Uno, due, tre

Primo. Un sorriso, grazie. Almeno oggi.
Secondo. In ritardo, ma segnalo la recensione di Natalia Aspesi su Ave Mary di Michela Murgia. Libro splendido. Procuratevelo.
Terzo. Appello al commentarium. Mi scrive Oriana, che sta preparando la tesi di laurea sull’educazione delle bambine dagli anni Settanta a oggi. Mentre sulla contemporaneità ha moltissimo materiale, sul passato ha a disposizione solo il libro di Elena Gianini Belotti. Ci chiede consigli. Ne abbiamo, vero?
(sul tema, intanto, un convegno)
Aggiornamento: sulla situazione bolognese. Da Giap!

23 pensieri su “Uno, due, tre

  1. Viva viva viva – speremo si cristallizzi il tutto!
    All’Oriana faccio in bocca al lupo – mi sto spremendo le meningi perchè mi sa che desidera delle informazioni bibliografiche, ma non mi vengono, mannaggia:(

  2. Ricambio il sorriso Loredana e teniamo le dita incrociate per due settimane possiamo farcela, Milano è stranamente silenziosa oggi, manca poco al traguardo forza milanesi ancora un piccolo sforzo!!!
    A Oriana il mio più grande in bocca al lupo, è poco ma i miei neuroni oggi sono fusi!!

  3. @ Oriana, ti metto il link del centro studi di Bologna prova a sentire da loro magari ti sanno indicare qualche testo http://www.csge.scedu.unibo.it/. L’esame di Teorie e modelli educativi delle differenze di genere prevede lo studio dei testi della Belotti e Lipperini ma non aggiungono altro materiale a riguardo ma forse se provi a scriverle alla ricercatrice che fa il corso ti riesce ad aiutare. Se vuoi vedere la bibliografia ti metto il link http://www.scform.unibo.it/Scienze+della+Formazione/Didattica/Insegnamenti/dettaglio.htm?AnnoAccademico=2010&IdComponenteAF=330968&CodDocente=036726&CodMateria=32855
    In bocca al lupo

  4. Oriana, non so se possa essere utile, diciamo che magari ti può servire come “spezia” per insaporire la discussione della tua tesi: dalle pubblicazioni della Casa Editrice “dalla parte delle bambine”, che proprio negli anni settanta divulgava letteratura per bambine decisamente non convenzionale, si può ricavare un’idea interessante sugli strumenti a disposizione dei nuovi genitori. Rosaconfetto, Arturo e Clementina, Ciao bambola (questi i titioli che ricordo e ho conservato; le autrici sono Adela Turin e Nella Bosnia), per fare un esempio, proponevano figure femminili in divenire, impegnate nel processo di emancipazione dai ruoli canonici, indipendenti, consapevoli. Il tutto a misura di bimba.
    La casa editrice non esiste più, ma molti dei testi sono stati ripubblicati recentemente.

  5. Nel libro di Caterina Duzzi “Cari genitori, comunisti immaginari”, si parla di favole “femministe” per bambine, magari si tratta del materiale cui fa riferimento Chiara, sinceramente non ho qui il testo e non ricordo altro. In bocca al lupo!

  6. Per Oriana: probabilmente anche i personaggi femminili e la loro interazione col mondo proposti da Bianca Pitzorno nei suoi libri potrebbero essere interessanti.
    Ciao e in bocca al lupo anche da me

  7. Cara Oriana,
    non ho bibliografia ma solo uno spunto di riflessione.
    Io sono nata nel ’79, e frequento soprattutto persone nate, grosso modo, nella seconda metà degli anni ’70.
    Ho avuto l’impressione che ci sia stata una finestra privilegiata per l'(infanzia) persone di questa età. Il mio modello, da bambina, era la principessa Sissi del film con Romy Schneider: il personaggio, per quanto lontano dalla verità storica, era quello di un “maschiaccio”, che preferiva andare a pesca che a incontrare il principe, insofferente all’etichetta di corte, e che anche influenza la politica del marito.
    I cartoni animati, accanto alle piagnucolose Candy Candy e Georgie, ci presentavano Lady Oscar, Occhi di Gatto, la Stella della Senna e una serie di eroine femminili che seguivano la loro passione sportiva o artistica (una faceva l’attrice) con impegno e dedizione.
    Quando eravamo piccole abbiamo sempre frequentato gruppi misti. Ecco, magari si giocava “maschi contro femmine”, ma insieme. La separazione di genere è arrivata con l’adolescenza.
    Questa è la mia esperienza, ma ti inviterei a verificarla.
    Buon lavoro
    Francesca

  8. Sto leggendo “Ave Mary”.
    Lucida, analitica, affascinante la ricostruzione della Murgia.
    Abbonda, però, un profumo femminista di quelli che fanno girare la testa.
    La preferisco scrittrice di romanzi.

