I SOGNI DEI RAGAZZI, I SOGNI FINITI DI SARA

Volevo scrivere, fino a ieri notte, di ragazze e ragazzi, e in parte lo farò comunque. Ragazze e ragazzi che ho incontrato sabato, alla Scuola Holden, per la presentazione dei loro progetti. Molti li avevo conosciuti durante le lezioni di quest’anno sulla letteratura fantastica, altri li ho scoperti due giorni fa: lei che si avvolge nella bandiera irlandese mentre racconta la sua storia di indagine e tormenti, lui che sa tutto sulle compagnie di bandiera, lei che piange, nel ricordo del padre, mentre spiega le sue illustrazioni di mostri gentili, loro che hanno scritto un lungometraggio su Maria Soledad Rosas (la Sole che morì poco dopo il suo Baleno), o immaginano un horror dove il bene non sta da una parte sola, lei che ritraduce It e racconta il perché, lui che immagina una storia sulle anguille, lei che progetta collane di racconti brevi.
La notte di sabato, dopo il ritorno, sono andata alla mostra fotografica di mia figlia e naturalmente ho guardato con gli occhi della madre ma non solo: perché anche in quel caso ho respirato la stessa energia, la stessa voglia di inventare (non di arrivare e rifulgere, ma di inventare, che è cosa diversa), anche contrapponendosi a strade prevedibili.
Dunque, come brevemente spiegavo ieri su Facebook, sarei anche un po’ stanca della narrazione che riguarda i giovani in figura di adolescenti o post adolescenti svogliati, disillusi, tutti social e chat, un po’ grigi e ah, quanto eravamo fulgidi noi che-abbiamo-fatto-il-settantasette. Non è così, ogni giovinezza è fulgida, con la differenza che la nostra generazione è particolarmente invasiva, e prova ad appropriarsi della giovinezza altrui, sottraendole le scoperte, annientandone l’entusiasmo.
Dunque di nuovo, ho scritto di ragazze e ragazzi, come pensavo.
Ma c’è una cosa che stamattina mi fa male. Non molto lontano dal luogo dove si teneva la mostra fotografica, un’altra ragazza, 22 anni, un bel po’ di sogni e di concretezza anche, è morta ammazzata e bruciata. Si chiamava Sara.  Aveva mandato un messaggio alla madre, sto arrivando, come fanno le figlie che conoscono l’ansia delle madri. Non è mai arrivata. Mentre scrivo, non sappiamo se davvero sia stato, ancora, l’ex fidanzato appena abbandonato. Se così fosse, sarà difficile per me  essere tollerante con tutti coloro che su ogni luogo della rete scrivono che il femminicidio non esiste, e che le donne (specie la loro ex che pretende gli alimenti e centellina le visite ai figli) sono tutte furbe, e inventano violenza dove non c’è. Se così fosse, alla tristezza per i sogni che questa ragazza non realizzerà, si unirà la rabbia. Per tutti coloro che negano, colti opinionisti o lividi commentatori da social. E negando fanno sì che una cultura dell’odio cresca, e qualcuno continua persino a chiamarla amore.

8 pensieri su “I SOGNI DEI RAGAZZI, I SOGNI FINITI DI SARA

  1. Gentile Loredana, come ho già scritto altre volte, in un modo o nell’altro, e parafrasando qualcuno, l’unica cosa che mi sorprende davvero è quanto poco il mondo cambi e quanto poco gli uomini, i maschi, sono cambiati, e quanto poco siano consapevoli, uomini e donne, dell’orrore che ci circonda e ci attanaglia, certo, ma di quanto anche noi stessi lo creiamo e coltiviamo. Il caso di Sara, e prima il caso di Michela, e prima quello di Deborah, e sembrano essere state ammazzate tutte dallo stesso uomo, per lo stesso fottuto motivo, e sempre, SEMPRE, la sorpresa della cronaca dura il tempo di un secondo per essere soppiantata dal prossimo omicidio, presto dimenticato, e tutto è sempre lo stesso caso, lo stesso movente, la stessa procedura di indagine e lo stesso finale: l’oblio.
    Rabbia e ancora rabbia, prima dell’orrore…

  2. se fossero veramente furbe, al netto del fatto che la simpatica legislazione salvo quando inizia a essere troppo tardi prende in considerazione lo stato di pericolo con misure serie nei confronti di chi attua comportamenti minacciosi, organzzerebbero qualche diversivo per non finire nelle grinfie dei propri carnefici . I numeri ci raccontano questo fenomeno spaventoso sono tali che gli scettici andrebbero portati nella fossa dei leoni per respirare la paura e imparare a non parlare a vanvera per il puro gusto di fare gli sbarazzini
    http://www.wired.it/tv/good-night-stories-for-rebel-girls-libro-per-bambine-vale-mezzo-milione-euro/

  3. l’ex ha confessato: l’ha attesa, speronata, poi ha bruciato prima l’auto e infine lei, che era corsa fuori chiedendo aiuto ed è stata ignorata da almeno due automobilisti di passaggio. che storia terribile.

