Ho conosciuto una collega. Abbiamo parlato di discriminazioni di genere. Lei mi ha raccontato la sua storia, che è riassunta in questo lancio d’agenzia. Fra pochi giorni ci sarà una nuova pronuncia sul caso. Ve lo porgo.
ROMA – Lei fa la giornalista, lui ha un lavoro impiegatizio. Sono sposati ma il matrimonio dopo 16 anni entra in crisi, lui decide di separarsi. Lei, per lavoro, è costretta ad andare fuori città. Lui è invece ”stanziale”, ha orari di lavoro fissi. Una situazione che ha portato il presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Roma ad emettere un provvedimento con il quale affida i figli, un coppia di gemelli di 9 anni, al padre a ”causa” del lavoro della madre, una freelance romana di 44 anni. Ma la donna annuncia ricorso contro una decisione che considera ”fortemente discriminatoria”.
”In considerazione da quanto emerso nel corso della consulenza tecnica – scrive
il Tribunale nel provvedimento – prestando il padre un’attività lavorativa con orario stabile e prevedibile, al contrario della madre che svolgendo la professione di giornalista, pur avendo molto tempo libero, è a volte soggetta ad impegni imprevedibili che possono tenerla anche per lunghi periodi lontana da casa”.
Alla luce di ciò il giudice scrive che ”pare preferibile nell’interesse di minori disporre che essi vivano stabilmente con il padre nella casa coniugale e vedano liberamente ogni giorno la madre con facoltà libera di pernotto”. Il tribunale, inoltre, ha stabilito che sia il padre a rimanere nell’abitazione, che i due possedevano in comproprietà, in quanto la ”capacità reddituale della moglie è maggiore di quella del marito”.
”E’ una decisione assurda – spiega la donna che annuncia di aver già presentato
ricorso – fortemente discriminante nei miei confronti. Di fatto viene affermato un principio secondo cui se sei giornalista e donna non puoi fare la mamma. Le mie trasferte sono poche e diradate nel tempo. Non avendo una redazione fissa utilizzo casa come ufficio e quindi sono sempre presente. Il giudice, infine, ha stabilito che io possa vedere liberamente i bambini ma solo con il permesso del mio ex marito, cosa che non è mai avvenuta”.
Onestamente non mi pare che nelle frasi riportate nel provvedimento sia presente, direttamente o indirettamente, la motivazione donna + giornalista. Al contrario, a occhio e croce mi sembra una decisione sensata ed equilibrata, ma non voglio fare come il pubblico a Forum!
Bisogna aggiungere che in genere sono molto più frequenti le discriminazioni di segno contrario: i figli e la casa alla moglie, il marito a remengo. Bisognerebbe cercare di resistere fino alla maggiore età dei figli, dove possibile (a parte i casi di conclamate violenze), per poter procedere alla spartizione dei beni in modo più pratico ed equo e lasciar decidere ai figli con chi stare. Così parlò Angelinustra.
Se gli elementi a disposizione del giudice sono effettivamente questi la decisione non è affatto assurda. A meno che si ritenga che (come materialmente avviene nella maggior parte delle sentenze del genere) la madre in quanto madre debba essere in ogni caso privilegiata.
Conosco diverse situazioni simili a parte rovesciate e nessuno parla di discriminazione di genere.
Se poi il marito impedisce alla donna di vedere i figli, questo è ovviamente un altro paio di maniche: è cosa odiosa, che va immediatamente risolta.
Tre pareri maschili, e va bene. Rovesciamo la prospettiva. Qualora fosse stato il padre il giornalista soggetto a impegni imprevedibili, professione e quantità di tempo disponibile non sarebbero probabilmente stati gli elementi che avrebbero pesato nella decisione. Non sto chiedendo al commentarium di esprimersi pro o contro: questa non è la sede nè per giudicare, nè per difendere il proprio genere sessuale di appartenenza. E’, semmai, una riflessione su quanto svolgere una professione che richiede impegno sembri entrare in conflitto con la maternità.
Riusciamo a discutere su questo?
