IL PROGRAMMA DEL MOVIMENTO 5 STELLE

E’ stato uno strano agosto, che in gran parte ho trascorso a studiare i programmi delle forze politiche (sapendo perfettamente che qualcuno, ad articoli pubblicati, avrebbe detto: “avrebbe potuto LEGGERE IL PROGRAMMA”. Pazienza). Strano perché nella gran parte dei casi mi mancava qualcosa: la narrazione, già. Una commentatrice di Facebook, due giorni fa, ha strillato che la parola non è compatibile con la politica. Invece no. Narrazione e politica dovrebbero andare insieme: non per ingannare, ma per ampliare gli sguardi. Fino a non molti anni fa era possibile, oggi no. Per me non è faccenda secondaria, per altri forse è trascurabile. Comunque sia, alla luce di queste breve considerazioni, l’articolo per L’Espresso sul programma del Movimento Cinque Stelle.

 

“Solo la dittatura non ha bisogno di retorica” è il titolo della prefazione di Umberto Eco a un libro importante che uscì nel 2011, Parole al potere. Lo scrisse un fine critico letterario come Gabriele Pedullà, antologizzando sessanta discorsi politici italiani tra il 1861 e il 1994. Il concetto espresso in quel titolo viene da lontano: lo enunciò, in una delle prolusioni all’Università di Pavia del 1804, Vincenzo Monti, ricordando che il recte dicere è il correlativo indispensabile del recte agere: “l’arme della parola è una potenza conservatrice dei diritti del cittadino”. L’arme della parola politica ha spesso affascinato i letterati: Carlo Dossi voleva scrivere un’opera sulle discussioni parlamentari, e Francesco De Sanctis, in La giovinezza, confessava le ore passate a leggere quei discorsi: “Quelle letture mi facevano tanta impressione, ch’io ne parlavo con tutti, in ogni occasione, e faceva dei soliloqui, perché nessuno leggeva i giornali. Io avevo tale memoria, che spesso ripetevo punto per punto qualcuno di quei discorsi… io stesso sentiva un’ammirazione letteraria per quei potenti oratori”.
Ora, immaginate il giovane Francesco De Sanctis che legge il programma del Movimento 5 stelle, lo scorre fino in fondo e poi dice: “bello, ma potevate spiegarlo almeno un po’?” (lo so, non avrebbe detto esattamente così, ma siate indulgenti). Perché i contenuti di “Dalla parte giusta” sono nei fatti elencazioni. In certi casi assai lodevoli, sia detto: la parità salariale, l’equiparazione dei tempi di congedo di paternità e maternità, il cohousing per gli anziani, matrimonio egualitario e legge contro l’omotransfobia, educazione sessuale e affettiva nelle scuole, Ius Scholae.  Ma non viene enunciato il progetto, l’intento ultimo (Cuore e Coraggio, le parole del sottotitolo, non costituiscono un progetto, ma una postura). Né si spiega come si intende attuare quel che si propone.  Per esempio, sul capitolo ambiente (che dovrebbe essere il centro di tutti i discorsi, ora come ora), si legge: “Tendere a un modello sostenibile di consumo energetico per ridurre le emissioni annue di gas serra”. Bello, direbbe De Sanctis, ma come? Sulla cultura, che è inclusa nel capitolo turismo, si legge: “Misure di protezioni e valorizzazione del patrimonio culturale italiano” e De Sanctis perderebbe la pazienza esclamando ad alta voce: va benissimo, ma quali?
Delle due l’una. O gli estensori del programma sono lettori accaniti dello Zibaldone di Giacomo Leopardi (“le orazioni fatte oggi a’ parlamenti o da niuno si leggono, o si dimenticano di là a due dí”) e non si curano di precisare. Oppure non ci sono ancora idee concrete su come realizzare il programma.
Suppongo che molti elettori protesteranno perché qui si sta dando importanza alle parole e non ai fatti. Giustissimo (o quasi), guardiamo i fatti.

