COMMISERATECI

Ho molta stima di Cristina Morini e degli interventi che fa su Uninomade: l’ultimo, Papi e madonne, conserva la consueta lucidità: si può dissentire o meno dalle tesi esposte, ma le tesi medesime, per fortuna, ci sono. In particolare, però, dissento su quella parte del suo editoriale dove parla di “abiura del politically correct che ci impone di non criticare in alcun modo le donne. Una cappa, ammantata di dignità, diritti, corrette opportunità, eguaglianza. Difesa delle donne “in quanto donne”, tout court, essenzialista, generalista, a-politica, debole, vittimista, che non infastidisce affatto il potere maschile ma viceversa, forse senza volerlo nel migliore dei casi, lo rafforza. Rappresenta una barriera a salvaguardia della controparte e non nostra”.
Per meglio dire, dissento in parte: è vero, la difesa delle donne “in quanto tali” e “per natura buone” è un errore politico e culturale. Ma altra faccenda è la constatazione di quanto le donne stesse vengano non difese ma attaccate quando raggiungono visibilità. Perché non è sulle loro azioni che si discute, ma sulle loro persone.
Facciamo un paio di esempi, per capirci. Qualche giorno fa, su Facebook, Laura Boldrini è stata definita “magnaccia dei rifugiati”. Da un allegro nerd? Sbagliato. Da un colto bizantinista.
Ieri, la nomina di Lidia Ravera all’assessorato alla cultura della Regione Lazio è stata commentata sulla bacheca di uno degli scrittori e intellettuali più fini e attenti  della sua generazione con queste parole: “grinzosa”, “agglomerato di snobismo”, “è orrenda, vista da vicino ho avuto paura”, “una cretina patentata”, “pessima scrittrice”.
Ripeto, non eravamo su una pagina di haters conclamati e i commentatori erano, spesso, persone che si muovono in ambito culturale o addirittura editoriale. Dalla maggior parte di loro,  non una parola che sia stata realmente politica e che entrasse nel merito.  Allora, altro che politicamente corretto: qui siamo ancora ai fondamentali del rispetto e della responsabilità che ci si assume quando si affronta un discorso pubblico. Perché quello che non riesce a entrare nella testa di ognuno di noi è che parlare in rete significa parlare pubblicamente, e non dar sfogo a quelle assai oscure materie che  Primo Levi raccontò, un giorno, in questa poesia:
Dateci qualche cosa da distruggere,
Una corolla, un angolo di silenzio,
Un compagno di fede, un magistrato,
Una cabina telefonica,
Un giornalista, un rinnegato,
Un tifoso dell’altra squadra,
Un lampione, un tombino, una panchina.
Dateci qualche cosa da sfregiare,
Un intonaco, la Gioconda,
Un parafango, una pietra tombale.
Dateci qualche cosa da stuprare,
Una ragazza timida,
Un’aiuola, noi stessi.
Non disprezzateci: siamo araldi e profeti.
Dateci qualche cosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi
Che ci faccia sentire che esistiamo.
Dateci un manganello o una Nagant,
dateci una siringa o una Suzuki.
Commiserateci.
Ps. Per chi volesse discutere anche di questo, perché a voce è meglio,  informazione di servizio: sarò a Torino domenica 24, in due momenti (alle 11 al Circolo dei Lettori, alle 17.30 alla libreria Il ponte  sulla Dora, e lunedì 25 sarò a Genova, alle 18, alla Feltrinelli di via Ceccardi).

28 pensieri su “COMMISERATECI

  1. Che bello conoscere persone che dicono quello che pensi. Soprattutto per un pigro come me. Grazie Loredana e grazie Giorgia.

  2. Condivido il pensiero di Cristina Morini.
    Sui due casi citati, Loredana, non sono sicuro che siano attacchi alle persone in quanto donne, ma alle persone in quanto persone. Quelli che hanno fatto quegli attacchi abbastanza stupidi (eufemismo) e altri attacchi, in politica, alla persona e non alle idee/azioni è la norma, secondo me. A prescindere dal fatto che uno sia maschio o femmina.
    Poi, appena si raggiunge la visibilità si viene attaccati molto facilmente da tutti, e anzi il fatto che si attacchi sia che ci si trovi davanti un uomo sia che ci si trovi davanti una donna dovrebbe essere segno di pari condizioni.
    Voluto o meno, secondo me c’è un clima di conflitto tra i generi e la scelta di utilizzare la parola “femminicidio” – anche se in buona fede -, per esempio, prende a mio parere un sentiero culturale che porta alla creazione concettuale di divisioni e non alla valorizzazione, invece, delle differenze.