Nel merito della decisione del giudice sull’affidamento non entro, immagino che in poche righe sia difficile riportare tutti gli elementi che sarebbero necessari per farsi un’opinione fondata. Rispetto alla casa, non mi pare di ravvisare alcuna discriminazione: fino a oggi è semmai avvenuto il contrario, ma la legge non parla di uomini e donne, parla di capacità reddituale. E quindi dov’è lo scandalo, se una donna – guadagnando di più – è chiamata a sobbarcarsi lei il disagio maggiore? Il problema, semmai, sta nell’atteggiamento del marito che non consente alla madre di vedere liberamente i figli: è una cosa meschina e dannosa per i figli in primis, oltre che per la madre. Un problema da risolvere al più presto.
Loredana sono perplessa. Il problema è che se tutto quello che dice il giudice è vero – e non è sempre così in questo tipo di sentenze – la decisione potrebbe non essere così discriminatoria, ma anzi giusta verso i bambini e verso una moderna accezione di genitorialità responsabile – dove i figli non hanno necessariamente bisogno di femmine, ma soprattutto di tempo e di sicurezza. Se tra le due professioni è stata considerata più stabile e affidabile quella del padre e se il padre era quello economicamente svantaggiato – non trovo la sentenza discriminatoria men che mai reazionaria, ma vicina agli interessi dei bambini.
Al di la delle implicazioni personali che ci saranno e che secondo me si servono della prole, sentimenti misti che non si devono giudicare in cui c’è amore, ma anche una specie di oscura competizione, usando la questione per il nostro punto di vista mi sebra ambigua e preoccupante per noi, quel tipo di femminismo che disconosce un cambiamento nella struttura familiare, e una rinegoziazione dei ruoli della coppia.
Loredana una professione che chiede molto tempo entra in conflitto con la genitorialità, di entrambi. La prospettiva sessista di solito nega non tanto il materno alla madre, ma il lavoro. Io ho lavorato al telefono rosa e ho visto difendere madri indifendibili e appoggiate dai tribunali. Invece nascono associazioni di padri separati che si vedono costantemente negati i diritti di paternità. Se questa sentenza riferisce di cose reali si io la trovo equa a prescindere dai generi.
Mi trovo d’accordo con Zauberei, in entrambi i suoi commenti.
Anche a me sembra una sentenza equa. E non mi sembra molto adatto partire da una sentenza così personale per discutere di lavoro e maternità, argomento di cui qui si è parlato giustamente tante volte ma senza scendere in una situazione così privata…
Per uscire dall’equivoco: ripeto che non si tratta di padri contro madri. E’ una riflessione sulle motivazioni che riguardano “tempo” e “genitorialità”.
però tu stessa hai proposto di rovesciare la prospettiva sopra no? hai detto “se il padre etc etc … non ci sarebbero stati problemi”. Ma in che senso? Perchè non è da credersi che un padre giornalista con pochissimo tempo, si vede affidare un figlio co tu sta disinvoltura…. capirai è già un eccezione se li affidano e punto! E penso anche che non sia così sbagliato pensare la questione in una prospettiva di genere, perchè la rinegoziazione dei ruoli passa anche da queste sentenze, per cui secondo me discuterne va più che bene.
Invece sulla questione tempo e genitorialità per me è molto grave, è un torto che si fa alle persone e alla loro vita il fatto che esistano tante professioni che ti ricattino per cui o lavori 11 ore o sei disoccupato. Ho amici che vedono i figli di due, tre anni, un’ora al giorno. Non fanno mestieri particolari – fanno che so, la commessa per esempio, l’impiegato in un’azienda, e non riescono a uscire da questo triste ricatto e secondo me per i figli questo non è bello. Magari non è tragico, certo che non lo è – sono altri i traumi. Ma se uno dei genitori sta più a casa – in caso di separazione quella deve essere la casa.
Tutte le situazioni sono personali e private. Ogni caso è unico. Secondo questo principio allora non si potrebbe discutere di nulla.
Io invece di problemi ne vedo, e diversi. E anche le reazioni qui sopra, mi paiono sintomatiche. Molte delle quali dicono, ad esempio, che forse non abbiamo tutti gli elementi, ma poi si affrettano a definire “equa” la sentenza.
E allora ce li abbiamo o no, i famosi elementi.
Oppure quelli che si fiondano a ricordare le discriminazioni subite dai padri in circostanze forse analoghe.
Sì, accade anche questo, ma che vor dì?
Per me la questione del lavoro come è messa giù lì è molto debole e per nulla sufficiente. Altro che equa e convincente.
E gli elementi mancano, eccome.
Tipo al volontà dei bambini, per esempio.