  9. Riporto qui a mo’ di commento le mie impressioni su “Ave Mary”.
    ***
    Un pamphlet che sprizza intelligenza e ironia, a tratti brioso, com’è nello stile di Michela Murgia.
    Se la sua scrittura nei romanzi è appassionante, nella saggistica è decisamente analitica e coinvolgente.
    In Ave Mary, Einaudi 2011, la Murgia si propone di dimostrare come la tradizione cattolica, nel corso dei secoli, abbia de-umanizzato la figura di Maria fino a farne una figura interamente angelicata, assisa su una nuvola, una specie di bella addormentata nel cielo lontana dalla realtà fisica e spirituale delle donne e altresì come tale archetipo abbia contribuito a relegarle in un ruolo passivo nella società maschilista: assistente, spirituale e fisica, di figli, mariti, e, nella versione nubilare, del prossimo in senso ampio. Maria da ragazza viva e irresponsabile(per quei tempi!) è stata trasformata dal cattolicesimo in statuina da nicchia, in eterna madre piangente, mai morta, mai seppellita.
    Ciò ha contribuito alla radicazione di un modello femminile eterno, senza tempo, tutto cura, accoglienza e maternità, che risulta endemico a tutti i livelli, perché la forza di tale prototipo è tale da avere pervaso anche chi si professa laico, ateo, miscredente. Si tratterebbe di un’imprinting culturale maggioritario che condiziona il nostro stare insieme di donne e uomini: anchi chi lo ha rifiutato, in realtà lo ha inconsapevolmente assorbito.
    Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, la scrittrice avvia il suo discorso proprio a partire dal mondo contemporaneo e tenta di dimostrare la fondatezza del suo assunto indagando sul denominatore comune alla rappresentazione della donna-madre-assistente-riparatrice-consolatrice, sia sul piano simbolico, sia su quello dell’immaginario individuale e collettivo.
    Il punto di partenza è costituito dalla diversa rappresentazione che si dà della morte maschile e di quella femminile, la prima sottoposta a un processo di eroicizzazione, sia che si tratti di un maschio pio, buono e giusto, sia che si tratti del peggiore delinquente esistente sulla faccia della terra; l’altra, anche quando muore, invece non ha la stessa credibilità eroica del maschio. Sgozzata, violentata, picchiata, e chi più ne ha più ne metta, ma quasi mai morta. La donna è sempre un’ombra, una comparsa, un fantasma, che piange ai piedi della croce di qualcuno, che consola, che ripara un antico peccato. Almeno così è nella rappresentazione maggioritaria, che mutila la sua funzione anche sul piano simbolico.
    Da questo vero e proprio zoccolo duro prende le mosse la trattazionedella Murgia, che intreccia insieme indagine teologica e analisi della odierna rappresentazione della donna, dimostrando come lo svuotamento dei tratti femminili umani, decisamente umani di Maria, converga con il tentativo, spesso blasfemo, di dissacrare l’immaginario religioso, perché il modello mariano, divenuto irraggiungibile, possa essere riportato a un livello di accessibilità più a portata di mano (Madonna/Ciccone, Godard, le immagini pubblicitarie e dell’arte contemporanea).
    Anche le recenti figure femminili che il magistero cattolico ha decretato di porre come modello, da Madre Teresa di Calcutta a Gianna Beretta Molla, obbediscono al modello della funzione materna, che si espleta come amore verso il prossimo o verso i propri figli.
    Michela Murgia costruisce le sue argomentazioni così su una doppia struttura, una di natura prettamente teologica, una storico-culturale e, com’è tipico del suo stile, le impreziosisce con un’ironia sagace e a tratti fustigante, ironia che si rivela già nei titoli dei paragrafi, oltre che nel corpo testuale. Rimarrebbe tuttavia deluso chi fosse tentato di ridurre il libro a mero tentativo anticlericale o volesse tacciare di eresia Michela Murgia.
    Come afferma lei stessa, Ave Mary è un modo per “fare i conti con Maria, anche se questo non è un libro sulla Madonna. È un libro su di me, su mia madre, sulle mie amiche e le loro figlie, sulla mia panettiera, la mia maestra e la mia postina”.
    Un particolare rilievo occupano, infatti, nel libro le esperienze biografiche della scrittrice, apparentemente bislacche, eppure sempre in sintonia con la trattazione; queste la alleggeriscono, proprio laddove si imboccano le più accidentate strade dell’esegesi biblica e magisteriale.
    La scrittura di Michela Murgia, ancora una volta, è trascinante, sincera e appassionata; ci parla di religio, ma ci dice di fede. Consapevole e matura.

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