IONONLEGGOSAGGI

Giuseppe Laterza è intervenuto sul Domenicale del Sole 24 Ore con una domanda importante: perché i non lettori dovrebbero farsi sedurre solo dai romanzi? Ecco il testo.
Che i non lettori siano attratti solo da romanzi è un’idea sbagliata. Che lo pensino i non addetti ai lavori si può capire: di un libro non si dice forse che «si legge come un romanzo»? Preoccupa, però, che lo pensi l’Associazione Italiana degli Editori (AIE), che per la campagna #ioleggoperché ha selezionato 23 romanzi da regalare in 240.000 copie ai non lettori. (Più il libro di Daniel Pennac, intitolato Come un romanzo, appunto).
Ora, perché solo romanzi? Non certo perché siano i libri che vendono di più: la narrativa sostiene meno di un quarto del mercato librario complessivo. Basti pensare alla diffusione di libri come il Manifesto del partito comunista, L’Interpretazione dei sogni di Freud, l’Artusi o i libri di Margherita Hack e Tiziano Terzani… Proprio in questi giorni è primo in molte classifiche un saggio di Carlo Rovelli intitolato Sette brevi lezioni di fisica.
Come si spiega, allora, questa scelta da parte di professionisti del libro? Forse perché condividono alcuni stereotipi diffusi, che vale la pena mettere in discussione. Ne cito tre:
Il primo: c’è chi pensa che un romanzo si legga per piacere e ogni altro libro per dovere, ma è idea smentita dai fatti, come può testimoniare qualsiasi libraio o bibliotecario.
Il secondo: pensiamo di convincere qualcuno a leggere un libro per la sua «librità», cioè per le qualità che possiede in quanto libro (o romanzo). Io penso invece che la lettura scaturisca dalla motivazione.
Ricordo un episodio che mi capitò durante un incontro organizzato dai Presìdi del libro, il movimento cresciuto in questi anni in Puglia. Si discuteva della crisi economica attraverso alcuni libri, letti e commentati da diverse persone. A un certo punto si alzò un uomo piuttosto anziano e ci raccontò che da poco aveva incominciato a leggere il suo primo libro, la biografia di Enzo Ferrari; gliela aveva regalata un amico che condivideva la sua passione automobilistica… Un caso? No, i non lettori (come i non utenti di cinema e i non frequentatori di musei) non sono una specie aliena. Possono avere una vita (anche intellettuale) intensa, con motivazioni e interessi altrettanto forti dei lettori.
Il terzo: l’idea che per conquistare alla lettura ciò che conta sia la «facilità» (come è stato detto presentando l’iniziativa dell’AIE).
Se invece è la motivazione ciò che ci avvicina a un libro, perché si inneschi il passaparola ci vuole una relazione personale: occorre, cioè, che qualcuno suggerisca a qualcun altro uno specifico libro. E questo può essere un’opera di narrativa, certo. Ma perché non anche una guida, un libro di ricette, una biografia, un libro per ragazzi, un saggio di storia? Come un romanzo, a volte meglio

6 pensieri su “IONONLEGGOSAGGI

  1. Tra i servizi sociali previsti per espiare pene alternative bisognerebbe inserire la lettura di libri scelti secondo un sorteggio integrale in un paniere scelto da lettori forti in cui restano fuori le faide editoriali.Qualsiasi riferimento all`ipotesi che molti di quei libri della pregevole iniziativa danneggino la causa e` puramente voluta

  2. Chi non ha dimestichezza con la lettura, trova più semplice comperare un romanzo e quella storia “altra” che rappresenta. Se, come lei dice, qualcuno viene stimolato a leggere altro di appassionante, ecco che anche un Odifreddi diventa un narratore di storie affascinanti, come e più di un romanzo d’avventure.
    Gli editori, a mio parere, con le loro iniziative non intendono incentivare la lettura ma fare cassa… che di questi tempi è cosa capibile.

  3. Certo che la lettura è scaturita da una “motivazione”, ma va tenuto conto che l’iniziativa è rivolta a “non lettori” che quindi vanno anche “educati alla lettura” a saperne gustare le potenzialità espressive e anche creative. Il romanzo crederei che in qualche modo esprima al meglio queste potenzialità della scrittura, che appunto non sono solo quelle descrittive o di testimonianza dei saggi, e in un struttura forse più accessibile rispetto alla poesia. Se l’aie, come scrive laterza, per prima cosa doveva pensare alla “motivazione”, allora mgari dovevano stampare e distribuire gratuitamente dugentoquarantamila calendari di blenrodrighez e qualgheduno di frate indovino.

