IPAZIA, EVELINA E IL BURQA ESISTENZIALE

Forse lo sapete già, ma il film di Alejandro Amenábar su Ipazia è ancora in sospeso: al momento, non lo vedremo in Italia. Qui c’è la petizione, ad ogni modo.
Ipazia è una delle figure femminili sommerse nella storia. Ce ne sono molte, moltissime. Ad una di queste, Evelina Cattermole, Brunella Schisa ha dedicato il suo romanzo, Dopo ogni abbandono. Il quale non è un romanzo agiografico: è un po’ feuilletton, un po’ legal thriller, un po’ romanzo storico. E’, soprattutto, un bel romanzo. Così, ci siamo fatte due chiacchiere:

Perchè proprio la Contessa Lara? Cosa ti affascinava in questa figura femminile?

Il suo anticonformismo. Evelina Cattermole era una donna piena di talento e fuori dalle regole. Mi piacciono le donne che sfidano le società dominate dagli uomini. Quando il marito, scopertala in flagrante adulterio, le uccide l’amante in duello, Evelina aveva appena 24 anni. Buttata fuori di casa, senza una lira, con la lettera scarlatta dell’adultera cucita sul petto, è costretta dalla sentenza di separazione a trasferirsi a Firenze, a casa del padre. Ma questi le sbatte la porta in faccia perché ha infangato il nome dei Cattermole. E lei cosa fa? Si inventa un lavoro. Deve mantenersi da sola. Disubbidendo al giudice e al marito si trasferisce a Roma. Siamo nel 1876. Comincia a chiedere di collaborare a tutti i giornali d’Italia. Siccome è brava, intelligente e dotata ottiene collaborazioni con una ventina di giornali. Ma non solo. Scrive poesie che fanno battere il cuore alle signore, novelle, un romanzo e ottiene fama e successo firmandosi con lo pseudonimo. Fino a quando, una sera del 1896, nel suo appartamento di via Sistina, l’amante la uccide con un colpo di pistola. Il mio romanzo inizia con quel colpo di pistola.

Ci sono donne della storia, donne che hanno avuto anche un notevole peso, di cui non si parla molto. Almeno, non oggi. Eppure, cosa può raccontare ad una lettrice contemporanea la Contessa Lara?

Mentre raccoglievo il materiale per il libro pensavo di raccontare la storia di una donna scandalosa perché si comportava come un uomo, in un secolo polveroso e lontano dalla nostra cultura. L’assassinio di una donna tanto famosa e chiacchierata fu una notizia ghiotta per tutti i giornali e al processo all’omicida Giuseppe Pierantoni si scatenò una frenesia mediatica. Credo sia stato l’evento giudiziario più importante di quel fine secolo. E come era accaduto al processo al marito che le aveva ucciso l’amante, fu lei a finire sul banco degli imputati. Evelina, la “donnaccia”. Il difensore di Pierantoni, citando Lombroso, provò a farla passare per una donna isterica e una ninfomane. Altri tempi? Mica tanto! A libro concluso mi sono resa conto che la Contessa Lara sarebbe giudicata con sospetto anche in questo nostro millennio. Purtroppo, è una storia dolorosamente attuale. Il processo di omicidio di una donna fatale che aveva il “vizietto” di amare solo uomini giovanissimi sarebbe anche oggi un boccone ghiotto per tv e giornali. Nell’Ottocento, a 47 anni. le donne erano delle vecchie.

Quanto è stata “corrotta” la percezione della sua vita, nelle narrazioni maschili?

Il problema dell’immagine della Contessa tramandata dalla sua leggenda non riguarda tanto i maschi, i quali subivano il suo fascino pur considerandola pericolosa, quanto le femmine. Purtroppo, le più crudeli sono state le donne. Basta leggere il necrologio che scrisse sul “Mattino” Matilde Serao. Un capolavoro di perfidia, in cui fingendo di elencare le qualità della morta raccontava tutte le sue qualità negative. E non è stata la sola.”Se l’è cercata!”, dicevano in molte. L’invidia per la sua bellezza e il suo successo ha scatenato un coro di insulti di donne più che di uomini.

