LA MAIL PIU' BELLA

Ho ricevuto tantissime mail sul libro. Mi hanno emozionata, commossa, incuriosita. Mi hanno fatto riflettere. Ma quella che ho ricevuto ieri è la più bella. Con il permesso dell’autrice, di cui ovviamente non rivelo il nome, la pubblico. E’ lunga, ma va letta tutta. E ancora grazie a chi me l’ha mandata, di cuore.

 Ho appena finito di leggere “Ancora dalla parte delle bambine” e l’ho trovato molto bello, anzi, illuminante. Mi è piaciuto molto, in breve. Avevo amato il libro di Elena Gianini Belotti e questo non è da meno.
Perché allora i sensi di colpa del subject?
Presto detto: io lavoro (per molti il termine “lavoro” applicato a me è esagerato, ma è quello di cui vivo, quindi me lo tengo) come collaboratrice esterna, altrimenti detta free lance, dal 1996 nel campo dell’editoria periodici per ragazzi, soprattutto Disney e Mattel. Soprattutto femminili. Insomma, la maggior parte dell’editoria per bambine incriminata non dico che l’ho fatta io, ma ne ho fatto parte.
Non mi manca quasi nulla.
Le Bratz ci sono (ho scritto il primo diario-agenda).
Cioè idem (ho sceneggiato qualche fotoromanzo).
Le Winx e Top Girl mancano, ma perché non mi hanno voluta loro.
Witch: quasi (ero nel progetto iniziale quando ancora si chiamavano Streghe e dovevano essere comprimarie di Paperina).
Disney Fairies, come sopra, ero nel progetto iniziale per la parte svolta in Italia
Minni & Company (a proposito, in Italia scriviamo Minni senza la e alla fine), quindi Minni Mag e Minni amica del cuore, dal ’96 ci ho lavorato (con articoli, rubriche e storie a fumetti) e ci lavoro ancora… almeno fino al numero di settembre, dopodiché la testata verrà definitivamente chiusa.
Barbie Magazine, ce l’ho (prima articoli e fumetti, ora soltanto fumetti).
Principesse Disney, le ho. Ho fatto e faccio tuttora cose terribili su questa testata.
All’elenco manca Tanya, intesa come pubblicazione e non come bambola, ma nel mio curriculum c’è anche il suo giornale.
Ho letto il capitolo 5 “contro Hermione Granger” con crescente angoscia. Continuavo a ripetermi: “Ma no, non posso aver fatto tutto questo! Non è possibile!”
E invece sì, è possibile. Perché l’ho fatto.
Potrei dire, a mia discolpa, che l’ho fatto perché mi era stato commissionato. Mi hanno detto di scrivere certe cose e io l’ho fatto. Ma la realtà è anche peggio. La realtà è che non ci ho pensato!
Per la verità ogni tanto ci ho pensato. Qualche volta mi è capitato di proporre cose diverse. Ma ogni proposta del genere è stata accolta dalle redazioni con un rifiuto.
Faccio un esempio. Nel 2005 bisognava pensare a delle nuove rubriche per Principesse. La direttrice di testata aveva proposto di dedicare, in ogni numero, una pagina alla “principessa del mese”. Principessa in carne e ossa, non Cenerentola e amiche. Io avevo proposto: “Perché non interpretiamo il termine “principessa” in senso lato? Potremmo parlare ogni mese di una giovane donna, non necessariamente famosa, che abbia un lavoro interessante e appassionante e nella quale le lettrici possano identificarsi, trovare un modello!”
Risposta: “Nooo! Il giornale si chiama Principesse e noi di principesse parleremo!” Principesse intese come “giovani rampolle di sangue blu”.
E la mia proposta finì nel cestino.
Ma sto cercando di giustificarmi, e questo non va.
