DI PODCAST CE N’E’ PIU’ D’UNO

Dopo la trilogia del dollaro di Sergio Leone, e dopo il successivo C’era una volta il West, il western all’italiana o spaghetti western conobbe una proliferazione inarrestabile. Ma dopo quel boom, che predomina negli anni Sessanta e Settante, il filone si dissecca e muore.
Ci ripensavo ieri sera tornando dal live di Omissis al Teatro Palladium. Che è andato benissimo, come tutti i podcast live. Vanno bene anche i podcast audio, intendiamoci: però comincio a chiedermi se non stiano correndo il rischio degli spaghetti western.
Già nel 2019, il momento in cui negli Stati Uniti il podcast trionfava come un misto affascinante di scrittura e voce e suono, ci si cominciava a chiedere quando sarebbe scoppiata la bolla: da ultimo, alcuni ne sembrano certi.
Non sono un’esperta né una studiosa del settore. Parlo per sensazioni, e quelle sensazioni possono essere sbagliate. Non tutte le radio private, per esempio, sono scomparse dopo il boom: tutt’altro, molte sono diventate potenti, molte resistono gloriosamente. Ma il tempo in cui sono nate era profondamente diverso, meno accelerato, meno vorace.
Non è detto che quella che è una risposta a una domanda di mercato, che segue al successo della formula, consumi anche i podcast. Che però si stanno moltiplicando a dismisura: e anche qui, come avviene per l’alto numero di libri pubblicati, sta diventando quasi impossibile tener dietro a tutto.
Sono certa, però, che resti la forza del racconto dal vivo: perché possiamo fare a meno di molte cose, ma non dei corpi, dell’incontro, delle parole dette guardandoci.
Vediamo.

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