Quanto è stato difficile reperire materiali su di lei?
Lavorare nell’emeroteca della Biblioteca Nazionale di Roma è stata una delle esperienze più frustranti della mia di vita di ricercatrice. Scrivere romanzi storici impone un lavoro di ricerca accurato. Pensavo che occupandomi di una storia “romana” sarebbe stato più semplice. Sbagliavo. Ho lavorato su microfilm illeggibili e lettori antidiluviani. Fortunatamente ero riuscita a reperire gli atti del processo. Anche rivisitare i luoghi del romanzo è stato complicato. All’epoca non esisteva il Palazzo di Giustizia, quello che a Roma chiamiamo il “Palazzaccio”, e la Corte d’Assise allocava nell’ex convento dei Filippini costruito da Borromini. L’oratorio era stato adibito ad aula. Entrarci non è stato semplice. Adesso è chiuso. Un magnifico luogo trasformato in deposito polveroso.

Le figure femminili apparentemente marginali sono di nuovo al centro della tua narrazione. Ce ne sono altre in arrivo?

Non lo so. Un paio d’anni fa ho lavorato alla Britush Library di Londra per reperire materiale su una figura tra le più chiacchierate della fine del 700. Una francese rifugiatasi in Inghilterra. Un’autentica impostora. Di cui letteratura e cinema si sono già ampiamente occupati. Se troverò una chiave originale, ne scriverò.

Ps. Nota a margine dell’intervista. Se pensate che sia ozioso insistere tanto sul femminile in narrativa, andate a dare un’occhiata ai commenti di Nazione Indiana a questo post. Scendete fino a questo commento. Pensate che qualcuno abbia fatto notare al commentante che parlare della sottoscritta non  dal punto di vista professionale, ma come di una persona afflitta da un “burqa esistenziale” è  cosa abbastanza disgustosa? Niente affatto. Questo, cari, è il panorama delle patrie lettere. Evviva.

38 pensieri su “IPAZIA, EVELINA E IL BURQA ESISTENZIALE

  1. Non ce l’ho fatta a leggere tutto il commento… Vado un pochino OT rispetto al post, ma nel weekend ho iniziato a leggere “The dome” di Stephen King e ci sono due ragazze che come hobby hanno “la tortura delle Bratz”! Mi ha fatta sorridere e ovviamente mi è venuto in mente questo blog e le sue riflessioni sul femminile 😉

  2. Ho letto tutto il commento di Serino e il riferimento a Loredana è stato 2 volte disgustoso: una volta per la gratuità (io non so tutta la storia, ma mi sembrava espressione di un antico livore mai digerito), la seconda volta per essere stato fatto in un contesto di sfacciata autopromozione (insomma, visto che ho dubbi su me stesso, vado a contare le pulci degli altri)..mah, per fare un po’ di psicologia spicciola, possiamo dire che si tratti del famoso effetto Dunning-Krueger: http://laustriaco.blogspot.com/2009/06/leffetto-dunning-kruger.html

  3. Propendo per l’ipotesi di Alcor. Dopo le prime otto righe (e anche queste lette con fatica, per tutti gli errori di impaginazione), ho attivato la funzione di ricerca di Safari per cercare il tuo nome e andare subito al dunque. Immagino che gli unici a leggerselo tutto siano stati tutti coloro che, a qualsiasi titolo, hanno scritto qualcosa di appena lontanamente paragonabile a un giallo, per vedere se sono stati citati, e come. Come commento al tutto, “questo, cari, è il panorama delle patrie lettere” mi sembra l’unico adatto.

