A leggere le notizie di questi giorni a proposito di Internet, la domanda non ha una sola risposta. Da una parte, blog e forum non sono assimilabili a una testata giornalistica: notizia fresca, qui.
Dall’altra, c’è la proposta Carlucci (Gabriella) che sembra un gran pasticcio, ma da cui si evince un tentativo di serrare le porte in difesa del diritto d’autore.
Il quotidiano dedica oggi un lungo servizio al copyright, a firma di Ettore Livini. Ve lo riporto. In coda, l’intervista di Irene Maria Scalise a Wu Ming 1.
L’industria discografica, in prima linea in questa battaglia, ha avviato decine di cause legali, sguinzagliando avvocati-segugi su internet per provare a beccare uno a uno i ladri di dischi (95 su 100, malgrado il boom di iTunes, vengono scaricati illegalmente). Ma questa strategia si è rivelata un boomerang. Hanno denunciato bambini di dodici anni, persino una donna morta. Rafforzando nella testa dei pirati (spesso adolescenti e onesti padri di famiglia) l´idea che il diritto gratuito a una canzone, un film o un libro prevalga di gran lunga sul dovere di pagare balzelli a un intermediario che molto spesso, come capita per la musica, non è nemmeno l´autore.
Fallita questa caccia all´uomo online, i big del copyright hanno alzato l´asticella. Risalendo la catena informatica verso i pesci grossi: i siti peer to peer – quelli che consentono di scambiarsi i file – e i grandi operatori telefonici, proprietari di quelle infrastrutture di telecomunicazioni dove si consuma il delitto. Mediaset, per non andar troppo lontano, ha fatto causa a Youtube per la diffusione illegale di diversi spezzoni dei suoi programmi. E proprio in queste ore a Stoccolma si sta celebrando un processo destinato a ridisegnare per sempre le regole che governano il copyright: quello contro Pirate Bay. Il sito svedese (www. thepiratebay. org), fondato nel 2003 da tre ragazzi poco più che trentenni, è stato fino ad oggi il grimaldello più efficace per aggirare le norme a tutela dei diritti d´autore. Grazie alla tecnologia “Torrent pesca nel mare magnum della rete film, videogiochi, software e dischi. Tutti messi a disposizione, gratis, dei suoi 22 milioni di utenti. Questa Tortuga virtuale – che ha già filiato un partito politico presentatosi (senza troppo successo) alle elezioni svedesi – è diventata in poco tempo, anche per i volumi di traffico, la Fort Alamo del fronte anti-copyright e il bersaglio numero uno della nuova guerra delle major. Diversi paesi (come la Danimarca) hanno oscurato il sito. Persino in Italia è stato chiesto un provvedimento simile, annullato (ma solo per vizio di forma) dal Tar. «Cosa vogliono da noi? – ha spiegato Frederik Neij, uno dei tre Sandokan scandinavi – Non siamo né più né meno che una specie di Google».
Non gli hanno creduto: Warner, Mgm, Columbia 20th Century Fox, Sony, Universal ed Emi – per una volta tutte insieme appassionatamente – hanno denunciato lui e i suoi soci. «Non vogliamo limitare la libertà di nessuno – ha spiegato in offensiva-simpatia il loro legale Monique Wadsted – ma solo fermare chi ha fatto soldi sulla pelle della gente che si scambia file protetti da copyright». I soldi (le case discografiche hanno chiesto una ventina di milioni di danni) contano poco. La vera posta in gioco è un´altra: lo stop ai pirati svedesi servirebbe da precedente per dissuadere l´aggressività di eventuali imitatori.
Pirate Bay però è solo il primo passo. L´altro fronte aperto, dove i paladini del copyright sperano di fare Bingo, è quello dei colossi delle telecomunicazioni. L´obiettivo è semplice: convincere gli internet service provider a collaborare nella caccia a chi viola i diritti d´autore per evitare l´accusa di complicità. Il metodo? L´invio di un primo cartellino giallo (sotto forma di mail) agli utenti sorpresi a copiare file illegali, con allegata minaccia di sconnetterli in caso di recidiva. Il 73% di quelli colti con le mani nel sacco – ha calcolato un sondaggio della Ipsos – eviterebbe di copiare nuovi file nel timore di veder saltare il suo collegamento. L´irlandese Eircom ha già accettato. La Francia sta studiando una legge che lo renda obbligatorio mentre a Londra si lavora a un provvedimento che obblighi gli Isp a passare informazioni sull´identità dei “borseggiatori online” ai titolari dei diritti. L´Isola di Man ha proposto di “tassare” i provider che poi potranno decidere da soli come rifarsi sugli utenti.