Principesse è una rivista che ricalca tantissimo il suo originale, Princess, realizzato -se non erro- in Inghilterra. Attualmente è realizzata all’insegna del risparmio estremo. Tutto quello che contiene è riciclato, e al massimo rimontato, dall’originale. Al momento il mio compito con Principesse consiste nel selezionare, da un apposito archivio, le immagini da utilizzare nei giochi stampati nelle ultime pagine, e montare i suddetti giochi. Giochi semplici, trova le differenze, le ombre, i tasselli e così via, tutti realizzati con immagini preesistenti. In passato avevo fatto, sempre su richiesta, altre pagine. C’era una rubrica sulla danza dedicata a Cenerentola, in cui si abbinava un breve racconto a dei passi di danza da imparare. Cenerentola doveva essere raffigurata “a modello”, quindi secondo precise istruzioni provenienti dalla Disney U.S.A., quindi sempre nel suo eterno abito da sera celeste  (evidentemente da quando ha sposato il principe Cenerentola veste sempre e solo in abito da sera), quindi intenta in attività “da principessa”: organizzare feste, salvare animaletti, preparare torte e marmellate, giocare con le amiche, ma soprattutto ballare. C’era anche una rubrica sul bon ton. Assurdo ma è così. Testimonial: Aurora. Costei insegnava ad apparecchiare la tavola, a comportarsi bene in spiaggia e altre amenità del genere. Per fortuna la rubrica è durata poco perché non piaceva a nessuno. Quindi il calendario “da staccare e appendere nella tua cameretta”. Per ogni giorno del mese c’era un consiglio o una curiosità per essere “ogni giorno principessa”. L’imperativo, che mi veniva ricordato ogni giorno dedicato alla compilazione di tale calendario, era “sii più principettosa”. Qualunque cosa volesse dire.
Ultimamente m’è arrivata un’altra richiesta: “Principesse vende poco. Hai qualche idea per migliorare le cose?”
“Ehm… abbassare il prezzo di copertina e inserire dei contenuti?”
“No, non possiamo permettercelo: non c’è budget. Fa’ così: scrivi una bella rubrica di consigli di bellezza! Quella tira sempre!”
“…”
Ma come?, mi sono detta, le nostre lettrici sono piccole (il target si è ulteriormente abbassato, ora Principesse è considerata una testata pre-school), troppo piccole. Di che cavolo di consigli di bellezza possono aver bisogno?!? Non sarebbe meglio una rubrica di giochi? O una sula natura, per imparare a conoscere il mondo che ci circonda? E se parlassimo di sport? Dei paesi del mondo? Delle stagioni?…
No, servirebbero foto e/o disegni nuovi, non si può. E poi la direttrice vuole la bellezza, dice che è più “principettoso”.
Questo mi è stato detto dal mio referente, che non vuole contraddire la direttrice per nessun motivo al mondo. Perché testate di questo tipo vengono realizzate da studi di editing esterni alla redazione. A me, che sono ancora più esterna, non è dato interloquire direttamente con “il capo”, e i padroni degli studi hanno troppa paura di perdere la commissione.
Per il primo numero me la sono cavata con consigli banali sulla cura dei capelli (tipo lavarli, legarli se sono lunghi e bisogna giocare eccetera), sul secondo, visto che uscirà in estate, ho dato consigli per non scottarsi al mare, sul terzo… non ne ho idea, ma qualcosa dovrò inventarmi.
Minni era meglio. Quando è nata, nel ’93, in effetti era un po’ leziosa. Ma poi ha cominciato a viaggiare su un binario suo. Su Minni era possibile sperimentare e raccontare cose nuove molto più che sul tradizionalista Topolino. Alcune cose erano frivole, altre più impegnate, ognuno dei collaboratori poteva affrontare l’argomento che più gli stava a cuore. Come personaggio Minni era stato esplorato pochissimo, e in realtà la vera stella della testata era Paperina. Lei era quella che si dava più da fare. Apriva un’agenzia investigativa, faceva la giornalista, viaggiava e viveva le sue avventure anche (e soprattutto) senza Paperino. Per quasi due anni io ho tenuto su Minni una rubrica dedicata al Diario di Paperina. A riguardarlo ora noto che effettivamente c’è un sacco di rosa. Ma non era una scelta redazionale: era il colore preferito del disegnatore.
Io ho lavorato molto su Minni, e così facendo mi sono fregata con le mie mani. Perché da allora in poi sono sempre stata considerata “troppo femminile” per qualunque altra cosa.
Ma questa è un’altra storia.