  4. Questo è il commento che ho lasciato su Nazione Indiana, in risposta a “Uno Che Sa” (http://www.nazioneindiana.com/2009/10/27/pop-polar-1-giampaolo-simi/#comment-122840)
    Al di là della carta stampata, dove si leggono recensioni di libri mai letti, o letti per una pagina e mezza, o “annusati” (Li annuso, i libri io li annuso, e che dovrei farci? leggerli tutti? e poi? regalarli alla parrocchia? regalarli alla biblioteca di zona?), io mi porrei anche qualche interrogativo etico: perché frequentiamo (o frequentate, o frequentano) individui che fanno cose che nei nostri scritti stigmatizziamo, deprechiamo, schifiamo? Io ho perso qualche amico per overdose, e non frequento neanche per caso gente che potrebbe ricordarmeli, soprattutto se so che mi potrebbero offrire della polvere come se niente fosse. E così in ogni singolo caso o ambito della mia esistenza. Questo probabilmente riduce le mie frequentazioni, forse vedo un numero ristretto e abituale di persone. ma quelli che frequento (compresi alcuni amici Indiani, quando capita) sono tutti esseri umani.

  5. Ecco, dev’essere questo: a me di essere recensito me ne cale poco. Recensito da certa gente e su certi giornali, ancora meno. Il mio recensore preferito lo vedo ogni giorno, mentre mi faccio la barba (io gli specchi posso tenerli appesi in verticale, non ho bisogno di vetri orizzontali per dare un senso alla mia vita), e ogni giorno mi scrive la stessa recensione: “anche per oggi ti si può guardare in faccia”.

  6. Ah, per tornare al primo tema del post: un mio amico mi diceva pochi giorni fa che il film Ipazia si riesce a trovare, con l’aiuto di un mulo, in rete. Ovviamente in spagnolo…

  7. Nonnò Loredana la Lenzuolata era teribbile. E come si regge? Dopo di che boh, non sono obbiettiva. Serino proprio non lo sopporto. E’ proprio come stile esistenziale – ma devo dire professionale se no pare brutto? Diciamo professionale, che mi provoca l’orticaria – Sono arrivata giusto in zona burqa esistenziale (noto una interessante relazione tra stili di personalità e passione per il burqa:)) per leggere che ah come so bravo io e so martire delle patrie lettere.
    Eh, non abbastanza me sa.

  8. Avevo letto solo il lenzuolo e mi aveva lasciato un po’ indifferente, insomma per essere un’invettiva era un po’ fiacca, decisamente. Se uno deve dar fuoco alle polveri si procuri almeno le micce di Permunian, sennò fa ridere i polli. Se delirio ha da essere che delirio sia.
    Mi è piaciuto molto, invece, il pezzo satirico di Giovanni Cocco, su quel thread. Ci ho messo un po’ a capire che scherzava, ma scherzava, perché, a prenderlo sul serio, si sarebbe potuto pensare che ‘la repubblica letteraria italiana’ è più infetta di Casal di principe, dove un giovane Holding può pazziare denunciando ad alta voce su una pubblica piazza gli Schiavone, gli Zagaria, gli Iovine… e cche ce vo?
    Ma ci vuole davvero del fegato per denunciare i Biondillo i Carofiglio e i Carlotto.
    E il fegato di fare questo Serino ce l’ha. Tanto di cappello, davvero, la repubblica letteraria italiana ha adesso il suo eroe.

  9. cara Loredana
    ti scrivo perché tirato in causa da questa tua riflessione e in quanto amministratore del post incriminato. Il non essere intervenuto in moderazione di Serino da parte mia e di quanti hanno letto il post di Simi e i commenti che ne sono seguiti ha una sola ragione. Il beau geste del serino non meritava nessun commento e se mi permetti la retorica impiegata, il numero di insulti distribuiti, – Nazione indiana veniva associata a lipperatura e carmilla per i demeriti supposti – Come ho detto ad altri a Serino riconosco un autentica passione per la letteratura e un pessimo modo per esprimerla. Talmente pessimo da risultare inoffensivo, nemmeno meritevole di replica e infatti l’unica replica che ho fatto è stata al tale Cocco che immaginava chissà quale complotto di NI ai suoi danni , e censura, quando invece si trattava i una semplice messa in moderazione in automatico cosa che come ben sai può accadere su queste piattaforme. Pensare che non si sia intervenuti per un semplice pararsi il culo rispetto a un ipotetico recensore equivale a pensare che io sia qui ora da te per pararmi il culo rispetto a un possibile “altro” recensore. Ora, tu lo sai che non è il caso, e come ho già detto a girolamo rivendico il mio diritto di fottermene non poco di certe dinamiche – e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, mi sembra- e permettimi anche di segnalarti che le patrie lettere a cui alludi sono quelle che né io né molti dei lettori e autori di NI frequentano, come del resto anche tu ben sai.
    un abbraccio
    effeffe