  4. Io sono sempre perplesso quando si parla di “educazione alla lettura”. Si presuppone, in qualche modo, una missione evangelizzatrice non troppo diversa dal proselitismo religioso. E’ una contraddizione in cui incorro anch’io: sono convinto anch’io, infatti, che chi non legge perda una parte importantissima della vita e che sarebbe bello se tutti provassero questo piacere; e credo, anche, che si tratti di un’attività che rende le persone migliori. Ma non è, in fondo, la stessa cosa che dicono quelli che vogliono convertirti a una qualche religione? E allora forse serve una riflessione. Intanto, perché sarebbe bene che ci fossero più lettori? Sicuramente per ragioni commerciali e di fatturato, ma per questo vanno bene anche le barzellette di Totti. E poi, quello che più interessa a me e, immagino, alla grande maggioranza delle persone che frequentano questo blog, per far sì che chi scrive (edita, pubblica, ecc.) possa vivere del suo lavoro e che quindi chi ha vero talento possa più facilmente produrre lavori di grande qualità. Ma per raggiungere questo secondo scopo, che purtroppo con il primo fa quasi sempre a pugni, secondo me si deve lavorare con i bambini. Non “sui” bambini, ma “con”. Proponendo, e non imponendo. Slogan facile, ma difficilissimo da mettere in pratica. La lettura, però, è per sua natura libertà e non credo si possa “convertire” qualcuno in modo coercitivo, o anche soltanto proponendo una ricompensa: ottenere crediti universitari, ad esempio. Impossibile, poi, secondo me, mettere in grado schiere di quarantenni che non abbiano mai letto un libro di apprezzare non dico – che ne so – Musil, ma anche la letteratura popolare di buona qualità. In questo caso, effettivamente, la leva motivazionale potrebbe essere uno strumento migliore: libri per soddisfare curiosità scientifiche, personali, per approfondire certe tematiche. Ma in questo c’è, fortissima, la concorrenza della rete: se mi punge vaghezza di sapere chi fosse la regina Vittoria e non sono abituato a sorbirmi due o trecento pagine a stampa vado su Wikipedia, e in un quarto d’ora la mia curiosità sarà soddisfatta. Male, certamente, con buchi ed errori, ma tanto non ci devo mica tenere una lezione, sulla regina Vittoria. Ma qui si aprono infinite riflessioni, difficili da fare tutte insieme. E’ difficile negare, ad esempio, che oggi la maggior parte della gente legga (e scriva) più di ieri, proprio per la frequentazione della rete; così come è difficile negare che molta della roba che viene letta in rete sia scadente, scritta in pessimo italiano, zeppa di errori (e di livori). Non tutta, però, perché anche la rete offre dei contenuti (e dei contenitori) di altissimo livello. Quindi cos’è che vogliamo salvare? In fondo le storie ci raggiungono ancora, magari in forme diverse dal libro, e sospetto che troveranno sempre il modo di raggiungerci. Raccontare (e ascoltare) storie è una delle attività che fanno degli esseri umani ciò che sono da molte decine di migliaia di anni e trovo difficile ipotizzare che un giorno si smetterà di farlo. Probabilmente, vogliamo salvare due cose: l’oggetto libro, che a molti di noi (me compreso) pare insostituibile nonostante si sia perfettamente in grado di apprezzare gli altri mezzi con cui le storie possono raggiungerci; e la possibilità di guadagnarsi da vivere scrivendo (ed editando, pubblicando, ecc.), perché se questo non fosse più possibile si perderebbe un patrimonio immenso di conoscenza accumulato in secoli di stampa e la qualità di ciò che viene pubblicato non potrebbe non risentirne; e, anche se ai cultori del mercato sembra interessare poco, un sacco di gente preparata finirebbe (sta finendo) per strada. Purtroppo quello che sta succedendo nel mondo dell’editoria e la pretesa che i contenuti in rete debbano essere gratuiti sta rendendo molto reale la possibilità di un mondo in cui non sarà possibile, di professione, fare lo scrittore. Anzi, quel mondo è già qui. Come se ne esca io non lo so, ma la storia dei 24 libri mi pare un tentativo molto maldestro, per tutto quello che (in modo confuso, lo so) ho detto sopra.

  5. Diffidare di chi vuole convertire alla lettura i non lettori!
    Sono molto perplessa su questa iniziativa e condivido nel complesso l’intervento di Maurizio. Poi l’elenco dei libri proposti è piuttosto triste. Mettiamo Vitali? Benissimo, piace anche ai lettori forti, ma scegliamo un titolo migliore. Vogliamo la Mazzantini? Figurarsi, ma allora scegliamo meglio. Stesso discorso vale per De Carlo e soprattutto Pennac.
    Lo so che sui gusti di lettura si può discutere all’infinito. Ma è proprio il principio che non mi convince. Fare una lista di titoli appetibili.
    O sarà che il sito web con l’appello a diventare messaggeri del libro mi ricorda in modo inquietante le sentinelle in piedi…

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