O un’articolata motivazione sul perchè occorra il permesso del padre per le visite. E altro.
Insomma, ve la dico brutale. Non parlate a cazzo.
L.
Io credo che quando si finisce a mettere in mezzo un giudice in questioni del genere un certo grado di ingiustizia sia inevitabile. Il giudice agirà ovviamente in base ad assunti che poco hanno a che fare con il caso specifico e che derivano da principi generali tipo “il genitore migliore è quello che ha un lavoro più stabile”. E’ un pregiudizio, certo. Quando un tribunale si occupa di queste cose, mi pare che tenda sempre a privilegiare il genitore che più corrisponde a uno stereotipo di stabilità da Mulino Bianco. Forse sono troppo pessimista e anarcoide, non so
Luca – se si decide di parlare di qualcosa si deve capitolare di fronte alle informazioni che si hanno – e giudicare quelle informazioni, che per altro sono piuttosto importanti. Inoltre quando c’è l’esperienza di situazioni del genere, si l’esperienza partecipa al modo di riflettere. Poi se i dati mancanti (tipo la volontà dei bambini che è hai ragione importante chi sa come mai non è citata) aggiungessero dei dati nessuno morirebbe per dover correggere il tiro. Ora questo c’è e con questo si discute.
Io trovo che sei tu quello che parla a cazzo, perchè non hai mai la forza di ascoltare gli altri, li devi sempre liquidare in maniera aggressiva.
Concordo con il pessimismo di Adrianaaa. Totalmente.
Però mi chiedo…perché la madre deve chiedere il permesso all’ex marito per vedere quelli che sono anche i suoi figli, se il giudice ha detto che li può incontrare liberamente? E’ questo che non mi torna…
Zauberei,
è chiaro che hai pieno diritto a qualsivoglia opinione e affermazione.
Come lo è nel mio considerare ridicole, oltrechè false, quelle che esprimi nei miei confronti. In ogni caso, non c’è problema e non faccio l’offeso perchè a me piacciono i confronti veri e non il bon ton dei paraculi, che non ritengo in alcun modo una forma di rispetto degli altri, ma proprio il contrario.
Sul caso in questione, ti faccio notare solo una cosa, in forma di domanda.
Se uno ha un lavoro fisso a 4 km da casa che lo tiene impegnato dieci ore al giorno, 12 mesi all’anno, ha più tempo, per famiglia e vari, di uno che a casa ci sta dieci mesi, e per due è fuori per impegni di lavoro?
Besos,
L.
OK, ma se non é un certo tipo di stabilitá a dover essere tenuta in conto in decisioni del genere, su cosa si dovrebbe basare l´affidamento? Ogni situazione é diversa, vero, ma mi aiutate a capire dove si coglie qui l´elemento discriminante?
Io sono d’accordo con Adrianaaa, in questo caso specifico, dovendo ricorrere ad un giudice si è costretti a restringere i vastissimi casi specifici di ogni famiglia nelle modalità previste dalle leggi, che ahi noi sono spesso fallaci e monche. Questo a prescindere dal sesso del genitore affidatario, a dire il vero per esperienza personale seguendo questo stesso principio “del genitore con maggior tempo stabile a disposizione” ho visto bambini affidati a madri che Crudelia Demon in confronto è la Montessori!
Chiaramente un giudice o il tribunale dei minori non può, causa cronica mancanza di tempo e di soldi, osservare dall’interno le dinamiche familiari per stabilire quale sia la decisioni migliore per i bambini, però non sarebbe un’idea così assurda.
Forse aver introdotto l’argomento tempo e famiglia o tempo e figli con questo racconto ha un po’ spiazzato il commentarium:)
ma per aggiustare il tiro, mi capita spesso di leggere il bellissimo blog di fefo Congedo parentale e di confrontarlo con la nostra realtà, infondo mi dico se loro ci riescono non è impossibile, spostare riunioni, anticipare o posticipare orari per seguire i figli, ottenere permessi sensati, non avere pregiudizi mammocentrici che fanno da alibi per scaricare tutto il lavoro sulle donne. Non so se sia colpa della burocrazia, dell’ottusità e dell’egoismo di buona parte della classe dirigente e politica del nostro paese, della paura che ci blocca che ci rende pavidi nelle nostre richieste!