  10. Francesco, lungi da me l’idea di dirti quale dovrebbe essere il tuo metro di comportamento. Io la penso divertamente: non mi interessa se Serino sia animato da passione per la letteratura o da astuzia congenita. E’ un suo problema. Credo, però, che questi graziosi riferimenti al burqa che vanno per la maggiore non siano affatto inoffensivi: io, quanto meno, me ne sento offesa. E questo, perdonami, è un mio diritto.
    Quanto al riferimento alle patrie lettere: credo che i comportamenti – vogliamo dire l’etica? – di uno scrittore si giudichino soprattutto dalle sue parole. Anche da quelle che non vengono dette. E parlo di tutti gli scrittori: quelli che attualmente frequentano i salotti. E quelli che, magari, vorrebbero frequentarli.
    Un abbraccio a te

  11. Loredana,
    i salotti vanno bene per le televendite modello Aiazzone, stavamo parlando di letteratura mi sembra. la sola cosa che mi (ci) interessa . è su questo che avrei voluto confrontarmi, tu invece tiri in ballo la solita storia dell’esserci o non esserci, o del farci…gli scrittori che frequentano , quelli che vorrebbero….ma dai, Loredana…
    effeffe
    ps
    intanto guariscimi dall’influenza

  12. Francesco,
    allora, fuori dai denti. Cosa ha a che vedere la letteratura con la lunga sequela di insulti ed esibizioni di ego che ho letto in quel commento? Niente.
    E non ha nulla a che vedere nè con il silenzio nè con il “tanto è irrilevante”, certo. Ma a mio personale modo di vedere letteratura e dignità sono strettamente collegate. Mio. Ovvio.

  13. quella roba lì non ha nulla a che vedere con la letteratura, è questo che sto tentando di dirti. un commento su alcune decine cui ho deliberatamente deciso di non dare importanza. Dopo quel commento c’è stato il silenzio secondo te, secondo me il nulla, e il nulla non significa niente. Il silenzio, qualcosa, potrebbe invece dire, e infatti tu hai interpretato quel silenzio. tutto qui. il caso serino\roberto si è chiuso da solo nel momento preciso in cui fu aperto. Il macero di cui parla serino a proposito di gomorra, non è nulla, vuoi capirlo? Dal punto di vista letterario e da quello umano, nulla, niente. Un paio d’anni fa ci parve qualcosa, di pericoloso di dannoso, di cattivo nei confronti di un amico e soprattutto di un’opera che ha rivoluzionato ogni calendario editoriale, ha ricartografato il paesaggio letterario – nei giorni in cui usciva gomorra i giornalisti letterari nostrani parlavano della nouvelle vague del nord est , con Gian Mario Villalta, Giulio Mozzi, Vitaliano Trevisan, ricordi? Oggi sappiamo che quegli attacchi di Serino a Gomorra erano nulla, niente. e secondo me anche serino ne è consapevole
    effeffe

  14. quando vidi che tutti i beni che temevo di perdere e tutti i mali che temevo di ricevere non avevano in sé nulla né di bene né di male, se non in quanto l’animo ne era turbato, decisi infine di ricercare se si desse qualcosa che fosse un bene vero e condivisibile, e dal quale soltanto, respinti tutti gli altri, l’animo fosse affetto; anzi, se esistesse qualcosa grazie al quale, una volta scoperto e acquisito, godessi in eterno una gioia continua e suprema.
    Spinoza
    etico per me è questo
    effeffe