Nel 2001 sono uscite le Witch, attirando su di sé tutto il budget e prosciugando quello di Minni, che così è diventata “Minni amica del cuore” (il nome fa schifo, me ne rendo conto, e se ne sono rese conto pure le lettrici che hanno inutilmente scritto per protestare, ma non l’ho scelto io e non ho potuto farci niente) e si è votata al risparmio estremo ancora più di Principesse. Da quel giorno Minni è praticamente un giornale morto.
Anche Minni è realizzata da uno studio di editing esterno. Le storie a fumetti sono tutte ristampe e le uniche pagine originali che contiene sono la rubrica dell’oroscopo (inventato di sana pianta), quella della posta (ecco perché so che le lettrici protestano) e infine due paginette “da riempire a piacere” con temi misti. Nell’ultimo numero, il 61, c’è un test sui fiori, nel 60 parlavo di libri, nel 59 di animali (la grafica era riuscita ad avere delle foto gratis e ne abbiamo approfittato), nel 58 di Natale (era il numero natalizio), nel 57 di ecologia, e così via.
Le Bratz e Tanya mi sono arrivate tramite un altro studio di editing. All’epoca, era il 2001, le Bratz erano nuovissime e a ma parevano un prodotto molto più adatto ai collezionisti di gadget che non alle bambine. Almeno lo speravo.
Tanya non andava mai bene. Qualsiasi cosa facessimo non era mai abbastanza femminile, mai abbastanza alla moda, mai abbastanza ammiccante. Ricordo che c’era una rubrica sulla natura, e anche questa andava trattata in maniera oltremodo frivola, così tutto il giornale pareva fatto di aria fritta. Alla fine ci hanno tolto la testata (non so se esista ancora, a dirla tutta). Anche Tanya soffriva del complesso di Barbie!
Barbie è andata un po’ meglio, almeno all’inizio. Per Barbie ho scritto un articolo sugli occhiali (per convincere le bambine che non è un dramma doverli portare), uno su come superare la paura da figuraccia, un’intervista ad Alessandra Ferri, poi c’erano rubriche sul teatro, sui musei, sui parchi nazionali e così via. Il fumetto invece è stato proposto in Italia ma l’argomento è stato suggerito dagli U.S.A.
Barbie, che appare giocoforza diversa dalla bambola, è una detective che occasionalmente viaggia nel tempo in modo da far gran sfoggio di abiti di varie epoche (il discorso sulla moda è un must impostoci dall’alto), ma che in questi limiti può vivere anche diverse avventure. Quel che interessa a Mattel è vendere la bambola, quel che interessa agli autori è scrivere storie interessanti. Vedremo se riusciremo a far funzionare la cosa.
La faccenda Barbie Pass invece è disgustosa. C’è chi si è licenziato per non doverne far parte, io purtroppo non posso permettermi tanto.
Perché ho scritto tutto questo? Un po’ perché quel capitolo mi brucia, e parecchio. Senza volerlo e senza rendermene conto sono entrata a far parte di un giro che disapprovo. Avevo cominciato questo lavoro con passione e impegno e avevo sempre sperato, nonostante i limiti impostimi dall’alto, di poter riuscire a far passare messaggi positivi, di apertura mentale, di tolleranza, di curiosità per il mondo e per la vita. Invece pare che così non è stato, ho solo confezionato aria fritta.
E ho scritto tanto un po’ forse anche per giustificarmi. Per spiegare come dietro ogni singola sciocchezza fatta o consigliata dalle Principesse Disney, o da Barbie, o da Minni, ci siano tante teste, troppe, ognuna che propone una cosa diversa. E che spesso quel che viene fuori è solo la soluzione più economica, non la migliore o quella più approfondita.
Ora che farò? Licenziarmi (anche se i termine è scorretto, visto che non sono assunta) e perdere il lavoro non posso. Almeno non ora. Non mi rimarrà altro da fare, per il momento, che continuare a star qui, davanti al computer, scrivere la mia brava rubrica di consigli di bellezza, cercando di non far dire a Cenerentola cose troppo stupide. E sperare che nessuna lettrice la prenda sul serio!