Quoto entrambi i commenti della Zauburei. Mi pare che al genitore con il lavoro più impegnativo venga data comunque la possibilità di vedere i figli come e quando vuole. Quello con gli orari più stabili e con meno disponibilità economica ha diritto alla casa – fino ad ora tocca alle donne perché in genere rinunciano o non hanno redditi più alti di quelli dell’ex coniuge. Al di là del singolo caso, però, non si può contemporaneamente sostenere che gli uomini se ne lavano le mani dei figli e delle responsabilità di cura e poi arrabbiarsi quando viene loro riconosciuta, nella pratica, la possibilità di esercitare queste qualità. Non è una sentenza discriminate sul genere. Mi sembra tenga in conto la genitorialità di entrambi. Sì è triste che le persone abbiano poco tempo da passare con i figli ma questo capita ai maschi e alle femmine ed è relativo all’organizzazione economica del nostro mondo.
@ sergio, il padre non facendo vedere i figli alla madre è nel torto perchè il giudice ha stabilito che li debba vedere, il permesso esiste perchè il padre possa decidere (In teoria insieme all’ex-moglie) quando e come sia meglio che li veda, ma non per vietare, è diciamo un principio organizzativo che non può essere usato come ricatto o vendetta, ed è stato introdotto per evitare che il genitore non affidatario faccia il bello e il cattivo tempo nuocendo alla quotidianità dei bambini
[…] una riflessione su quanto svolgere una professione che richiede impegno sembri entrare in conflitto con la maternità […]. Mi pare un argomento importantissimo, ma non mi riesce di essere particolarmente originale in materia. Magari, senza alcun intento di rivalsa, parlerei di genitorialità, perché anche a me non fa piacere passare con i miei bimbi (da svegli) non più di due ore al giorno, e al ricatto devo sottostare non tanto per carriera, che non mi interessa più, ma semplicemente per guadagnare abbastanza da poter dare loro le cose di cui necessitano. E’ giusto? Penso di no, e comunque frustrante lo è di sicuro, per me, per mia moglie (sottoposta a ricatto analogo) e per i bambini. Fossimo in un paese diverso uno potrebbe immaginare soluzioni come il telelavoro, che però non è applicabile a tutti… E quindi non so, confesso di non avere idee. Se qualcuno ne ha, mi piacerebbe conoscerle. A me viene in mente un’unica cosa, e cioè che questo tema non è purtroppo considerato una priorità. Lo fosse, probabilmente a furia di spremerci qualche souzione la troveremmo. Non essendolo, le cose restano come sono. Per le mamme e per i papà.
argomento delicato assai.
sicuramente la fase storica è difficile, i Tribunali faticano a seguire l’evolversi della famiglia, le nuove famiglie, e non aiutano a creare nuove soluzioni. L’immaginario non aiuta. Non aiuta a pensare famiglie nuove, nuove relazioni, concordo con chi fa riferimento alla famiglia “mulino bianco” come immaginario di riferimento. Penso sempre che servirebbe qualche nuovo film cui riferirsi come esempio.
Ma seguo il tema proposto da Lipperini: lavoro e maternità. E mi chiedo: i bimbi hanno 9 anni oggi. Fino ad oggi quanto è stato “comodo” il lavoro non fisso della madre? E mi chiedo: sicuri che la madre non abbia coltivato questo genere di “instabilità” anche per permettersi una famiglia? e di seguire i figli?
Quanto la libera professione femminile è penalizzata dalla maternità?
Per mia esperienza: moltissimo!
Possibile che non si possa pensare ad una genitorialità che non sia scandita dagli orari di lavoro?
Quante donne lasciano il lavoro, non riprendono dopo la maternità proprio perchè vincolate ad un unico modello di presenza domestica? perchè solo ai tempi “impiegatizi” è riconosciuta stabilità?
Io vedo stabile anche la persona che in un lavoro svincolato dagli orari. Penso alla Marina Terragni, giornalista, che della possibilità di lavorare da casa e di non avere orari vorrebbe fare un modello sociale (che per inciso non sempre condivido).
“Di fatto viene affermato un principio secondo cui se sei giornalista e donna non puoi fare la mamma”…in questa frase c’è un “donna” di troppo, almeno a giudicare da quanto scritto nel post. Riguardo al resto direi che gli elementi per poter giudicare sono pochi, a meno di voler credere che “Le mie trasferte sono poche e diradate nel tempo” sia stato dimostrato ai giudici con sufficiente certezza.