  3. Diciamo, Pier, che quando gli attacchi sono rivolti alle donne è molto più frequente che si attacchi il loro corpo. Negarlo non aiuta, perdonami. E definirlo “norma” (su cui posso concordare) non significa che quella norma non vada combattuta. Anzi.
    Quanto alla scelta della parola femminicidio e al retroterra culturale che ha portato a farlo e alla presunta creazione di divisioni fra generi (alle differenze per natura, personalmente, non credo) vorrei rimandarti – e non per autopromozione, ma perché il discorso è realmente troppo lungo e complesso per affrontarlo qui – al pamphlet scritto da Michela Murgia e da me, che esce per Laterza fra poche settimane, il 18 aprile. Lieta di riparlarne dopo la lettura, se credi.

  4. Che a definire magnaccia dei rifugiati Laura Boldrini, e aver detto che andrà a cagare sulla turca, sia stato un colto bizantinista lascia basiti, ero convinto fosse un parente stretto di Alvaro Vitali. Questi terribili commenti però, erano in calce ad un post che metteva in parallelo 2 fotografie, in una si vedeva Laura Boldrini con il vassoio in mano in coda alla mensa di Montecitorio, nell’altra alcuni eletti 5 stelle al tavolo del ristorante della bouvette. Insomma si ribaltano i ruoli ma resta intatta la sostanza, si ritorcono le accuse di kasta/magnamagna/privilegiati contro chi in quel clima ha acquisito un forte consenso, e al contempo si rivendica una appartenenza al bene, al vero bene. Sottrarsi al clima da tifoserie è necessario, ma non facile, questo clima ci coinvolge tutti

  5. No, non lo nego mica che spesso si attacchino le donne sul lato fisico. Ma dico che nella dialettica politica di denigrazione del “nemico” (purtroppo la mentalità è che c’è il nemico), la fisicità ne è parte integrante. Brunetta viene insultato per essere basso, Prodi per essere un salume, Fassino per essere magro, Berlusconi per essere nano anch’esso.
    Non sto neanche dicendo che questa “norma” non vada combattuta né messa in evidenza, ma dico che semplicemente fa parte dei conflitti politici da molto tempo e che anche le donne che iniziano ad avere visibilità ne subiscono le conseguenze, e non è il genere di appartenenza – a mio parere – a guidarne le dinamiche: ma il partito politico di appartenenza.

  6. Per quanto riguarda il “femminicidio”, so che il tema è complesso e raccolgo l’invito a leggere il libro appena uscirà.

  7. Vero. Resta la differenza che nei casi citati l’attacco è venuto prima di qualsiasi azione. In particolare, nel caso di Lidia Ravera, si è insistito solo su due punti: l’aspetto fisico, l’età, la supposta mancanza di talento letterario.

  8. F. Facci su Lucia Annunziata: “Lucia Annunziata è un’uterina, un’intervistatrice di dubbia presentabilità, e parlo dal punto di vista fisico. E’ la Rosy Bindi del giornalismo italiano“.

  9. Spregevole la denigrazione basata sulle caratteristiche fisiche della persona, chiunque essa sia, ma non si può negare che questa abitudine sia diretta con particolare accanimento verso le donne; e del resto le deficienze fisiche che vengono imputate a uomini e donne sono sistematicamente diverse tra loro, e corrispondono all’osservanza degli stereotipi di genere. Tanto più spregevole se provengono da persone con grado di istruzione elevato, cui non corrisponde, evidentemente, un’altrettanto profonda cultura. Laura Boldrini l’abbiamo già vista da lungo tempo all’opera e possiamo giudicarne (favorevolmente) l’impegno e i risultati, di Lidia Ravera non sappiamo altro che la sua produzione giornalistica e scrittoria, ambiti entrambi opinabili, quindi, staremo a vedere.

  10. Papi e Madonne di questa Cristina Morini è un articolo splendido, acuto e dimostra particolare sensibilità e intelligenza.
    Grazie per la segnalazione, non conoscevo la Morini, ora cercherò di farlo perchè di sicuro vale la pena.