  15. Il rilievo della Schisa sul lavoro di emeroteca è fondamentale: non si può capire quando sia diventato difficile in questo paese recuperare i materiali a causa dei tagli al personale, dell’incuria, e della mancanza di motivazione dei nostri archivisti trattati a calci negli stinchi dalle istituzioni.
    Poi mi pare molto significativo che di questo post e della bellissima intervista alla Schisa, l’unico dettaglio ad essere stato colto in questo spazio è il commento di Serino, quando qui si chiamava in causa non solo una delle figure più interessanti del dibattito proto-femminista sull’essenzialismo biologico, cioè Matilde Serao, ma la questione della ricezione femminile della tragica fine di questa figura storica, su cui sarebbe davvero interessante discutere.
    Però mi pare che come al solito sia più succulento occuparsi del gossip pseudo-critico nei lit-blog, piuttosto che di temi che Loredana coraggiosamente continua proporre a un’audience a cui frega solo della sua visibilità in rete.

  16. Claudia, si discuteva di quello che accade in rete e della frequenza di certe attribuzione (nella fattispecie quello di essere dotate di un burqua esistenziale), di cui pure le protofemministe si sarebbero sentite offese, secondo me.
    E comunque, la pseudo critica è un problema, proprio in quanto ‘pseudo’. Poi possiamo far finta di no, ma questa è un’altra questione.

  17. Valeria, sono d’accordo con te e sulla sostanza della critica a Serino. Mi interessava qui solo sottolineare la dinamica per cui un microscopico link a un commento sul lit-blog più popolare d’Italia attragga più commenti di un intero articolo in cui si proponevano argomenti davvero inusuali in rete. Siccome mi occupo di queste dinamiche per ricerca, mi è saltato agli occhi come la componente autoreferenziale sia determinante nell’impulso a lasciare un commento quanto lo è nell’innescare meccanismi di deviazione dai contenuti.

  18. @ effeeffe
    solo una nota: per ricordarti che Spinoza fu trattenuto a forza dai suoi amici il giorno in cui, mentre linciavano i fratelli De Witte, voleva scendere in strada, a loro difesa, pur sapendo cosa gli sarebbe potuto costare.
    Etico, per me, è anche questo.

  19. @Claudia. D’accordo con te sul fatto che il post di Loredana sia davvero interessante e quanto inopportuno e fastidioso sia stato il deragliamento verso gli OT.
    In questo caso però ci voleva una autodisciplina ferrea per tornare al tema principale del post dopo aver letto quel popo’ di lenzuolo e biancheria affine.
    Considera che cose da dire a proposito me ne verrebbero ancora tante, ma mi astengo. E sono molto fiera del mio silenzio.
    A presto e su argomenti che meritano davvero attenzione.

  20. Chiedo scusa a lettori e lettrici di Lipperatura per questo rumore di fondo da me provocato e li/le ringrazio vivamente per avermi riportato alle frasi di una celebre canzone, “sapesse contessa…”
    ciao loredana magari ci si scrive in privato
    effeffe