  4. Ancora qui come tante volte, come ogni volta, come sempre, con le lacrime più salate, senza più voce, con le sole unghie spezzate a furia di graffiare, qui sempre più soli per difendere un sottile filo chiamato speranza. Speranza nei ragazzi che incontriamo, nei ragazzi che abbiamo cresciuto, in quei ragazzi che ci mandano il messaggio: “sto arrivando” sapendo che siamo svegli ad aspettarli, che siamo svegli per loro, per noi. Per continuare a sperare.
    Io uomo incapace di comprendere gli insulti, incapace di comprendere quale possa essere la percentuale infima di morti che siamo disposti ancora di accettare, morti di coltello o di acqua e nafta. Quale percentuale miodio? Sì, è vero, non possiamo piangere per ogni morto non conosciuto, piangiamo per i nostri figli, ma sappiano i signori che le lacrime sono uguali. Piangiamo signori anche per la vostra ignoranza che ci turba e ci oscura la vista. Loredana per favore non lasciateci soli. Grazie e scusi. Andrea

  5. Un “folle”, uno che “ha perso la testa”, che “ha ucciso per amore”, che “era disperato”. Non si legge altro che questo.
    Ma uno che perseguita la sua ragazza per mesi al termine di una relazione, e infine si procura una bottiglia di alcool, si apposta dove sa che la troverà, poi le da fuoco in macchina e quando lei scappa la insegue e le da fuoco di nuovo, non ha avuto un attimo di follia. Non ha avuto “un raptus”.
    E spiegatemi cosa c’entra l’amore con il progettare e portare a termine l’uccisione di una donna.
    E ancora no, non “sono stati gli automobilisti indifferenti a ucciderla”. Quegli automobilisti non l’hanno salvata, ma a ucciderla è stato il suo ex. Lui e lui solo. Perché è un uomo che odia le donne. È un misogino, un sessista, un maschilista, un femminicida.
    Quest’odio, questo non è solo suo però. È un odio che appartiene a tanti, che attraversa la nostra società da cima a fondo, che si respira sempre, in qualunque momento, come il particolato accanto a una centrale a carbone, e ammazza altrettanto. È un odio contro le donne in quanto donne, è la condanna senza processo che ci pende sulla testa da quando nasciamo, e che viene ribadita di continuo, molto più spesso di quanto gli uomini credano. Quando veniamo umiliate e insultate per come ci vestiamo o perché andiamo in giro da sole; quando veniamo scartate a un colloquio di lavoro perché potremmo volere dei figli; quando su un annuncio di lavoro leggiamo “richiesta bella presenza”; quando ancora bambine cominciamo a ricevere le attenzioni minacciose degli uomini, padri di famiglia che allungano le mani sull’autobus o se abbiamo la sfiga di essere rimaste sole con loro; quando già da piccolissime ci viene richiesto di essere pazienti e mature, di stare buone, carine e composte, mentre noi vorremmo correre, giocare e fare guai come i maschi, e quando lo facciamo veniamo punite più di loro; quando parliamo e non veniamo ascoltate, o vediamo ascoltate con sopportazione e paternalismo; quando a una cena tra parenti viene silenziosamente stabilito che saremo noi a servire a tavola e a lavare i piatti, perché chi deve farlo altrimenti? Quando si pretende da noi che ci carichiamo sulle spalle tutto il peso della cura della nostra famiglia, al prezzo di qualunque sacrificio, al prezzo di tutta la nostra vita; quando quell’odio è così forte che ci fa odiare noi stesse.
    Ogni volta che qualcuno impugna quell’odio, noi soffriamo. Ogni volta. Significa ogni giorno della nostra vita, letteralmente. E si vede, è evidente, tutti lo sanno. Solo l’odio può motivare l’inflizione di tanta sofferenza.
    A volte quella condanna è una condanna a morte, una condanna che è eseguita da qualcuno che ha nome e cognome, che non è affatto un folle ma che è un assassino, punto e basta. Ma la condanna già pendeva su di noi prima di lui, sono millenni che è lì. Smettetela di fingere di non vederla. Smettetela di fingere di non vedere la nostra sofferenza. Guardatevi dentro. Riconoscete il vostro odio e rifiutatelo, annientatelo. Liberatevene. Lo potete fare, ora.
    Cominciamo così, e poi andiamo insieme da chi quell’odio ce l’ha insegnato, da chi ce l’ha fatto ingoiare a forza da quando siamo nati – la famiglia, la scuola, la chiesa, il mondo del lavoro, della pubblicità, dell’informazione, della cultura – perché non accada mai più.
    E grazie a te, Loredana, per la rabbia. Ne ho tanta anch’io.

  6. Si continua a ripetere che bisogna partire dalla scuola, ma se i docenti universitari che formano gli insegnanti ai tirocini formativi sono gli stessi che escludono le donne dai convegni, e le poche donne cooptate nella formazione didattica dei futuri docenti sono vessate da ricatti inauditi… All’insegnamento oggi in Italia si arriva dopo avere visto tutto schifo possibile, con quale energia e con quale cultura gli insegnanti oggi possono farsi carico di educare alla parità di genere?

  7. il problema vero sono gli uomini che “vogliono la mamma” anche a trent’anni e credono che la compagna debba sostituirla e alcuni di questi scelgono di diventare crudeli e distruttivi. I genitori di questi uomini (tutti e due i genitori, intendo) hanno le loro responsabilità ma fino a un certo punto, perchè a un certo punto si cresce e siamo noi che dobbiamo essere responsabili della nostra educazione. Non so che altro dire, questi fatti mi fanno star male

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