  11. @Claudio
    Proprio perché è un “clima che coinvolge tutti” sarebbe bene distingersi per il linguaggio scelto, e non prendere quel clima come scusa per usare insulti da bambocci maleducati – e sessisti. A ulteriore riprova che la cultura non è sinonimo di erudizione, né è certificabile da un titolo di studio.

  12. commenti velenosi e sciocchi suggeriti dall’invidia. Stendiamo un velo pietoso sui giudizi fisici. La Ravera ha scritto libri buoni e libri meno buoni, ma non è affatto una “pessima scrittrice”. Un po’ di rispetto e di UMILTA’ non guasterebbero.

  13. Allora, Loredana e commentarium veramente cari. È fondamentale questo lavoro sulle retoriche. Ed è probabile che alberghi in ognuno di noi una vis distruttiva violenta pronta a trovarsi un obiettivo qualunque.
    In questo senso mi piacerebbe essere d’accordo con Primo Levi, ma una lettura decontestualizzata (siamo negli anni in cui il conflitto anche generazionale era esasperato non in quelli come i nostri dove è inesistente) anche della sua poesia fa passare Levi per un qualunquista: è meglio costruire che distruggere, la violenza è scomposta espressione di un disagio. Un Levi da web – qualunquista.
    Io ho definito sul mio facebook ieri Lidia Ravera una pessima scrittrice e una snob. L’ho fatto nel momento in cui è diventata una figura pubblica per me non adatta al suo ruolo. Assessore alla cultura. Sempre sul mio facebook sono comparsi “grinzoso” e agli giudizi fisici. Su questi non ho mezzi termini – fanno schifo, sono da stigmatizzare in ogni caso. Se non l’ho fatto immediatamente, scusate, non do retta a ogni commento che viene postato sul mio facebook, punto, e ancora scuse.
    Ma sulla “pessima scrittrice” e “snob” contestualizzo il giudizio come giudizio politico e non estetico o umano. Figuriamoci: posso affermare che Lidia Ravera abbia scritto dei bei libri (i gusti) e che di persona sia dotata di grande umiltà (non la conosco), ma considero un altro aspetto nel dare dei giudizi così trancianti. Il suo côté da scrittrice impegnata, da editorialista, da scrittrice civile, da intellettuale militante: ossia proprio quel côté che le avrebbe consentito di essere ritenuta la persona migliore per un ruolo di assessore alla cultura nella regione Lazio.
    Lidia Ravera si è occupata di varie questioni politiche da scrittrice e da editorialista: il rapporto generazionale, la storia del femminismo, la città… Ogni volta con grande approssimazione, ammantando di uno stile disinvolto spesso elegante un’evidente mancanza di preparazione teorica e di interesse per quelle che sono le priorità di una città e di una regione che è quella in cui vivo.
    Snobismo sta per disinteresse, pessima scrittrice sta per impreparazione.
    In questo disinteresse ci metto anche un discorso di classe: le cose che ho letto di Lidia Ravera palesavano molto spesso una prospettiva fortemente classista che spesso coincideva con un classismo come dire generazionale – la generazione del ’68 che rivendica una sorta di ius primae noctis sulle battaglie politiche e sulle interpretazioni sociali.
    Tutto questo per dire cosa? Che sono contento, lo dico sul serio, quando Loredana che è importante il dito e non solo la luna – che le prospettive con cui si affrontano i discorsi contano anche più dei temi.
    Ma sono anche convinto che questa interpretazione di questo post abbia il rischio di sovrapporre una retorica vittimistica a una retorica conflittuale.
    Non mi piace Lidia Ravera, penso che la nomina di Zingaretti sia uno sbaglio per il metodo prima ancora che per il merito. Che faccia il paio con quelle di Givone a Firenze, di Battiato in Sicilia, di Del Corno a Milano… Onesti intellettuali impreparati per amministrare sistemi politici complessi e magari privi di una visione tale da compensare con l’immaginazione o la capacità relazionale questo deficit. Lo posso dire? Posso essere controbattuto nel merito?
    Tipo a questa a sua dichiarazione sulla militanza politica – lei era nel listino Bonino nel 2010.
    «Sono troppo signora sabauda: non riesco – scrive – a infilarmi nelle cene a cui vengo invitata per promuovere me stessa, non ce la faccio a fermare i passanti e ficcargli in mano il pieghevole in cui pubblicizzare mie buone intenzioni».
    http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2010/03/elezioni-regionali-lazio-lista-civica-bonino_PRN.shtml
    Questa volta non ce n’è stato bisogno.