  21. Valeria, siccome tocchi un punto fondamentale, e cioè quello dell’autodisciplina in rete, volevo segnalare un post apparso oggi sul blog di Scrittori Precari, che affronta esattamente la differenza fra “narrazione/scrittura in rete” e dinamica di costruzione di un commentario critico. A me sembra che ci siano spazi di discussione in rete in cui si possono (civilmente) sviscerare queste questioni, perché sembra (a sentire i ricercatori del MIT, per esempio) che la rete – intensa come popolo di utenti, o community che si raccoglie attorno ad una tematica condivisa – sia più che matura per una scissione fra forma e contenuti (quindi, per il filtraggio fra commento sui contenuti e metacommento sulle dinamiche, anche personali dei commentatori). Alla fine di tutti di tutti i discorsi ciò che conta è che i discorsi siano affrontati negli spazi idonei, altrimenti si crea solo dispersione.
    Il post è questo:
    http://scrittoriprecari.wordpress.com/2009/11/05/la-letteratura-il-web-e-la-compulsione-a-scrivere/
    Oggi starò lì a commentare, perché la questione è importante. Siccome la rete è aperta a tutti e i salotti letterari in rete sono un’invenzione di qualche paranoico, sarebbe bello che ciò che si ha da dire su queste dinamiche venisse detto in un luogo in cui il contenuto del post affronta esattamente ciò che di solito viene discusso come OT.
    Detto ciò, vorrei anche porre una domanda: intorno a quale tematica condivisa si raccoglie la community che frequenta il blog Lipperatura? Siccome vengo qui a leggere da qualche tempo (un anno e mezzo circa) senza avere libri da proporre a Loredana per una recensione, posso dire che la tematica condivisa che mi porta qui è l’interesse per la narrativa femminile, per le dinamiche di rete, per il NIE che qui è stato affrontato in una fase di gestazione. Insomma, lo trovo un ambiente stimolante. Certo, per riuscire a leggere un commento che amplifichi il tema del post bisogna ogni volta dribblare fra ogni tipo di considerazione altra, ma in realtà alla fine certe risse che ho visto qui erano pure divertenti, quindi non escluderei che l’attrattiva di questo blog sia anche questa.

  22. “…in realtà alla fine certe risse che ho visto qui erano pure divertenti”.
    A me non divertono in alcun modo. Solo Girolamo ha fatto riferimento, in uno dei suoi commenti, al rispetto per il lettore. Ecco, proprio da lettrice dico che certe zuffe letterarie mi trasmettono una gran tristezza; ogni volta si spezza quella sorta di patto silenzioso tra lettore e critico che, forte della propria esperienza e preparazione dovrebbe essere al servizio (consigliando o sconsigliando certe letture, approfondendole, etc…) di chi legge. Stesso discorso per taluni atteggiamenti tenuti dagli autori, spesso fonte di sconforto e delusione per i propri “supporter”(lettori che gratuitamente, scrivono recensioni, fanno interviste, organizzano incontri pubblici nelle loro città per gli scrittori a loro più cari: un investimento di energie, tempo e sentimenti). Ovviamente esistono le eccezioni.
    Ad ogni modo, delle risse tra intellettuali in stile “brigata tafferugli”io ne farei volentieri a meno.

  23. Alcune discussioni, anche caldissime, sono state stimolanti. Il problema, secondo me, non è quando qualcuno supporta le proprie argomentazioni in tono anche acceso. E’ quando non argomenta, parla per se stesso, sventola il fazzoletto per dire “sono qui”. Questo, per me, significa fermare la discussione.

  24. “Alcune discussioni, anche caldissime, sono state stimolanti.”
    Lippa sì, certo, ad alcune ho preso parte pure io. Vorrei non fraintendessi: mi riferivo a quelle risse che in pratica sembrano essere motivate da antipatie personali e condite da grosse dosi di narcisismo.

  25. Anna Luisa, la distinzione che è divenuta necessaria è esattamente quella fra gli interventi, anche infervorati, che però difendono una tesi in relazione al tema proposto, e dall’altra parte lo scontro che ha come unico obiettivo quello di ridefinire la propria identità scatenando dinamiche conflittuali in ambiente di rete, una modalità che peraltro non è del tutto ignobile in quanto ha come scopo quello dell’affermazione di autonomia rispetto ai discorsi imposti dalla critica. Tuttavia, come ho potuto constatare scontrandomi con alcuni praticanti del genere, emerge che c’è moltissima confusione rispetto al chi impone i discorsi, a cosa sia veramente un dispositivo di potere, e a chi lo subisca realmente. Per farti un esempio: io che sono una ricercatrice precaria con le pezze al culo mi sono sentita dire da praticanti del genere che faccio parte dell’establishment! Da rotolarsi dal ridere.