Bravissima Elena io avrei anche un’altra domanda, perché in un paese che ti “costringe” a lavorare anche il sabato e la domenica i servizi alla famiglia finiscono il venerdì? io e il mio compagno lavoriamo spesso entrambi di domenica e abbiamo orari molto dilatati, una delle domande che ci facciamo più spesso è: “Ma noi questo bimbo che tanto vogliamo dove lo lasciamo in settimana fino alle 10 di sera e la domenica quando lavoriamo?” la baby-sitter è economicamente impossibile, un nido non basta, i nonni avranno diritto a godersi la loro vita e il loro tempo libero.
Risposte non ne abbiamo e il Mulino Bianco è una galassia lontana anni luce!!
scusate il pessimo italiano con cui ho scritto il commento sopra, il multitasking oggi non funziona
Il mio punto però resta quello, c’è un mondo del lavoro e anche una società che chiede da tutte le parti la “flessibilità”, che in Italia è sempre e solo sinonimo di precarietà. In quella flessibilità sguazzano per un sacco di ragioni le donne. Che diventano maestre nel gestire più cose contemporaneamente. Poi però questo diventa un’arma contro di loro: sono instabili. Perchè hanno lavorato precariamente o perchè non hanno lavorato, c’è sempre un modo per farne una colpa.
In questo contesto anche il riferimento al denaro del lancio di agenzia è significativo. Lei guadagna di più, a volte è un’accusa: lei pensa a lavorare e a guadagnare di più, non alla cura dei figli. E’ solo uno stereotipo.
Se la consulenza avesse a che fare con la cura, la capacità genitoriale o altro, allora avrebbe un senso (e spero davvero che ci sia altro), ma se l’unica giustificazione del provvedimento è il tipo di lavoro, allora è un precedente pericoloso: si applica a tutte le libere professioniste e manda il messaggio che una madre può fare solo determinati lavori o – meglio – stare a casa ad accudire.
I dati parlano chiaro, le separazioni aumentano, ma non si crea una cultura della fine del rapporto, si idealizza il matrimonio e si colpevolizzano le separazioni, ma esistono, in ogni paese e bisogna farci i conti.
mi sembra una decisione ragionevole. Ragionevole anche che la madre dia battaglia, immagino che abbia le sue ragioni e voglia farle valere. Non ravvedo discriminazioni. La casistica dei padri effettivamente discriminati invece è INFINITA. Gli avvocati matrimonialisti/divorzisti ne sanno qualcosa. un titolo, fra tanti casi sotto gli occhi di tutti noi, tutti i giorni.
Di domande ce ne sono svariate – e non tutte gradevoli. Trattasi di pareri del tutto personali: 1) i pochi servizi rimasti con orario immutato sono quelli legati allo stato o al parastato. Non che io brami di comprarmi la biancheria intima alle 4 del mattino tuttavia il supermercato aperto la domenica, il negozio con l’orario allungato sono comodi, visto che sono disponibili quando il mio tempo lavoro è cessato. Per disgrazia, chi in questi luoghi ci lavora deve organizzarsi la vita e la genitorialità sui tempi del lavoro. Me ne scuso ma mi pare che solo chi lavora in banca, all’anagrafe e alla scuola ha ancora gli orari degli anni Cinquanta e le conseguenti garanzie (a meno che non si tratti di precari). Un genitore che lavora a casa non significa di necessità un genitore con più tempo da dedicare alla prole. Mia nonna era sarta e lavorava in casa, quando lavorava però lavorava e non poteva “perdere tempo” a giocare con i suoi figli. Certo, in caso di necessità, poteva lavorare di notte con l’ottimo risultato per la prole di ritrovarsi un genitore straccio. Quindi non è che il telelavoro risolva sempre moltissimo.
A me sembra che la sentenza rovesci un pregiudizio: quello di una genitorialità maternocentrica. E vorrei capire perché questo ci irrita parecchio il sistema nervoso.
Ci ho messo un po’ prima di capire cosa non mi tornava in questa sentenza che all’apparenza è infatti ragionevole.
Mi spiego male ma vorrei dire due cose: la prima è che l’affido dei figli alla madre è una conquista abbastanza recente, anche in Italia. Ancora in molti paesi del mondo l’affido dei bambini viene di fatto dato al padre per diversi motivi, dalla maggiore importanza della patrilinearità al fatto che in genere gli uomini hanno una stabilità economica maggiore delle donne.