  14. @ Raimo
    SPOILER: Gesù Bambino esiste, ma non è lui quello che ti mette i regali sotto l’albero la sera di Natale. Davvero pensavi che il PD avrebbe creduto alle “buone pratiche”, alla “politica dal basso”, al “contributo della società civile”? Che al PD interessasse, oltre ai vostri voti (che ha già incassato), una mezza cippa di quello che tu/voi avete da dire su “merito” e “metodo”? È la politica, bellezza!

  15. Mah, non sono un’ammiratrice della Ravera; trovo anche noiosissimo il classismo generazionale. Ciò non toglie che i giudizi negativi possano essere espressi con maggior eleganza. La forma, quasi sempre, è anche sostanza.
    Zingaretti, posto l’assioma donna e di sinistra avrebbe avuto altre possibilità di scelta.
    Quale corollario, si pone qui, secondo me, il problema della discriminazione “inversa”, cioè dell’obbligo politicamente corretto di far posto alle donne. Negli anni ho finito con il convincermi della necessità delle quote rosa, che all’origine mi facevano sentire un esemplare di specie protetta.
    Le donne hanno doti bastevoli per farsi avanti con le proprie forze, ma la maniera maschilista in cui si fa politica effettivamente le penalizza e respinge. Mi sono dunque rassegnata alla collocazione d’ufficio (salvo lodevoli eccezioni, che pure ci sono) di un certo numero di signore, compagne o come chiamarle, laddove ciò è ritenuto – dai dirigenti uomini – opportuno.
    E, anche per mancanza di fantasia, si finisce col ripercarle sempre nello stesso stagno.

  16. “magnaccia dei rifugiati”.“grinzosa”, “agglomerato di snobismo”, “è orrenda, vista da vicino ho avuto paura”, “una cretina patentata”;verrebbe voglia di mettere da parte quanto si è imparato sul non metterla mai sul personale e sfidare a duello questi stigmatizzatori frustrati.E invece intonerò un magnificat(e inoltrerò a questi signori un manuale di auto-aiuto per i casi pietosi)

  17. agglomerato di snobismo è una critica legittima, non è un’offesa e si può dire, sperabilmente non solo in direzione Lidia Ravera o comunque donna.
    per il resto condivido l’articolo e molti dei commenti in sintonia con lo stesso.

  18. 1. Quoto Christian in toto.
    2. Sinceramente l’articolo linkato non lo condivido manco un po’. C’è qualcosa che non mi torna. Proprio un atteggiamento verso il potere che mi ha stancato, che mi sta nauseando. Quel misto di proposopopea e infantilismo per cui simultaneamente si critica la classe dirigente che si ha portato al potere, si ritraggono i potenti come cattivacci aka inadeguati aka in malafede, con quel livore di chi si mette sotto, e allo stesso tempo la tracotanza del semo tutti ct. Basta non se ne po’ più. Tutto Facebook è pieno di Cristine Morini.
    3. Di esempi retorici, ne troverei di più calzanti, ma la retorica sfugge, a me la prassi mi pare più interessante. Non dico che non si possa criticare una donna, toh la cristina è donna e a me pare poco interessante e ne critico l’articolo. Ma la questione è che esistono condizioni strutturali di questo paese che indicano una sperequazione oggettiva, e se la correttezza politica impone di farci caso, nei linguaggi, nelle distribuzioni del potere, nelle cause che producono un comportamento meno efficiente se paragonato a quello di un uomo, beh cazzo ben venga.

  19. @ zauberei
    tutta facebook sarà piena di supponenti come te, che sparano sentenze senza neanche sapere di chi stanno parlando (posto che tu l’abbia davvero letto, l’intervento di Cristina Morini, che non stato pubblicato su fb): cioè di una compagna (precaria, tra l’altro) che si sbatte pubblicamente e nelle pratiche, non la solita leoncina da tastiera che risolve i propri rancori ticchettando sui tasti. È vero, non se ne può più della retorica del potere cattivo: meglio quella di chi al potere gli liscia il pelo, gli fa vedere quanto sarebbe capace di ringhiare, e quanto sarebbe meglio per il potere assumerl@ nell’ufficio stampa sullo strapuntino della diligenza.