Ps.  Qualche mese fa un mio collega, sceneggiatore di fumetti, si è rivolto a me per sapere come mai non riusciva a vendere a nessuno il progetto di una nuova serie. La serie ha come protagoniste cinque ragazzine normali appassionate di sport. Le ragazzine non hanno poteri magici, vivono una vita normale e attuale, studiano, navigano su internet, qualche volta si innamorano, fanno progetti per il futuro… insomma, normali. A quanto pare però non hanno abbastanza “appeal”.
Il mio collega non capiva: “Ma devono per forza sembrare troiette?”, mi ha chiesto perplesso, “Possibile che la velina debba essere l’unico modello di riferimento per le ragazzine oggi?”
Ma no, naturalmente. Per le ragazzine vere no. I nostri editori, però, non se ne sono ancora accorti.

30 pensieri su “LA MAIL PIU' BELLA

  1. se i genitori padreterni fanno i figli crocifissi. le giovani donne di sangue blu sbiadiscono il luminescente standard delle fanciulle che passeggiano per strada. hai ragione lipperatura, la lettera è bella e tragica.
    mi viene in mente un bel libro per adolescenti scritto da una donna lontanissima da (quasi) qualsiasi cliché Argenta nel tornado del tempo (Tanglewreck) di Jeanette Winterson. Ovviamente si suppone la lettura. Si potrebbe pure scrivere la lettura è supposta se non fosse che il gioco di parole è limitativo quando le ragazze che vedo in torno sfogliano almanacchi, fumetti e periodici, e leggono myspace come fosse normale. perché è normale. è diffuso. il potere magico della lettura che trasfigura un mondo piccolo e intorno in un immenso affresco 3d.
    e questo. 😉
    chi

  2. Ma sai chi, lettura è ANCHE myspace. E non sempre i libri sono salvifici…
    Ps. A margine. Sifossifoco, non trattengo lo stupore. Pensavo che l’età portasse saggezza anche agli irrecuperabili imbecilli. 🙂

  3. sì sì loredana. anche myspace è lettura se non si capisce faccio ammenda!
    (io poi penso che tutto sia lettura e dico Tutto quello che ho scritto è vero l’ho letto coi miei occhi…)
    😉
    chi

  4. Cara misteriosa redattrice… mi sento molto molto vicino alla tua posizione 🙂
    Una modesta proposta (ma conosco questi mag solo da come li descrivi tu e/o forse ci hai già provato): alla prossima occasione, proponi una rubrica umoristica. O di fare dei “consigli di bellezza” contro l’eccesso e in forma comica, tipo sui disastri che possono capitarti se sei troppo pittata o ciabatti con zeppe alte km, immagina una cosa come per far ridere le bambine delle sorelle maggiori che esaGGGerano col trucco.
    Cenrentola offre buoni appigli per farlo! Così puoi almeno tentare di passare un messaggio del tipo “aurea mediocritas” in modo divertente e sentirti meno in colpa. Le barzellette sono sempre benvenute da parte dei bambini… anche se temo che i direttori di testata abbiano un senso dell’umorismo piuttosto scarso!
    Un abbraccio,
    Paolo

  5. Lippa, se uno degli scopi del tuo saggio era diffondere una maggiore consapevolezza… beh, dopo una lettera come questa… che dire se non “bersaglio centrato!”
    Una mail davvero illuminante.

  6. Boh mi è piaciuto molto il consiglio di Paolo S.
    Mi vengono anche dei quesiti ammetto, quesiti provocatori. Ma questa mail è molto sincera e questo è già un merito.

  7. Una salus victis nullam sperare salutem, Alessandra…
    ci possono essere varie forme di resistenza interessanti, e anche quando la vittoria è impossibile, non bisogna concedere al nemico la disfatta.
    Oltre alla guerra, si può pensare alla guerriglia: per esempio, secondo me un blog chiamato “the dark side of pink” attirerebbe molti contatti… no?