  26. @Claudia b:“la distinzione che è divenuta necessaria è esattamente quella fra gli interventi, anche infervorati, che però difendono una tesi in relazione al tema proposto, e dall’altra parte lo scontro che ha come unico obiettivo quello di ridefinire la propria identità”.
    Se è opportuno fare dei distinguo per evitare fraintendimenti, allora facciamoli. Sinceramente, dopo aver letto il link segnalato nel post, non mi sembrava fosse necessario fare tante distinzioni; non mi verrebbe mai di paragonare la zuffa su NI a, che ne so, il trambusto scoppiato su Lipperatura mesi fa, intorno alla copertina del fumetto sul massacro del Circeo: quella sì che è stata una splendida rissa! Furibonda e appassionata, una vera festa per le sinapsi.
    A me ha colpito questo passaggio di Girolamo:“Guarda, basta leggere, nel lenzuolone postato su NI, l’assoluta noncuranza verso grammatica, sintassi, persino battitura del testo per capire cosa pensa davvero uno come Serino del prossimo, del lettore, dell’altro”.
    Nel mio intervento mi premeva sottolineare la presenza di questo terzo soggetto, il lettore, che in situazioni rissose come quella linkata, assiste un po’ sconsolato (almeno, a me capita così) e vede tradita la propria fiducia. Ecco perché ho trovato l’espressione “risse divertenti” indigesta.

  27. In realtà, Anna Luisa, sono felice che tu abbia trovato l’espressione indigesta perché era esattamente la reazione che cercavo. Non sai quanto io trovi indigeste le risse in rete, anche perché sono assolutamente d’accordo sul fatto che sia necessaria cura nella compilazione di un commento, dal punto vista grammaticale, sintattico, dei contenuti, e delle strategie retoriche. Poi, per quanta cura uno possa metterci, ci sarà sempre il disturbatore che ti attacca sul personale solo per instaurare una dinamica conflittuale che da un lato faccia scattare i nervi e dall’altro inneschi curiosità (“ma chi è questo? vediamo il suo blog”, dinamica che fa alzare le statistiche – ma ste robe davvero sono la scoperta dell’acqua calda), come al bar c’è sempre il tipo problematico che dà fastidio, al convegno c’è sempre quello che, invece di porre una domanda sensata al relatore, fa la splafonata autoreferenziale, etc…
    Credo che il problema vero consista non nel definire il disturbatore, cosa che oramai è nota a tutti, ma nell’escogitare una strategia di risposta, perché a ben vedere risulta che sia l’atto di disturbare il vero atto autoritario, e non quello di discutere civilmente in forma scritta in rete.

  28. Sono d’accordo sia con con claudia e con Anna Luisa, in particolare per quel che riguarda la mancanza di rispetto nei confronti del lettore.
    Volendo tenere la distinzione tra ‘contenuto’ e ‘relazione’ (in soldoni: ‘oggetto del discorso’ e ‘relazione tra i parlanti’), a cui mi sembra facciano riferimento i commenti di claudia, noto come all’interno del post di Loredana (tema principale: intervista a Brunella Schisa, che pone un contenuto forte) ci sia un rimando a un post e a un commento particolare che pone un problema di relazione altrettanto forte.
    Al di là de burqa esistenziale, tutto il thread è costruito non su un confronto tra contenuti ma su uno scontro in cui, neppure tanto velatamente, si cercava di stabilire una dominanza.
    A me è stato difficile, anzi impossibile visto che non l’ho fatto, di tornare al post di Loredana e commentare il ‘contenuto’ come se nulla fosse, e dunque mi sono concentrata sulla ‘relazione’. Diciamo pure che mi sono lasciata agganciare. Mea culpa.
    Mi chiedo però, e mi pare che questo sia il tema del post linkato da Anna Luisa e quelli linkati nel post (che poi si avvitano in accuse e controaccuse, e quindi siamo daccapo ogni volta), come mai nelle discussioni letterarie sembra prevalere più lo scontro per definire lo status dei parlanti piuttosto che un più o meno pacato confronto sui contenuti.
    E me lo chiedo da lettrice.

