ORECCHIE TROPPO GRANDI: SULLE “CATTIVE MADRI”

Una delle cose che mi ha colpito di più nella terribile storia della mamma lasciata sola in ospedale, crollata per stanchezza, e risvegliatasi senza più il figlio: la reazione di alcune altre madri. Certo, sono prevalenti, e importanti da leggere, le testimonianze sulla solitudine e sull’abbandono della madri. Però è quella parte a turbarmi, tanto.
Ripropongo un brano da “Di mamma ce n’é più d’una”. Dieci anni fa. Dieci.

 

Is it possible? – Isn’t there some mistake? Just look at those, those E-A-R-S. Those what? Oh, ears! These! Aren’t they funny? Oh! – Oh, my goodness! (Sceneggiatura di Dumbo: le elefantesse).

 

Le elefantesse di Dumbo sono quelle che dicono “Tesoro” all’elefantino, tranne poi bisbigliare perfidie quando scoprono che le sue orecchie sono più grandi del normale.
Le madri-elefantesse farebbero oggi qualcosa in più: direbbero che la colpa di quelle spropositate orecchie va ricercata in qualche debolezza, o errore, o inadeguatezza, della mamma di Dumbo. Le cattive madri, additate in ognuna delle centinaia di migliaia di discussioni in rete (o davanti alla scuola all’ora di uscita, o al parco, o sul luogo di lavoro, o dove volete) sono quelle che prendono tempo per sé.  Che danno ai figli gli omogeneizzati “per poter fare altro”. Che li piazzano davanti alla televisione “per poter fare altro”. Che fumano. Che, anche, lavorano.

Le cattive madri sono quelle che soffrono di depressione post partum. Dicono che siano il 10% delle mamme, ma sembra che si arrivi invece a otto donne su dieci, e che neppure un terzo di loro  chieda aiuto. Il baby blues, o maternity blues dovrebbe riguardare almeno il 70% delle puerpere, che spesso, spessissimo, non sanno a chi parlarne, perché i  luoghi di ascolto e cura sono rarissimi, e il ruolo dei consultori, come abbiamo visto, è sempre più esile.
Infine, le donne fanno fatica a parlarne e ad ammettere che non si sciolgono di radiosa felicità davanti all’esserino che urla tutta la notte. E a volte rischiano nel farlo: nel giugno 2010, dopo l’uccisione di un bambino da parte della madre, Giorgio Vittori, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), e Antonio Picano, presidente dell’Associazione Strade Onlus e responsabile del progetto ‘Rebecca’ per la prevenzione e il trattamento della depressione in gravidanza e nel puerperio, propongono al ministro della Salute il Trattamento Sanitario Obbligatorio extraospedaliero per le donne affette da depressione post partum, “a rischio di infanticidio”. “Il trattamento sanitario obbligatorio extraospedaliero, ricorda una nota della Sigo, consente di adottare limitazioni della libertà personale per ragioni di cura, all’interno dell’abitazione del paziente. Un’equipe specializzata potrebbe occuparsi continuativamente 24 ore su 24 delle donne con comportamenti potenzialmente omicidi”. Giovanni Battista Cassano, padre della Fondazione Idea, uno dei maggiori psichiatri italiani, si dichiara contrario e propone, invece, l’elettroshock: “Speriamo di liberarci presto dai lacci del ’68 in modo da praticare la strada dell’elettroshock anche nella depressione post partum. Non utilizzare questo trattamento è una gravissima omissione perché tutte le linee guida internazionali lo indicano come la cura efficace per prevenire gesti drammatici.”

Il pericolo è anche nello scherno, non soltanto nell’elettrochock: perché se scampi al secondo, il primo ti taglia le gambe.

Quando la scrittrice Debora Papisca raccontò il proprio baby blues in Di materno avevo solo il latte, il critico Giorgio De Rienzo la recensì su Vanity Fair. Così: Deborah inaspettatamente scopre di essere incinta di una bambina che non vuole, partorisce e va in depressione. Che razza di madre sarà? Si sente colpevole perché non prova affetto per la figlia: ma attraverso peripezie recupera il senso della maternità. Peccato, ci si aspettava un bell’infanticidio.”
Quando Cristina Comencini trae un film dal suo romanzo Quando la notte, riceve un trattamento simile alla Mostra del Cinema di Venezia. Guai raccontare di una madre in crisi, che arriva a picchiare il figlio per uno stress non compreso e non curato e aumentato dal pianto continuo del bambino.  Raccontava Cristina:La maternità può anche essere solitudine, proprio per il legame viscerale tra la donna e la sua creatura. Ma esiste, o dovrebbe esistere, anche il padre, il cui compito non è cambiare i pannolini, ma spezzare quel rapporto simbiotico spesso pericoloso; entrare nel cerchio, dare amore al figlio e alla donna, non facendone una intoccabile Madonna”. Durante la proiezione, sghignazzi e fischi. Non va raccontato che le donne si sentano accerchiate, spaventate, raggelate dal pianto che non cessa mai. Che desiderino tornare indietro. E non necessariamente finisce con la morte, per acqua o lama. A volte è la morte dentro, la sottrazione, l’indifferenza, il raggelamento, la disapprovazione. In alcuni casi, per tutta la vita.
Le cattive madri sono (ancora) quelle che abbandonano il figlio. Possono farlo a Palermo, nel vano di una finestra dell’ Istituto Figlie della carità, in via Noce, dotato di culla e telecamera collegata al 118.  Ce ne sono tante di queste cullette, sembra siano triplicate in tutto il paese. C’è la “Madre segreta” di Milano, con numero verde. A usarla, sembra, sono clandestine e immigrate o ragazze giovanissime. O madri che non ce la fanno: sono due milioni i bambini poveri nel nostro paese, dice l’ Istat, a rischio di fame e malattie, e di questi 700mila hanno tra 0 e 3 anni.
Le cattive madri sono (inoltre) quelle che finiscono su un sito terribile che si chiama parentalfail.com e ha come slogan “La dimostrazione che ad alcune persone dovrebbe essere vietato procreare”. Funziona così: sono madri e padri a postare foto dove altri genitori mettono in pericolo i figli o semplicemente si mettono in ridicolo. Gli utenti possono votare le foto più snaturate ogni settimana. Le categorie sono mamma snaturata, papà snaturato, animali, disastri imminenti. Video inclusi. Ma sono davvero sempre situazioni pericolose come la mamma che trascina il bambino al guinzaglio come un cane mentre fa la spesa o il genitore che mette una sigaretta in bocca al figlio? No, a volte basta una madre non giovanissima e non magrissima con una maglietta rosa da Barbie. “Deve darsi fare per essere un buon modello per suo figlio”. “Ci credo che tuo figlio non avrà rispetto per te, cresci signora, sei una madre”. “Ahahaha, la conosco, ha tre figli da tre padri differenti. Che perdente!”. “La conosco anche io! E’ un disastro, non si occupa abbastanza dei figli”.

