GAME OF THRONES, LA SCELTA ETICA, TOLKIEN. DI NUOVO.

“Assegnare “etichette” agli scrittori, vivi o morti, è un comportamento insensato, in ogni circostanza, un passatempo infantile per menti piccine, e molto “deprimente”, poiché nel migliore dei casi dà troppa importanza a ciò che ha in comune un gruppo ristretto di scrittori, e distoglie l’attenzione da quanto c’è di individuale (e non classificabile) in ognuno di loro, che è l’elemento che dà loro vita (se ne hanno)”.
J.R.R. Tolkien, bozza di lettera a P. Szabo Szentmihaly – 1971

Questo è l’esergo de Il Fabbro di Oxford di Wu Ming 4, appena uscito per Eterea, con prefazione di Edoardo Rialti, e che raccoglie una serie di interventi pubblici dello stesso Wu Ming 4  sull’opera di Tolkien, nel periodo 2014-2017. Sulla raccolta, importante, si tornerà. Mi interessa per ora prendere spunto dalla frase che la apre per una riflessione molto breve che riguarda non Tolkien, o almeno non direttamente, ma la saga di Game of Thrones, derivata dalle Cronache del ghiaccio e del fuoco di Martin, che, di recente, è tornato a ribadire l’ìmportanza, nella diversità, dell’opera di Tolkien nella sua. Nella diversità, certo. Ha detto Martin: “Nel corso dei secoli e delle generazioni, gli scrittori si parlano. Si rispondono, sono in un dialogo costante”.
Questo per ribadire, di nuovo, che non è intelligente liquidare l’enorme emozione collettiva che sta accompagnando le ultime puntate della serie televisiva, che terminerà lunedì (mentre dei libri di Martin non è ancora conosciuta la data di uscita). Emozione che non è semplicemente il segno dei tempi, non è, come scriveva Stefano Massini stamattina su Repubblica, il lutto collettivo per qualcosa che finisce: è invece, l’attesa per l’ultima parola di una storia che ci ha accompagnato per otto anni. Otto anni è un tempo lunghissimo: si cresce, si diventa adulti, si invecchia seguendo un arco narrativo che può suscitare il disappunto di alcuni fan, come è avvenuto per la penultima puntata, ma è coerente in modo impressionante. Se si ha buona memoria, oppure se si seguono le centinaia di connessioni che oggi fioriscono in rete con le puntate precedenti, si comprende che quanto avviene ora è stato annunciato, sottilmente, già anni fa. Se si guarda all’inizio della prima serie e all’inizio dell’ultima serie, ci si rende conto che esiste una circolarità (tutti i personaggi insieme nello stesso luogo) che è stata pensata, curata, voluta.
Torno su Game of Thrones per un semplice motivo: più volte mi capita di ripetere, presentando Magia nera e parlando di letteratura fantastica, che la medesima contiene nella stragrande maggioranza dei casi un imperativo etico. I personaggi devono compiere una scelta, e quella scelta avrà non solo conseguenze sul loro mondo, ma sul loro modo di concepire il bene, il male, e anche la zona grigia che esiste in mezzo. Ma non esistono personaggi immuni dal male: Il Signore degli Anelli sarebbe ben altra storia se Frodo non cedesse, sul Monte Fato, al potere dell’anello. E altrettanto accade, senza anticipar nulla, nella lotta per il potere che dal primo momento tocca la maggior parte dei personaggi di Martin.
Come ha scritto Edoardo Rialti su Twitter, la serie ci mostra, specie ora “come chiunque può morire, compresa la nostra semplicistica fame d’una scacchiera in bianco e nero, e che spesso siamo noi i primi a distruggere i nostri sogni”.
Quando una narrazione coinvolge così a fondo, liquidarla facendo spallucce (ed è stato fatto, a lungo, anche per Tolkien) è un errore gigantesco. Specie se chi liquida è un letterato.

2 pensieri su “GAME OF THRONES, LA SCELTA ETICA, TOLKIEN. DI NUOVO.

  1. Sergio Falcone, oltre a razzolare per il web dicendo che io sono il male perché mezzo secolo fa la tua ragazza ti avrebbe piantato per colpa mia, hai il coraggio di commentare proprio qui? Non ho l’età per sopportare ancora i fuori di zucca, grazie.

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