  8. “Ma no, non posso aver fatto tutto questo! Non è possibile!”
    E invece sì, è possibile. Perché l’ho fatto.
    Potrei dire, a mia discolpa, che l’ho fatto perché mi era stato commissionato. Mi hanno detto di scrivere certe cose e io l’ho fatto. Ma la realtà è anche peggio. La realtà è che non ci ho pensato!
    questo passaggio mi colpisce; mi sembra di capire che la lettura di Ancora dalla parte delle bambine abbia provocato una consapevolezza che non c’era; perché in realtà quando vediamo una iniziativa “al femminile” (bambine o adulte che siano i soggetti coinvolti) la prima paradossale impressione è che siamo nel regno delle pari opportunità…
    e dati i tempi istituzionali che corrono viene da dire a denti stretti: “appunto”

  9. Che tristezza… e solo qui in Italia… che se uno va in America trova la Supergirl degli anni ’90, la Wonder Woman di Perez, Ms. Marvel capo dei Vendicatori e una Legion of Superheroes di Levitz in cui uomini e donne hanno la stessa importanza e gli stessi ruoli. Modelli di straordinaria femminilità tutt’altro che vetero o neo maschilista… e pure noi maschietti compriamo e amiamo quei fumetti…

  10. Concordo con ilse: l’autrice della lettera non si era resa conto di…Ma come?
    Mi avvilisce notare che, ormai, alla necessità di lavorare si sacrifica tutto:
    sotto con la schiena, cervello e creatività a riposo, obbedienza al capo o capetto di turno. E’ difficile ribellarsi, imporre le proprie idee sapendo che si potrebbe, in qualunque momento, essere sbattuti fuori dal proprio posto di lavoro, anche se, più che posto, si potrebbe chiamare breve sosta lavorativa in vite votate alla disoccupazione.
    Forse è questo che si vuol fare: assoggettare la metà del cielo alla schiavitù degli stereotipi per rendere obbedienti, come ai bei tempi passati, le donne di domani.
    Un altro “danno collaterale” legato alle nuove tipologie contrattuali del mercato del lavoro. In una società sempre più complessa e difficile la cosa migliore da fare mi sembra proprio quella di dare un’educazione
    “principettosa” alle bambine con la collaborazione (estorta!) delle donne adulte.
    Falilulela

  11. Ho seguito per anni (e lo faccio tuttora) la realizzazione di testi scolastici, soprattutto per le superiori, e la situazione è di poco migliore. Certo, non mi è mai stato richiesto qualcosa di principettoso (grazie a dio o chi per lui), ma nell’editoria scolastica lo stereotipo dei generi è ancora imperante, per cui un libro di “scienza dell’alimentazione” o di “disegnatore di moda” deve essere lezioso, possibilmente con copertina rosa o al massimo fucsia. Viceversa, un libro di “tecnologia delle costruzioni” deve essere sobrio, austero; mi è capitato di sentir rimproverare a un libro del genere, che non ha venduto quanto sperato, la sua veste troppo “femminile” (dove per femminile si intendevano pagine con un bordo beige e verde), in luogo della solita grafica in bianco e nero. Per non parlare delle considerazioni sulle insegnanti (del genere: “l’insegnante di alimentazione è quasi sicuramente una donna, laureata in chimica o biologia, che non ha trovato altro lavoro QUINDI è frustrata, QUINDI in quanto donna e frustrata è sensibile al problema dietetico, QUINDI mettiamo nel libro la tabella per il calcolo delle calorie e magari alleghiamoci anche un software”). Ma è solo un esempio tra i tanti. Per non parlare dei frizzi e lazzi che volavano in redazione all’epoca del POLiTe (Pari opportunità nei libri di testo).