Le cattive madri sono troppo famose, o troppo vecchie.  Ricordo bene un servizio del Tg3 dove si parlava della nascita di Penelope, figlia di Gianna Nannini, con un astio incomprensibile da parte della giornalista. Ricordo,  ancora, le cattiverie di altre donne sui quotidiani dopo che Nannini era apparsa con il pancione in mostra sulla fotografia con cui pubblicizzava il primo concerto da neomadre cinquantaquattrenne. “Offre un’immagine della maternità come potere assoluto”, dichiarava Marina Corradi, editorialista di Avvenire, “il messaggio che manda è questo: posso fare un figlio come e quando voglio. Lontano da quel concetto di accoglienza che preferisco. Mi colpisce anche lo sfruttamento dell’immagine di una gravidanza che diventa spot per creare e vendere un brand: mamma come mi pare. Senza voler lanciare anatemi, dico che non mi piace, un pancione non è oggetto di mercato”.
Oh, davvero? Peccato che tutta la maternità, inclusa quella eco e bio, lo sia diventata da un pezzo. Pro o contro Nannini si scatenarono anche i politici. Favorevoli Licia Ronzulli (pdl, la famosa europarlamentare con figlia nel marsupio) e Federica Mogherini (Pd, voto con la pancia). Nonché i sociologi dei media come Mario Abis che dal morbido ventre di Nannini dedusse una “comunicazione molto aggressiva, ed è qui la novità, visto che la maternità è un vecchio tema. Non è più la mamma che parla con la sua rotondità, ma la donna, che rivendica la gravidanza come un feticcio, in una dimensione narcisistica e iperindividualista, dove l’idea di famiglia scompare. Un’immagine tradizionale, finora destinata ad un pubblico trasversale, in questo caso invece lo segmenta: c’è chi la apprezza e chi la rifiuta. Ma può risultare cinicamente azzeccata”. Infine, le mamme on line, sul solito forum di alfemminile scelsero come bersaglio l’età della cantante. “proprio non posso essere d’accordo su questa cosa…..credo che per tutte le cose ci sia un’età e 54 anni sono decisamente troppi per una gravidanza! Quando suo figlio avrà 10 anni lei ne avrà 64… Scherziamo!?io ho un figlio di 9 anni ( ed una di 6) io ne ho 31…. E seguire i loro ritmi non e’ facile….pensa se ne avevo 64!!!! Nooooooooo non giudico ma NON condivido!!!!”.  E addirittura le ragazze di girlpower, quando la gravidanza era stata annunciata, si chiedevano: “Secondo voi, è giusto che quella bambina nasca? Non ci sarà un altra disadattata al mondo?”
Le cattive madri sono quelle che stanno al computer, e questa è la new entry.  Il 18 novembre 2010 Elasti, la più famosa mom-blogger italiana, posta su Nonsolomamma un piccolo episodio familiare. Lei è in redazione (è una giornalista economica), il marito è a casa con i tre figli. Due, di sette e quattro anni,  hanno un virus intestinale. Il padre la chiama e propone di lasciare due dei tre bambini a casa mentre porta il piccolo al nido. Tempo mezz’ora. Il risultato è che i figli se la cavano benissimo, ma che una valanga d’insulti via web si abbatte su Elasti. “è criminale e contro la legge”. “le disgrazie accadono anche quando tu sei in casa figurati quando non ci sei”. “L’anno scorso è andata a fuoco una casa qui vicino, i genitori avevano lasciato soli uno di 8 e uno di 3 che dormiva nel lettino per venti minuti: il grande ha dato fuoco a un peluche e ha preso fuoco la casa. hanno salvato il piccolo ma il grande era nascosto sotto il letto e non l’hanno trovato”. “Abbandono di minore (articolo 591 c.p.): Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a sé stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere la cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.” Pensiamo agli incidenti domestici, alla moltitudine di pazzi che affollano il mondo (e basta leggere anche il più merdoso dei giornali per rendersene conto), pensiamo a tutte le ipotesi possibili (che per fortuna non sono avvenute) e guardiamo in faccia la REALTA’”. “Vado in bagno e lascio il pupo a giocare da solo. Il pupo (di 7 o 4 anni) cade dalle scale/libreria/scrivania/tavolo della cucina/ e si rompe la testa/braccio/gamba: si chiama INCIDENTE (più grave, meno grave…ma comunque un incidente)”. “Chiedilo alla Mamma di Cogne….anche lei lasciò un figlioletto solo per pochi minuti e tutto il resto è cronaca”.

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