Ora sono d’accordo anche io che bisognrebbe tendere a un modello di famiglia diverso in cui madre e padre condividono a pari grado l’educazione dei figli ma sono anche convita che non ci siamo ancora arrivati e ne siamo invece assai lontani, a livello di società. Mi sembra quindi che questa sentenza invece di portarci avanti in questa direzione ci porti indietro, noi donne, ovvero ad avere meno diriti o ad avere diriti condizionati da altro, in questo caso dal tipo di lavoro. Cioè ci riporta a dover condizionare la nostra vita e le nostre scelte sui figli: se vuoi un figlio allora puoi fare questi tipi di lavoro, che vanno bene, mentra questi altri lavori no. Questo non verrà mai chiesto a un uomo, secondo me.
Fermo restando che poi in questo tipo di decisioni vanno guardate anche altre cose, come il reale rapporto tra figli e genitori, che è più importante della mera stabilità economica e di orario.
So che è un pensiero un po’ confuso e me ne scuso. Ma mi viene da dire che prima di cedere un diritto acquisito così faticosamente vorrei in cambio una società effettivamente paritaria.
“se vuoi un figlio allora puoi fare questi tipi di lavoro, che vanno bene, mentra questi altri lavori no. Questo non verrà mai chiesto a un uomo, secondo me.”
ecco, questo è il punto…chi si intende di separazioni, affidamenti ecc. sa se in effetti la custodia alla madre si motiva principalmente col fatto che il padre ha un lavoro più irregolare e impegnativo? Io non ne so granché, ma sinceramente non l’ho mai sentito dire…O meglio ho sempre dato per scontato che ci fosse l’idea che il Genitore n°1 è la madre (ed è anche logico che finisca per diventarlo, se è a lei che si chiede di sacrificare il suo lavoro oppure il suo tempo libero per la cura dei figli).
Ho letto adesso i commenti di elena, migliori del mio. che condivido in pieno.
A me sembra comunque che ci sia fin dall’inizio della dichiarazione della donna riportata, ma anche in alcuni commenti, una specie di pregiudiziale di fondo che non condivido. Una specie di cosa per cui a lei doveva toccare comunque l’affido dei figli. E siccome questa cosa non ci è stata allora la si punisce perchè è donna che lavora.
Funziona così: se le donne sono sempre vincolate alla maternità la prospettiva femminista dice che ah puarette non sono libere. Se una certa sentenza dice i figli sono col padre perchè ha un lavoro più stabile etc, ah puarette si nega la maternità. C’è una pregiudiziale verso il tribunale perchè si decide che è sessista di defoult e verso il padre perchè si decide che le madri vogliono l’affido perchè sono buonine, i padri perchè sono competitivi. Ora io non voglio parlare di questo caso, perchè come hanno detto in diversi mancano troppi dati – lo riconosco. Qualcuno (Barbara Spinelli non qui) mi ha fatto anche giustamente notare che c’erano gli estremi per un affidamento congiunto (ma anche qui, non so se lo volevano entrambe le parti in causa, e se le parti in causa erano in grado di sostenerlo) Però, se non la smettiamo co sto atteggiamento vittimista, e non cominciamo a riconoscere il fatto che oltre ai padri stronzerrimi, ci sono quelli che insomma vero, vorrebbero farli i padri, e a tenere questi padri nel panorama dei giudizi che diamo, sarebbe meglio. Anche perchè in Italia di bambini affidati ai padri ce n’è ma veramente pochi, quindi perchè vedere un tipo di discriminazione di genere che è insolito per il nostro contesto?
Infine – un sacco di uomini, al momento, spesso molte donne si fanno un mazzo tanto per garantire ai figli un tetto e roba da mangiare. Basta fare l’operaio in una località lontana da casa, la commessa o che. Basta un po’ di lontananza per esempio abitare a Monterotondo e avere un lavoro nel centro di Roma. Ora nella prospettiva dell’interesse del bambino, non vale l’affido come premio di buona volontà – specie quando i genitori di buona volontà sono due. Se uno dei due ci ha un lavoro più impegnativo, per la distanza per il tempo, o meno affidabile si è giusto che il figlio vada a quell’altro. Non so se mi sono spiegata.
