IL SUO COCCHIO UN GUSCIO DI NOCCIOLA: SULLA NOCCIOLIZZAZIONE DEL CENTRO ITALIA

Lo so, lo so: tornando da quattro giorni di Gita al Faro e di Ventotene bisognerebbe cominciare la settimana con un post sorridente. Eppure, è proprio la permanenza nell’isola che mi fa pensare a quanto sia necessario svuotare dall’interno ogni stereotipo, calarsi nello spirito del luogo e della storia. E abbattere la retorica.
Già, la retorica. Vi ricordate quella che riguarda le brave e buone genti dell’Appennino, quelle che hanno lo spirito di sacrificio degli avi contadini, quelli che testa bassa e lavorare? Quella. Non molto tempo fa fu Giuseppe De Rita a ritirare fuori l’anima rurale dell’Appenino, in questo articolo. Ma, come fece notare all’epoca Terre in Moto Marche, De Rita aveva realizzato lo studio sulle “10 tribù” dell’Appenino per la Fondazione Merloni, e insomma a quanto è dato capire le tribù sarebbero state felicissime di accogliere i famosi noccioleti della Ferrero, 500 ettari in 5 anni.
Ecco, grazie a un bravo giornalista come Stefano Liberti e a Internazionale, oggi sappiamo qual è il costo:
“Anche grazie al sostegno della regione Lazio, la Ferrero punta ad aumentare qui le superfici di altri diecimila ettari entro il 2025. Così nuovi impianti stanno proliferando, occupando zone dove normalmente gli alberi non c’erano. “Questo piano sta portando alla radicale trasformazione del paesaggio e a un’irreversibile perdita di biodiversità”, dice Famiano Crucianelli, ex sottosegretario del ministero degli esteri, oggi presidente del biodistretto della via Amerina e delle Forre, un’area che interessa tredici comuni della bassa Tuscia e dei monti Cimini. “La nocciola è una grande risorsa per questa zona, ma va coltivata nel rispetto dell’ambiente. Qui si fa un uso eccessivo di chimica e si sta compromettendo un territorio intero, convertendolo in una monocoltura”.
Il piano di espansione ha portato a una polarizzazione senza precedenti: da una parte il biodistretto e un pezzo di società civile più sensibile ai temi ambientali, dall’altra le principali organizzazioni dei produttori, che accusano i primi di avere una visione romantica dell’agricoltura e di non conoscere i fondamentali della produzione.”
(…)
“L’aumento della produzione negli ultimi anni ha portato a una pesante eutrofizzazione delle acque, determinata dalla presenza di fosforo e azoto, che sono elementi costitutivi di fertilizzanti e pesticidi. Oggi il lago di Vico è in uno stato comatoso”, spiega Giuseppe Nascetti, direttore del dipartimento di ecologia e biologia dell’università della Tuscia. Nel suo studio, il professore mostra delle mappe che registrano l’andamento delle sostanze nelle acque del lago, con la conseguente variazione della flora e della fauna. Il docente, che ha condotto studi trentennali nell’area, lancia oggi un avvertimento: “Bisogna considerare produzioni più sostenibili, ragionare insieme a tutti i soggetti interessati per portare avanti un sistema di sviluppo più in equilibrio con l’ambiente. Abbiamo parlato con la Ferrero qualche anno fa, per lanciare un progetto pilota con effetti meno negativi sull’ambiente, ma alla fine non se n’è fatto nulla”.
Il dilemma sembra quello ricorrente in agricoltura: la scelta tra un modello di produzione che garantisce un buon reddito agli agricoltori ma ha un certo tipo di impatto e uno con rese minori ma più in armonia con il territorio. “Qui nella Tuscia la Ferrero persegue una logica estrattiva, non valorizza il nostro prodotto e si rifiuta di comprare nocciole biologiche, orientando tutta la produzione verso il convenzionale e l’uso pesante di fitofarmaci”, continua Crucianelli.”
Inoltre, della produzione forzata delle nocciole si è occupato, sempre per Internazionale, Angelo Mastrandrea:
““C’è una correlazione tra l’esposizione a erbicidi, insetticidi e fertilizzanti e l’aumento di alcune malattie come i tumori del sangue, anche in età infantile”, ha detto la dottoressa Antonella Litta dell’associazione Medici per l’ambiente. Gabriele Antoniella del comitato Quattro strade ha spiegato che “saranno penalizzate quaranta aziende che hanno investito sull’altopiano puntando sulla qualità dei prodotti””
Alice Rohrwacher lo ha denunciato su Repubblica lo scorso 31 gennaio. Ora, prima che anche le Marche diventino un’immensa nocciola, sarà il caso di ripensarlo, il benedetto spirito contadino dei luoghi? Buon lunedì.

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