Primo fatto: il M5S ha governato per l’intera legislatura (tuttora non ha ritirato la sua rappresentanza nel governo, e ha ancora, per dire, una sottosegretaria all’istruzione) e l’ex presidente del consiglio ha scritto, o recepito, le prime due versioni del PNRR, che è rimasto molto simile, se non quasi identico, a quello del suo oggi dimissionario successore (Draghi, rompiamo la regola del nominare i politici per una volta). L’osservazione non è peregrina, come si vedrà.
Secondo fatto. Nel programma si propone il limite dei due mandati esteso a tutti i partiti. Non so cosa ne pensino i costituzionalisti, ma a chi scrive viene in mente che forse un elettore dovrebbe avere il diritto di scegliere chi può rappresentarlo, se rimaniamo tutti dell’idea che il Parlamento sia il luogo delle migliori professionalità e competenze: inclusi coloro che sono presenti da tre o cinque legislature e dunque hanno acquisito quelle competenze con la pratica.
Terzo fatto. Il penultimo punto parla di migranti, proponendo genericamente di predisporre un meccanismo comunitario per definire la gestione dei flussi migratori, di combattere la tratta di esseri umani, di rafforzare le politiche di inclusione. Però nei due governi del candidato leader sono stati reiterati gli accordi con la Libia sottoscritti da Minniti, che non sono esattamente un modello di cui far vanto (chiedere a papa Francesco un parere in proposito, e già che ci siamo chiedere anche a De Sanctis, che, condannato all’esilio, riuscì a riparare da profugo prima in Piemonte e poi in Svizzera, e forse di questi tempi sarebbe stato riconsegnato ai Borboni).
Il quarto fatto riguarda la scuola (ci si perdoni se si insiste spesso su questo punto, ma qui si ha la convinzione che sia centrale). Le proposte sono: adeguamento degli stipendi degli insegnanti ai livelli europei, psicologi e pedagogisti, una scuola dei mestieri per valorizzare e recuperare la tradizione dell’artigianato italiano, aumentare i fondi per università e ricerca. Ora, nel secondo mandato il candidato leader, se non ricordiamo male, ha messo nel PNRR 28,5 miliardi di euro, meno della metà dei fondi necessari alla scuola per il dimensionamento delle classi, l’assunzione del personale necessario, appunto l’adeguamento degli stipendi. Solo per la messa in sicurezza degli edifici servivano, e servono, oltre 19 miliardi.  Inoltre, 11,77 miliardi erano sotto la voce “Dalla ricerca all’impresa”, che sembra essere la solita caramellina avvelenata della scuola come riserva di caccia dell’industria. Il che ad alcuni potrà anche sembrare “produttivo”, ma che contraddice, ancora una volta, quello che la scuola dovrebbe essere, e forse la società stessa dovrebbe essere, invece di reiterare un sistema che fa credere agli individui di essere gli unici responsabili della propria sorte: se la tua vita va bene, sei un bravo imprenditore di te stesso, se va male, è ovviamente colpa tua.

Questo non è un fatto? Fingiamo che non lo sia: ma per tornare alla parte del programma che riguarda la scuola, sembra buffo parlare di adeguamento degli stipendi se prima sono stanziati pochissimi fondi. Ed è non buffo ma sconcertante che non si parli, di nuovo, di liceo di 4 anni, di tagli futuri agli organici, aggiornamento a punti, classi pollaio, precarietà strutturale di una parte importante del personale docente, eccetera. Insomma, come si fa a proporre qualcosa che non è stato fatto quando si poteva farlo? In base a quale finalità? A quale progetto?
Per questo le parole servono: per spiegare, illustrare e anche rispondere alle contraddizioni. Le parole sono uno sciame d’api, scrisse la poetessa Anne Sexton. A non volerle usare, e usare bene, pungono.

 

 

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