Zaub, la discussione mi sembra importante, e questo spiega il mio post, perche’ mi sembra che evidenzi molto bene quanti e quali fantasmi aleggino in ognuno di noi. Basta leggere i commenti con attenzione e calma, e possibilmente de-personalizzando.
questo giudizio rovescia tra l’altro il pregiudizio maternocentrico, come scrive barbara, cosa che dovrebbe, se mai, renderci contente. Assume, cioè, il punto di vista dei figli, in qualche modo (bisognerebbe sapere se i figli, però, hanno avuto voce in capitolo).
Se poi il padre non consente alla madre di vedere i figli tutti i giorni – come sembra da alcune dichiarazioni dell’interessata – allora la madre sta subendo un’ingiustizia simile a quella che soffrono tanti padri separati oggi. E si batterà.
Loredana capisco – ma posso dirti una cosa amichevolmente? Ogni tanto ci sta bene – ma non è bello ridurre le opinioni delle persone alla personalizzazione, come se le persone non fossero abbastanza competenti da uscire dal proprio punto di vista. Per quanto mi riguarda qui la mia situazione personale non è minimamente chiamata in causa. Ti farebbe piacere sentirti dire che argomenti in questo modo perchè i fantasmi riguardano te in quanto giornalista? Che allora ti identifichi? Nessuno lo fa – sarebbe scorretto. Se non sei d’accordo con qualcuno dei pareri che leggi, argomenta sul perchè, piuttosto che fare infrerenze sul privato di che le scrive.
Ma la “nuova” paternità invocata ogni giorno – per i congedi sul posto di lavoro, per un’equa divisione del lavoro di cura ecc. – non può mica magicamente scomparire quando la coppia si separa… e di colpo si vuol tornare alla madre come unico possibile genitore affidatario di prole e casa coniugale. Quindi mi sembra normale prevedere – e forse persino auspicare – un numero maggiore di figli in affido principale al di loro babbo.
Ma perche’ salti su, Zauberei? Io sto dicendo un’altra cosa. Sto dicendo che per tutti i commentatori, me inclusa, questa vicenda si configura come una cartina di tornasole, a dimostrazione che sulla questione dei generi, del lavoro, della genitorialita’ c’e’ ancora tantissimo da analizzare.
Perchè penso che me rimproveri!
Però ok:)
vorrei aggiungere che qui c’è un padre che vuole esserci. Bene. Lo abbiamo evocato e invocato tante volte. Eccocelo. Ciao, padre.
Una storia molto simile alla mia. Che però sono uomo. Non mi sembra un caso di discriminazione di genere, semmai di provincialismo.
Mah, mi pare che si presti un po’ troppa attenzione al “genere” e poco alla “classe” . Questa sentenza sembra favorire il “proletario” e colpire il “libero professionista”. Notate che il marito è stato “avvantaggiato” anche dal basso reddito e non solo dalla “stanzialità”.
questa è bella! sarebbe la prima volta che un istituzione statale favorisce il “proletariato” rispetto al “libero professionista”.
anche io aggiungerei il punto di vista di classe, accanto a quello di genere. Ma al contrario: mi sa mi sa che la precarietà lavorativa sia più un problema del nuovo proletario che del libero professionista. mi sa.
Quoto l’ultimissimo intervento di Loredana. Giusto ieri ero a teatro e ho visto una commedia senza infamia e senza lode (nel testo – gli attori ci hanno messo l’anima e lo spettacolo era bello) dove una coppia si vede recapitare un bebè in adozione proprio mentre la donna decide di piantare il marito. Seguono equivoci a catena e un improbabile lieto fine. Che c’entra?
Centra perché da una parte lo spettacolo era smaccatamente babbocentrico e solo il papà sembrava felice dell’arrivo del piccolo; dall’altra, se nella commedia i ruoli fossero stati invertiti avrei urlato contro gli stereotipi della donnamadre e del maschio insensibile ecc ecc. Ancora una volta, nessuna rappresentazione semplificata dei ruoli e dei generi ci risulta accettabile. Buon segno, peché vuol dire che ci stiamo abutuando ad approfondire!
Mi sembra importante il punto del post in cui la madre dice di lavorare freelance a casa e di avere tantissimo tempo a disposizione e pochissime trasferte. In questo senso la sentenza potrebbe risultare discriminatoria per la donna freelance. Oppure semplicemente sono stati valutati piú giusti per i figli i tempi più stretti ma più certi del padre. INoltre se al più debole economicamente va la casa questo per l’affidamento pesa visto che i bobini dovrebbero cambiare anche casa…
In ogni caso le questioni aperte sono tante sia sui ruoli gentoriali che sul mondo del lavoro e stabiltà esistenziale ed educativa.