  29. Valeria, quello che rilevi, cioè la dialettica per cui all’interno di quel thread gli intelocutori tentavano di stabilire il proprio predominio nell’economia della discussione, si sta verificando in questo momento, in termini certamente più civili e argomentati, anche nel thread nato in calce al post su Vibrisse che contiene l’ultima puntata di quella che oramai è nota come la saga Benedetti-Policastro, o meglio, la partita fra critici off-line e critici on-line (capitano della prima squadra Cortellessa, capitano della seconda Scarpa). Anche se al punto in cui sono ora sono finalmente giunti a discutere dei contenuti, è stato necessario tutto un preambolo su chi fa cosa e su chi è chi prima di affrontare le questioni poste.
    Credo che il motivo per cui la dinamica del commentario ruota attorno alla definizione del proprio status dipenda dal fatto che l’utente della rete, indipendentemente dal ruolo che svolge nel mondo reale, ruolo che è vincolato anche ad indentità corporea oltre che autoriale, si autorappresenta in virtù di quello che scrive, ed è quindi impossibile verificare, a meno che non si stabilisca un rapporto di forza spesso con mezzucci (per esempio mezze insinuazioni, attacchi all’autostima dell’interlocutore, etc) l’autorità che riveste nel mondo reale. La vera democrazia della rete consiste proprio nel presentare un enunciato che inserisca in un contesto e che contenga una tesi specifica. Ciò che è aldilà del testo nella Rete non conta nulla.

  30. Claudia sono d’accordo con te. Ho cercato di leggere tutti gli interventi, districandomi a fatica nei libirinti di una discussione che si rincorre di link in link, su siti amici simpatizzanti rivali.
    E’ sicuramente una questione di ruoli, ma potrebbe essere anche una questione di funzioni.
    Una massima a cui cerco di attenermi da un po’ è questa: “Prima di stabilire se una cosa è buona o cattiva, devi stabilire a cosa serve”.
    Domanda ingenua: a che servono i blog letterari? Sottodomanda velenosa: a chi servono?
    Secondo me non servono ai lettori né tanto meno alla lettura, e dio sa se in un paese come il nostro un servizio di questo tipo sarebbe necessario.
    Ma se nella funzione dei blog letterari non rientra questo compito, è inutile stare a recriminare.
    Però come lettrice mi sento sempre offesa quando vedo rappresentarmi come un minus habens che si aggira tra gli scaffali e tira giù l libri ‘per genere’ e se non riesce a capire a che genere appartiene si rivolge affannata al libraio supplicandolo di fornirgli indicazioni in merito.
    Da questa rappresentazione del lettore come una specie di uomo di Neanderthal, derivano poi parecchi guasti di cui mi piacerebbe che si parlasse.
    Per esempio di tutte le truffe paratestuali: copertine ammiccanti, omissioni di informazioni o informazioni truccate (dei libri di racconti non si deve dire che sono racconti: o si tace o li si spaccia come romanzo), riferimenti a opere che il pubblico ha sicuramente orecchiato, ma che non c’azzeccano affatto con il libro a cui le si accosta e, all’opposto inabissamento di autori che pure una loro validità referenziale ce l’avrebbero ma che sono spariti da anni dai cataloghi (mi spiegate perché nessuno parla mai di Sherwood Anderson, per esempio?), attribuzione posticcia di genere, critiche (?) compiacenti, raffazzonate, sciatte e potrei continuare, ma mi fermo qui.
    E mi fermo qui autocensurandomi molte considerazioni perché potrei finire nell’ O.T.
    Una cosa però: proprio non mi è andata giù quel riferimento insistito al giovane Holding, potrei scatenarmi in un commento furioso su questo tema.
    Per il momento ho solo cancellato Satisfiction dai blog letterari nei preferiti.
    Dopo aver letto la risibile provocazione della vecchia holding “Vasco” non me ne sono pentita per niente.
    (so di essere precipitata con questa ultima frase dal contenuto alla relazione, ne chiedo scusa, ma l’ho fatto in piena coscienza).

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