  20. @zauberei
    “Ma la questione è che esistono condizioni strutturali di questo paese che indicano una sperequazione oggettiva, e se la correttezza politica impone di farci caso, nei linguaggi, nelle distribuzioni del potere, nelle cause che producono un comportamento meno efficiente se paragonato a quello di un uomo, beh cazzo ben venga.”
    In parole povere, cosa vuol dire?

  21. Christian: senza ragionare sul dito non si vede la luna. Questo è quel che intendevo nel post. Se non si cambiano i linguaggi (e chi dovrebbe farlo, se non le persone che si dichiarano e sono a proprio agio con le parole, e con le parole lavorano?), non si cambia la realtà. Non so se possa definirsi qualunquista chi avverte il disagio nella violenza scomposta: di fatto, mi sembra che con la medesima non si vada lontano, o si vada in direzioni che non credo piacciano a te, né a me. Né penso che siano le abilità letterarie (e chi le decide, chi definisce il canone, come, e quando? L’antologia degli anni Zero? Una recensione di Cordelli?) a motivare le abilità politiche. Sul caso specifico, sinceramente, io aspetto a formulare qualsivoglia giudizio. Quanto al classismo generazionale: non so se sia tale da parte di chi lo rivendica o da parte di chi agisce un vittimismo generazionale. Anche su questo sospendo il giudizio: credo che a contare non debbano essere generazioni nè parametri estetici. Ancora una volta, sono le azioni.

  22. Che io sia supponente è un fatto assodatissimo, ma ciò non mi toglie il diritto di avere una sensazione un’opinione un punto di vista. Non mi piacciono le due retoriche opposte, e cerco di stare in mezzo. Sono stata d’accordo con te diverse volte,altre no ma sempre con scambi belli, e leoncina da tastiera – mi è onestamente dispiaciuto. Anche tu non sai cosa faccia io in termine di praassi reali, evidentemente – o cosa abbia fatto se no non lo diresti. Ma mi segassero le mani se lo faccio adesso 🙂 il punto è quello che si scrive – e a me non è piaciuto quello che ha scritto Cristina, precaria o meno. A te non è piaciuto quello che ho scritto io, ma la tua risposta al di la dei toni – non mi persuade. Sono stanca come prima, perchè questo tipo di atteggiamenti non mi sembra che portino a niente. Manco quelli opposti hai ragione – ma a parer mio hanno una parentela segreta.

  23. Pier se una donna non ha nido, non ha servizi di wellfare che l’aiutano nell’assistere persone anziane, non ha permessi sul lavoro per le volte in cui facciamo conto deve vaccinare la prole, se non si riconosce il fatto che culturalmente questo peso è deciso come su di lei, la sua resa sul lavoro è costretta ad essere inferiore, per motivi di forza maggiore. Se il la correttezza politica obbliga a prendere atto di questa cosa nel giudicare le donne che lavorano per me fa cosa buona e giusta. Se il linguaggio dimostra che le persone tendono a non prendere sul serio l’operato delle donne, magari io avrei scelto altri esempi, ma nella sostanza Loredana ha ragione, la correttezza politica fa bene a osservarlo. In sostanza – quando si parla del vittimismo delle donne come fascia ingiustamente protetta, con la coltre della correttezza politica beh, si da la sensazione di pensare di abitare in una cultura e in un mondo che non sono quelli italiani. Perchè qui ci manca ancora un sacco.

  24. la critica contro il potere e contro il conformismo del potere è sempre la benvenuta, figuriamoci, ma io vedo piuttosto gruppi di potere che collidono.

  25. del resto una dose di “teppismo culturale” è quasi sempre insita ai “conflitti generazionali”: lo segnalava già Pasolini negli anni sessanta riferendosi agli anatemi e alla smania di ricambio del gruppo 63. Certo la situazione di oggi non è minimamente paragonabile a quella di allora. Però è bene sempre ricordare per non ricadere negli stessi errori.

  26. Chi ha citato come paragone per il caso Ravera/Lazio il caso Battiato/Sicilia? Ecco, molto giusto: i presidenti di Regione, quando si tratta di “assessorato alla cultura”, pensano sia più utile affidarsi al prestigio mediatico piuttosto che alle competenze specifiche, dunque, speriamo bene. Anch’io sospendo il giudizio.

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