  12. Be’, sono anni che lo scrittore per ragazzi Lucio Angelini – a quel che ne so io – tuona contro il FUMER (Fronte Unito Megere Editoria per Ragazzi)…

  13. “La realtà è che non ci ho pensato!” In effetti nessuno pensa più a quello che si fa, mica solo lei. Per questo, non mi accanirei tanto verso una persona che ha rilevato la contraddizione e dovrà (povera!) conviverci.
    Uno dei problemi è che tra quelle riviste e le bambine non c’è più nessuno. Mia figlia (oggi ha venti anni) ne leggeva qualcuna, minnie, top girl e barbie per esempio. Ma le compravo pure linus e peanuts. Ogni generazione ha avuto le sue schifezze, ma non venivano assolutizzate, prese come modello, perchè c’erano altre presenze (femminili soprattutto) nel racconto quotidiano, nonne, zie, cugine più grandi, vicine di casa e tutto si mescolava.
    Piuttosto, le stiliste di abiti per bambine dovrebbero fare un bell’esame di coscienza e lì non ci sono scuse che tengano.
    a.

  14. ti ho conosciuta a foiano e in un certo senso ti ho anche riconosciuta. sai quando le persone raccontano e tu dici: ecco è proprio quello che volevo dire io, magari l’avevo pensato ma solo fugacemente, o non ero stata capace di andare oltre, o non avevo trovato qualcuno con cui parlarne. e finalmente stai con persone che ti dicono le cose che volevi sapere, le cose che avevi intuito e non riuscivi a sapere. io era da tanto che giravo intorno al fatto che troppe donne muoiono ammazzate e non dal delinquente di turno, ma dai loro uomini, mariti, fidanzati, padri: mi colpivano le storie di donne scomparse che poi venivano ritrovate cadaveri e poi alla fine si scopriva che era stato uno di famiglia. e negli ultimi tempi sempre più spesso. nel calderone dell’informazione super pilotato dall’alto comunque emergono queste notizie (alla fine è pur sempre cronaca nera). a me per esempio piace la sciarelli quando racconta queste storie perchè lo capisci che non è un caso isolato quello che sta raccontando, ma è il pezzo di un grande disegno di violenza contro le donne. poi sono venuta a foiano e i numeri che hai dato sono stati una rivelazione (triste) ho capito che la recrudescenza della violenza contro le donne non era solo una mia sensazione ma un dato di fatto. italiano globale e terribile. e ho capito quanto il ritorno alla differenza di genere ( o forse era stata una breve pausa in anni di lotta per i diritti)sia a monte di tutto. la lettera della giornalista di riviste per bambine è bella perchè ti apre gli occhi su come è facile ritrovarsi a lavorare contro noi stesse, magari vuoi fare un’altra cosa ma ti obbligano a fare certe scelte e tu le fai perchè lo stipendio ti serve. come la capisco, io stessa faccio un sacco di compromessi e taccio molte cose nel lavoro: tutto tutto non si può fare e tutto tutto non si può dire. però questi incontri fanno bene, rinforzano le difese immunitarie, quelle contro il qualunquismo, il razzismo (non solo verso le donne) l’apatia e la paura di non farcela. grazie loredana