Sarò sciocco ma meglio sarebbe risolvere senza giudici così da farsi carico in primis dei cambiamenti.
D.
I bobini sono i bambini, maledetta tastiera aifón.
Forse le questioni in gioco sono altre e molto comuni a tanti divorzi:
– la disparità finanziaria
– il far vedere i figli o meno come ricatto affettivo
– nessuno che chiede ai bambini cosa vogliono; in Olanda per esempio a partire dai 12 anni il giudice chiede al bambino se vuole abitare con mamma o con papà e ne tiene conto
-l’ affido congiunto, come funziona?
– la casa in condivisione, come dividerla?
Ma siccome questo diventerebbe un discorso ancora più complesso ci fermiamo tutti sul ruolo genitoriale e lavorativo dell’ uomo e della donna in base a quelle che sono nostre idee di base.
In un mondo ideale la madre che si può gestire il lavoro da casa andrebbe a prendere i bambini da scuola per farli mangiare e portarli per attività varie, il padre deroga dai giorni e dalle ore concordati se lei una tantum deve spostarsi. E magari vivono nella casa dei bambini a turno ogni due settimane e si fanno un pied-a-terre da qualche parte per gli altri giorni.
Poi se uno deve per forza farsi la guerra passando sul cadavere dei figli, è un’ altra questione, basta mettersi d’ accordo di cosa stiamo parlando. È chiaro che un divorzio è un passo importante con motivazioni serie, è chiaro che come tutti gli abbandoni entrino in gioco tante componenti emotive e ci mancherebbe, è ancora più ovvio che economicamente ci rimettono tutti. Venirsi incontro in modo extragiudiziale, questa è la vera utopia. Ma siamo gente civile e ci possiamo arrivare.
Alice: vero, potrebbe essere un caso più unico che raro…e forse lo è davvero.
Io mi trovo d’accordo con i commenti di Zauberei, anche perché ho visto più di una situazione (vicina e non) in cui la persona ad essere discriminata era/è il padre.
L’unica cosa che non mi piace affatto della sentenza è il discorso “vedere i bambini ma solo con il permesso del padre” poiché, spesso, in una situazione di tensione familiare, si rischia che il genitore in questione per fare un “dispetto” neghi le visite genitoriali.
Tra l’altro io son sempre stata dell’opinione che in caso di separazione/divorzio il parere dei figli debba essere fondamentale..
La legge è da sempre sbilanciata a favore dell’affidamento alle madri, con tutte le attenuanti del caso.
Mi sembra, tra l’altro, in linea generale (Generale!) corretto.
In questo caso, non c’è nessuna pregiudiziale di genere, ma so che le femministe la vedono anche nel colore degli occhi di uno struzzo.
Comunque, questo post è degno di forum.
Posso fare Fabrizio?
Su Rita non c’è alcun dubbio
Mah, sembra una situazione molto triste, e davvero un figlio è diventato un ‘lusso’ così grande? e chi ci guadagna a far diventare un figlio un lusso così grande? E’ molto difficile secondo me stabilire se ci sia una discriminazione di genere o meno. Come si fa a stabilirlo? Dando per scontato che siamo ancora immersi in un sistema patriarcale ( oh che parolaccia!:-)) si rischia di analizzare il caso adottando esclusivamente un ‘posizionamento femminista’ che non è un punto di vista oggettivo… è vero che le donne sono da sempre state discriminate, ma deve essere dato sempre per scontato che la donna è la più debole di fronte all’uomo? La realtà, in alcuni casi, può anche essere diversa e giocare a vantaggio della donna, ma soprattutto l’Italia non è ancora pronta a conciliare empowerement femminile e maternità, e una donna questo lo sa bene.
E’ difficile per una donna vincere su un sistema che ha sempre tolto qualcosa alle donne. E forse non è neanche giusto vivere la sentenza come una sorta di punizione o di una imposta rinuncia ai figli per una madre che dopo anni di sacrifici è riuscita a guadagnarsi una meritata carriera. Il discorso è molto complesso e delicato ma bisogna anche stare attenti a non diventare paranoici