Le vie legali per la protezione della proprietà intellettuale sono state battute con successo anche dalla Associazione degli scrittori americani. Loro hanno fatto causa a Google, dopo che il motore di ricerca ha iniziato a digitalizzare libri i cui diritti d´autore sono tutelati per 70 anni anche se solo il 2% a quell´età genera ancora reddito. La class action avviata dall´Actors´guild ha avuto successo: la società ha pagato 125 milioni e messo in piedi un´autorità indipendente per spartire in futuro l´enorme business generato dalla lettura online con gli autori, cui andrà il 63% dei ricavi.
La tecnologia del resto obbliga tutti a rivedere le regole del gioco. E anche il copyright, pur di arrivare ai quattro secoli di vita, si sta preparando a cambiar pelle. Qualcuno, semplicemente, ha deciso di rinunciarci: i Radioheads hanno lanciato il loro album “In rainbows” su internet con offerta libera. I Pearl Jam hanno distribuito gratis il loro ultimo video e loro, come il brasiliano Gilberto Gil, utilizzano già Creative commons, una nuova versione di diritti d´autore “modulari” in cui il proprietario del copyright stabilisce i paletti all´utilizzo dell´opera per consentirne al massimo la diffusione senza rinunciare del tutto a monetizzare il loro lavoro.
Non solo. Travolti dalle nuove tecnologie, i diritti d´autore stanno valutando come rifarsi proprio sulla pelle del nemico. Nelle pieghe dell´ultimo decreto milleproroghe, è nascosto un preziosissimo regalo del governo italiano al copyright per il suo terzo secolo di vita: la possibilità di introdurre una royalty sulle memorie digitali (pennette Ubs, Mp3, telefonini e cd vergini) da dirottare nelle tasche degli autori scippati delle loro opere d´ingegno. La lobby del Papa e di Obama, evidentemente, qualche risultato sta iniziando a darli.
I loro libri sono stati tradotti in tutte le lingue e per loro il copyright è un concetto archiviato da tempo: hanno già scelto il copyleft. Sono i Wu Ming, sono un collettivo di scrittori. Hanno scritto libri cult come “Q” (firmandolo però «Luther Blisset») e “54”. Ma i loro nomi anagrafici non sono sconosciuti. Sul tema della fine del copyright risponde uno di loro, Wu Ming 1.
Sempre più scricchiola il concetto di proprietà, secondo voi il concetto di copyright ha ancora un senso?
«Noi pratichiamo forme ibride, “anfibie” come il copyleft e le Creative Commons, nate per conciliare libertà di riproduzione e remunerazione dell´artista. In queste forme, spetta all´artista decidere se porre limiti, e quali, alla libera riproduzione della sua opera. Noi abbiamo una dicitura presente sui libri di Blissett/Wu Ming a partire da Q: “Si consente la riproduzione parziale o totale dell´opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta”.
Qual è il progetto «Wu Ming»?
«La missione di Wu Ming è, dall´inizio, raccontare storie con ogni mezzo necessario».
Voi siete un collettivo letterario ma ognuno di voi ha una sua voce.
«Siamo una band, quella band si chiama “Wu Ming”, e come accade spesso nelle band, ciascun membro ha un nome d´arte individuale: “Wu Ming 1”, “Wu Ming 2”. Proprio come i Ramones».
Il nuovo album degli U2 è finito misteriosamente on line prima della pubblicazione, cosa ne pensa?
«Non mi viene in mente niente, come a Karl Kraus quando pensava a Hitler».
Da quanto tempo i vostri romanzi sono scaricabili gratuitamente da internet?
«Da dieci anni. E questo aiuta le vendite anzichè danneggiarle. Chi li scarica poi li compra per sè o per altri».
L´associazione degli scrittori americani ha fatto causa a Google perchè il motore di ricerca ha iniziato a digitalizzare libri i cui diritti d´autore sono ancora tutelati. Una simile azione sarebbe pensabile in Italia?
«Pensabile senz´altro. Auspicabile, no. Chi volesse tentare un´impresa del genere, non conti su di noi».
dopo 10 anni e più ci sono ancora giornalisti che scrivono Blissett con una T sola… ;-((