  15. Sono un editore di libri illustrati per ragazzi. Lo sono diventata quattro anni fa. Faccio libri che stanno al polo opposto delle riviste abitate da Bratz, Witch, Barbie eccetera. Agli inizi, anni fa, ho lavorato per Mondadori quando era licenziataria del marchio Disney: ho fatto qualche manuale Disney, tra cui quello di Minni. Fu necessario più di una discussione per far passare certe scelte, ma le redattrici Mondadori erano con noi, e Disney forse più lontana a imporre le sue regole di marketing surreale. Venne fuori una Minni femminile, ma decisamente non scema. So che con Disney sarebbe stato tutto diverso. Col tempo la collaborazione con Mondadori si è esaurita e ho iniziato a comprendere che se volevo fare i libri che avevo in mente, dovevo farlo autonomamente, senza aspettarmi aiuti e appoggi. Ho provato, ho rischiato. Certo facile non è. Per niente. Per farlo, devo a tutt’oggi contare su un secondo lavoro: ho uno studio di comunicazione. I nostri libri stanno sugli scaffali delle librerie e sembrano alieni, tanto sono distanti, difformi, “altri” rispetto alla massa della produzione libraria per piccoli. La stampa di noi parla pochissimo, con rare eccezioni, anche la più illuminata, mostrando sempre fastidio verso la questione “libri per ragazzi”, pensati come libretti colorati e zeppi di scempiagginim oppure “carini” ma senza importanza: una specie di sottoprodotto per temporanei ritardati (i bambini, appunto). Nel complesso l’ignoranza diffusa sul tema “libri per ragazzi” (e cultura dell’infanzia, tout court) è enorme, in Italia, anche fra le classi colte, al contrario di quanto accade in altri paesi europei e del mondo (anche paesi del terzo mondo…) e questo è uno dei fattori che da noi ostacola maggiormente la diffusione di libri e pubblicazioni per bambini di maggiore qualità. Non parliamo del disinteresse poi di istituzioni e governi per la questione. Recentemente ho letto che l’alta moda per i bambini sta andando a gonfie vele nel nostro paese (vestiti per battesimi di Dolce & Gabbana, per intenderci). Dei libri, invece, evidentemente non interessa a nessuno. In tutto questo però una speranza c’è. Nel 2008, improvvisamente il nostro fatturato è triplicato. Siamo sbalorditi persino noi. La gente, ci diciamo, evidentemente, comincia a vedere sugli scaffali delle librerie non l’alieno, ma il libro e lo compra. In tutta questa vicenda, c’è forse una cosa più importante di tutte, che ho capito: mi sono resa conto che ognuno di noi può fare moltissimo, con le proprie scelte. E’ una scoperta che continua a sorprendermi ogni volta che ci penso, ogni volta ho l’occasione di valutarne la portata. Ogni volta, cioè che ho il privilegio di toccare con mano fin dove dove le mie scelte e decisioni sono arrivate a coinvolgere e toccare gli altri.

  16. Raro che qualcuno racconti la propria storia di imprenditore-editore-scrittore-qualsiasialtracosa senza alla fine mettere in bella vista il relativo consiglio per l’acquisto. Questa sig.ra Giovanna e i libri pubblicati da lei forse appartengono davvero a una razza aliena che mi piacerebbe conoscere. Complimenti.

  17. Guglielmo ha ragione, mi ha tolto le parole di bocca. Niente nome della casa editrice, niente link, nemmeno il cognome di Giovanna. Nessun appiglio, nemmeno minimo, per una ricerca su google. Sono stupefatto. Sui lit-blog, dove spesso trionfa il “venite a vedere il post che ho appena messo là da me, anche se non c’entra nulla con ciò di cui state parlando”, un commento come questo è cosa più unica che rara. Complimenti anche da me, per lo stile, per la passione che rivela, per la tenacia che descrive. Però, Giovanna, te lo dico non per me ma per mia figlia: mandami una mail con qualche informazione in più! wuming1@gmail.com

  18. Vi ringrazio per questa discussione, a cui sono approdata dopo che sul mio blog è scoppiato un putiferio a proposito di un libro, “Greta la Matta” edito da Adelphi qualche tempo fa (una commentatrice ha messo un link verso questa lettera esemplare). Il libro in questione veniva additato come poco rispettoso della psiche dei bambini. Io, insieme a pochi, lo difendevo perché diverso, colto, non banale. Il libro ha avuto un successo internazionale, triste è stato scoprire che l’Italia è stata un caso a parte (è stata la nazione in cui il libro ha venduto meno).
    Sono autrice e illustratrice di libri per bambini e ho nei confronti del mio lavoro un sacro rispetto. Faccio libri che vendono poco, pubblicati in Spagna (dove vivo) da case editrici coraggiose, guadagno ancora meno. Sono spudoratamente felice.
    Siccome non amo che certe perle vadano perse in fondo al mare, vi dò un indizio per l’editrice sopra scritta….
    (…)
    Uscendo un dì la belva
    dalla sua selva, diede in una rete,
    contro la qual non valgono i ruggiti.
    Morta sarìa, se il Topo prontamente
    non fosse accorso a trarnela d’impaccio;
    ch’ei fe’ tanto, menando intorno il dente,
    che ruppe i nodi e sgrovigliò quel laccio.
    Più d’ogni rabbia e d’ogni violenza,
    il tempo vale e vale la pazienza.
    (Jean de La Fontaine )

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