dire “questo non va bene” e poi dire “ah no, la soluzione devono trovarla loro, perché questi non sono cazzi miei”.
    Mi dispiace, per l’ennesima volta non mi hai convinto. Ammesso che a te possa interessare qualcosa.

  32. @ The Daxman,
    pazienza, me ne farò una ragione. Ma anche leggere selettivamente e/o fingere di non capire quello che ti viene detto (cioè che la FIOM le controproposte le ha fatte, lo spiega anche Landini nel video che linkavo insieme ai dati per la sottoscrizione) non è una bella cosa.
    .
    In ogni caso, ribadisco che non si può chiedere allo sfruttato, mentre lotta contro il proprio sfruttamento, di “mettersi nei panni” dello sfruttatore. Per te questo sarà uno slogan, per me è il minimo requisito etico quando, *da fuori* e da spettatori, si parla di persone che lottano per la propria esistenza. Vai ai cancelli di Pomigliano o Mirafiori a chiedere: “Tu che faresti al posto di Marchionne?”, e probabilmente rimedierai (come minimo) sacrosante pernacchie.

  33. in effetti mi riferivo orientativamente a quelli che non lavorano negli altoforni o nei paraggi della catena di montaggio.Esprimevo il dubbio che se non fosse prevista la possibilità di fare ponte la genuina adesione alla causa di chi non fa un lavoro alienante o pericoloso non sarebbe così appassionata.Conosco quelli a cui fai riferimento per averci viaggiato insieme un anno intero alle 5 del mattino.Avevano la capacità di insegnarmi a vivere in modalità ridanciana a dispetto dell’orrore del quotidiano che manco post office di Bukowski

  34. Sarà, ma questo manifesto nel Manifesto puzza d’aria fritta. Ed anche stantìa.
    Lo statuto dei lavoratori ha quarant’anni: fino ad oggi nessuno s’è accorto che la realtà imprenditoriale italiana è quella che è? Nessuno s’è accorto che le aziende con più di quindici dipendenti sono un sacco e tre sporte? Nessuno s’è accorto in (cazzo! quasi) dieci anni che col pacchetto Treu s’apriva una porta che sarebbe stato facilissimo trasformare in portone?
    Lo svantaggio della sinistra rispetto alla destra è che parla (ha parlato) di grandi ideali e di sacrosante battaglie, ma poi scende (è scesa) – giustamente – ai compromessi; e perde (ha perso) di credibilità.
    Quest’appello vul buttare benzina su un fuoco spento, tenta di fomentare una rabbia che non c’è, cerca di grillinare tutt’assieme confindustria, fiat, sindacati e governo, ma senza la verve rustica del popolo viola.
    Si sta scavando da solo l’ennesimo buco nell’acqua.
    Poi: i diritti non sono acquisiti per sempre; vanno giustificati ad ogni occasione, riconquistati casa per casa, specie se riguardanti l’attività economica. Che senso ha dire: li stiamo perdendo? Forse non sono più necessari, rimpastare.
    E mi spiace davvero vedere Rodotà, che ho sempre ammirato, sottoscrivere queste banalità.
    Rimandati a settembre.

  35. @ Saint-Just
    Nel 2006 ho votato per un “governo amico”, e sono stato uno dei pochi cretini che il programma di coalizione se lo è letto davvero. All’epoca pensavo, come te (ma come fai a pensare una cosa del genere e avere “Saint-Just” come nick? 🙂 ), che la puzza sotto il naso non me la potevo permettere. Poi è successo che il ministro amico D’Alema ha detto che il no alla guerra va bene, ma quella in Afghanistan non è una guerra e quindi si restava lì; il ministro amico Damiano ha riformato sì la riforma Maroni, ma in peggio (con un bel giochino tra scalini e scaloni, io vado in pensione un anno dopo rispetto a Maroni); il ministro amico Fioroni ha detto che avrebbe usato il cacciavite con la riforma Moratti della scuola, ma non aveva detto che lo avrebbe usato per stringere meglio le viti. L’unica promessa mantenuta è stata quella di Bertinotti e Ferrero di non dire sempre “no”: per non sbagliare, non ne hanno detto neanche uno.
    Adesso, se permetti, sono diventato più diffidente. Ad esempio, Bersani che dice “se sta a me la riforma Gelmini sull’università la cambio” continua a puzzarmi: perché il disegno di legge che aveva presentato lui era anche peggio, e allora voglio sapere cosa vuol dire “la cambio”. Ad esempio, una bella fetta di PD (55 senatori, mica quattro gatti) ha sottoscritto un disegno di legge per modificare l’art. 39 della Costituzione in nome della “flexicurity” del mercato del lavoro: e in tutta franchezza, combattere contro Sacconi per poi ritrovarmi Ichino mi sembra salutare quanto sfondare il muro della cella per ritrovarmi nella cella accanto.

  36. @ favoliere
    “tenta di fomentare una rabbia che non c’è”
    Mah. Secondo me solo uno privo di vista, udito, gusto, olfatto, tatto, equilibrio e (soprattutto) sensibilità alla temperatura può non accorgersi della rabbia e della disperazione e del tra-poco-non-avremo-più-niente-da-perdere che c’è in giro appena varcato l’uscio di casa. Dài retta a me, è un vero miracolo, nonché una testimonianza di lucidità ed eroica pazienza, che non si sia già ripreso a gambizzare… :-/

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